Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11338 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. lav., 29/04/2021, (ud. 06/10/2020, dep. 29/04/2021), n.11338

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18127-2016 proposto da:

A.E., B.P., M.G., D.M.U.,

G.A., T.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

LUNGOTEVERE PIETRA PAPA 185, presso lo studio dell’avvocato SIMONA

DONATI, rappresentati e difesi dall’avvocato MARCO MOCELLA;

– ricorrente –

contro

C.T.I. – ATI (COMPAGNIA TRASPORTI IRPINI S.P.A.), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA SISTINA 121, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

FONTANA, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 183/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 16/02/2016 R.G.N. 5069/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

06/10/2020 dal Consigliere Dott. PAOLO NEGRI DELLA TORRE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CELESTE ALBERTO, che ha concluso per: accoglimento del primo motivo

del ricorso, assorbito il secondo motivo.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 183/2016, depositata il 16 febbraio 2016, la Corte di appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale di Avellino, che aveva respinto le domande di A.E. e altri dipendenti di C.T.I. – ATI (Compagnia Trasporti Irpini) S.p.A., con qualifica di autisti, volte a ottenere l’accertamento del diritto, R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, ex art. 17, lett. c) ad essere retribuiti, nella misura della metà della retribuzione normale, per il tempo necessario a spostarsi, con mezzo gratuito o proprio, dal deposito al posto di cambio o viceversa per prendere servizio o tornare a servizio compiuto, nonchè, in subordine, volte a conseguire le medesime somme a titolo risarcitorio.

2. La Corte ha osservato a sostegno della propria decisione che la norma di cui al R.D.L. n. 2328 del 1923, art. 17, lett. c), facendo riferimento ai “viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto”, presuppone che l’inizio della prestazione lavorativa presso una data località sia preceduto dall’obbligatoria preventiva presenza del lavoratore presso altra località ovvero che il lavoratore, dopo avere ultimato l’esecuzione della prestazione lavorativa in un determinato luogo, debba fare rientro in altro luogo, anch’esso indicato dal datore di lavoro, e cioè presuppone uno spostamento tra due località che devono entrambe essere obbligatoriamente raggiunte in base alle direttive o alle disposizioni aziendali per prendere servizio o per porvi termine: ciò che era da escludere nella concreta fattispecie dedotta in giudizio, dovendo ritenersi incontestata la circostanza secondo cui gli autisti, quando iniziavano il turno nel deposito e lo terminavano altrove non avevano affatto l’obbligo di tornare al deposito, come nel caso opposto non avevano l’obbligo di passare per il deposito prima di iniziare il turno presso il previsto posto di cambio, poichè l’azienda consentiva loro, se lo avessero voluto, di recarsi direttamente a casa o di iniziare direttamente a lavorare presso il luogo in cui dovevano prendere servizio.

3. Avverso detta sentenza A.E. e altri cinque lavoratori hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui la società ha resistito con controricorso.

4. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

5. Con ordinanza interlocutoria del 20 dicembre 2017 della Sesta Sezione il ricorso è stato rimesso a questa Sezione per la trattazione in pubblica udienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione del R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17, lett. c), recante “Disposizioni per la formazione degli orari e dei turni di servizio del personale addetto ai servizi pubblici di trasporto in concessione”, e dell’art. 12 disp. gen., nonchè vizio di motivazione, per avere la Corte di appello erroneamente ritenuto che la norma di cui all’art. 17, lett. c) R.D.L. n. cit. non fosse applicabile nella fattispecie concreta, mentre avrebbe dovuto considerare che i presupposti per la sua applicazione erano costituiti dalla non coincidenza del luogo di inizio con il luogo di cessazione del lavoro e dal fatto che tale non coincidenza era determinata non da una scelta del lavoratore ma da una necessità logistica aziendale: con la conseguenza che, essendo incontroverso che la prestazione lavorativa iniziava e terminava in luoghi diversi per disposizione aziendale, la domanda avrebbe dovuto trovare accoglimento.

2. Con il secondo motivo, deducendo il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 112 c.p.c., i ricorrenti lamentano che la Corte di merito aveva omesso di pronunciarsi sulla domanda subordinata, con la quale era stato chiesto il risarcimento dei danni per la maggiore onerosità della prestazione erogata con le anzidette modalità.

3. Il primo motivo è infondato e deve essere respinto.

4. Il R.D.L. n. 2328 del 1923, art. 17 prevede che si computi “come lavoro effettivo… la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località all’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiuto” (lett. c).

5. Riguardo a tale norma è stato precisato che per viaggio comandato deve intendersi “ogni trasferimento inevitabile per l’organizzazione dei turni derivante da disposizione aziendale, effettuato sia con mezzo gratuito di servizio sia con proprio mezzo di trasporto con onere di spesa a carico del lavoratore. A tal fine, il computo del tempo di viaggio presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva, da una necessità logistica aziendale, restando irrilevante la scelta del mezzo usato per lo spostamento. Concorrendo tali condizioni, il lavoratore può ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, il cui fondamento è insito nell’esigenza di compensare il tempo necessario al menzionato spostamento indotto dall’organizzazione del lavoro riconducibile all’azienda” (Cass. n. 26581/2011; conformi: n. 10020/2011; n. 3575/2006; n. 15821/2000).

6. Il principio è stato successivamente ribadito da Cass. n. 9062/2014 (e dalle conformi n. 9063 e n. 9064/2014) e peraltro contestualmente precisato “con riguardo agli oneri probatori imposti al lavoratore” nei termini seguenti: “Il R.D.L. 19 ottobre 1923, n. 2328, art. 17 – nella parte in cui prevede, per il personale addetto ai pubblici servizi di trasporto in concessione, che si computa come lavoro effettivo la metà del tempo impiegato per recarsi, senza prestare servizio, con un mezzo gratuito di servizio in viaggi comandati da una località ad un’altra per prendere servizio o fare ritorno a servizio compiutò – interpretato nel senso che il computo del tempo dei viaggi, regolarmente comandati ed effettuati anche con proprio mezzo di trasporto, presuppone che non vi sia coincidenza del luogo di inizio con quello di cessazione del lavoro giornaliero e che tale circostanza sia determinata non da una scelta del lavoratore, bensì, in via esclusiva da una necessità logistica aziendale, va coordinato con i principi in tema di onere della prova, restando a carico del lavoratore, per ottenere il riconoscimento del diritto previsto dalla suddetta norma, la dimostrazione delle modalità della prestazione, e cioè del tipo di turno praticato, degli spostamenti effettuati, della non coincidenza dei luoghi di inizio e termine della prestazione e di ogni altro elemento idoneo”.

7. Ora, risulta accertato dal giudice di appello, in quanto circostanza espressamente riconosciuta con il ricorso di secondo grado e, pertanto, pacifica in causa, che i lavoratori “potevano recarsi direttamente presso il posto di cambio quando iniziavano a lavorare in linea, senza essere obbligati a presentarsi preventivamente al deposito di appartenenza, ovvero potevano fare ritorno direttamente a casa, quando terminavano il turno presso un posto di cambio” (cfr. sentenza impugnata, p. 7 e p. 8, ultimo capoverso).

8. Su tale (non contestata) premessa, la decisione della Corte territoriale si pone in linea con l’orientamento espresso da Cass. n. 9062/2014, peraltro ampiamente richiamata in motivazione, risultando del tutto esente dalle censure svolte con il motivo in esame.

9. La fattispecie concreta dedotta in giudizio, e così come accertata dal giudice di merito, è invero quella in cui, al termine della prestazione lavorativa, vi è recupero immediato del tempo libero cui il lavoratore ha diritto (come, prima dell’inizio di essa, egli ancora ne fruisce), senza che su tale situazione venga a incidere il potere organizzativo del datore di lavoro ovvero, in senso lato, un suo potere di ingerenza o di conformazione, quale potrebbe realizzarsi mediante prescrizioni diverse, variamente connesse a esigenze dell’impresa e da esse in qualche modo giustificate, in relazione al tempo precedente o successivo alla prestazione lavorativa: tale essendo, al di là dell’invecchiamento lessicale della norma, il senso ultimo del nucleo concettuale che si deve tuttora riconoscere nelle parole “viaggi comandati” (da una località all’altra), le quali rimandano alla necessità di un collegamento funzionale tra la presenza del lavoratore in un luogo e la sua prestazione in un altro.

10. D’altra parte, è stato più volte affermato che il tempo impiegato dal dipendente per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell’attività lavorativa vera e propria solo quando “lo spostamento sia funzionale rispetto alla prestazione; in particolare, sussiste il carattere di funzionalità nei casi in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta destinato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa” (Cass. n. 17511/2010, fra altre), diversamente il tempo in questione non rientrando tra il lavoro “effettivo”, nè potendo essere considerato come tale.

11. Il secondo motivo è parimenti infondato.

12. La Corte di appello ha, infatti, espressamente pronunciato, respingendola, sulla domanda risarcitoria (cfr. sentenza impugnata, p. 10); neppure può ritenersi mancante la motivazione in ordine a tale rigetto, se tale è la sostanza della censura proposta, come egualmente emerge dal testo della sentenza, ogni altra considerazione rifluendo nelle ragioni di infondatezza del primo motivo.

13. Il ricorso deve, pertanto, essere respinto.

14. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi e in Euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 6 ottobre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

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