Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11337 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. I, 23/05/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 23/05/2011), n.11337

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – rel. Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 4989/2008 proposto da:

C.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. MARRA Alfonso Luigi per procura in atti;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore;

– intimata –

sul ricorso n. 7756/08 proposto da:

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente pro

tempore, domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso

l’Avvocatura generale dello Stato, che la rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

C.A., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria della Corte di cassazione, rappresentato e difeso

dall’avv. Alfonso Luigi Marra per procura in atti;

– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Napoli del 15 febbraio

2007. nella causa iscritta al n. 1756/2006 V.G.;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 9

dicembre 2010 dal relatore, Cons. Dott. Stefano Schirò;

alla presenza del Pubblico Ministero, in persona del sostituto

procuratore generale, Dott. SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che nulla

ha osservato;

LA CORTE:

Fatto

FATTO E DIRITTO

A) rilevato che è stata depositata in cancelleria, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., la seguente relazione, comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti:

“il Consigliere relatore, letti gli atti depositati;

Ritenuto che:

1. C.A. ha proposto ricorso per cassazione avverso il decreto in data 15 febbraio 2007, con il quale la Corte di appello di Napoli ha condannato la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del menzionato ricorrente della somma di Euro 4.600,00, a titolo di indennizzo per il superamento in primo grado del termine di ragionevole durata di un processo, instaurato in materia di pubblico impiego davanti al Tar Campania con ricorso del 23 febbraio 1998 e non ancora definito alla data del 17 novembre 2006;

1.1. la Presidenza del Consiglio dei Ministri ha resistito con controricorso e ricorso incidentale sulla base di un motivo, a cui ha resistito con controricorso il ricorrente principale;

osserva:

2. la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda nella misura di Euro 4.600,00 a titolo di indennizzo del solo danno non patrimoniale, avendo accertato una durata del processo superiore di cinque anni e nove mesi al termine ragionevole e liquidato l’indennizzo nella misura di Euro 800.00 per ogni anno di ritardo:

3. il ricorrente principale censura il decreto impugnato, proponendo tredici motivi di ricorso, con i quali lamenta:

– la mancata applicazione della normativa comunitaria alla stregua dell’interpretazione fornita dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo con la formulazione del seguente quesito di diritto: la L. n. 89 del 2001 e specificamente l’art. 2 costituisce applicazione dell’art. 65 par. 1 della CRDU e in ipotesi di contrasto tra la legge Pinto e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ovvero di lacuna della legge nazionale si deve disapplicare la legge nazionale ed applicare la CEDU? (primo motivo);

– il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio e l’inosservanza, sulla base di carente motivazione, dei parametri europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale (secondo e terzo motivo);

– il mancato riconoscimento, con vizio di motivazione e in violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, del bonus di Euro 2.000,00, trattandosi di controversia in materia previdenziale (quarto, quinto e sesto motivo);

– l’insufficiente liquidazione delle spese processuali, senza specifica motivazione, con erronea applicazione delle tariffe professionali vigenti riguardanti i procedimenti di volontaria giurisdizione, anzichè i giudizi ordinari dinanzi alla Corte d’appello, senza tener conto dei parametri CBDU e dei criteri seguiti dalla Corte di cassazione e disattendendo i minimi tariffati e la nota spese depositata, (motivi da sette a tredici);

4. il primo motivo appare inammissibile, in quanto il quesito formulato è del tutto generico e senza nessuna attinenza al decisum del decreto impugnato;

– il secondo e terzo motivo appaiono manifestamente infondati nella parte in cui si censura il calcolo dell’equo indennizzo solo con riferimento al periodo eccedente la ragionevole durata della causa e non all’intera durata del giudizio, in quanto è vincolante per il giudice nazionale, il disposto della L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 3, lett. a), ai sensi del quale è influente solo il danno riferibile al periodo eccedente il termine ragionevole di durata del processo (Cass. 2005/21597; 2008/14); sono invece manifestamente fondati nella parte in cui si censura l’inosservanza dei parametri europei in ordine alla quantificazione per anno del danno non patrimoniale, in quanto la liquidazione dell’indennizzo per danno non patrimoniale, in conseguenza della violazione del termine ragionevole di durata del processo, in misura pari ad Euro 800,00 per ogni anno di ritardo, per un importo complessivo di Euro 4.600.00 è inferiore, secondo criteri non ragionevoli, ai parametri applicati in casi simili da questa Corte, sulla scorta dei principi fissati dalla giurisprudenza della CEDU, per un ammontare di Euro 750,00 ad anno per i primi tre anni di durata non ragionevole e di Euro 1.000.00 per ogni ulteriore anno successivo, per un importo che nel caso di specie ammonterebbe ad Euro 5.000,00;

– i motivi da quattro a sei appaiono manifestamente infondati, in quanto non può ravvisarsi un obbligo di diretta applicazione dell’orientamento della giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, secondo cui va riconosciuta una somma forfetari a nel caso di violazione del termine nei giudizi aventi particolare importanza, fra cui anche la materia del lavoro; da tale principio, infatti, non può derivare automaticamente che tutte le controversie di tal genere debbano considerarsi di particolare importanza, spettando al giudice del merito valutare se, in concreto, la causa previdenziale abbia avuto una particolare incidenza sulla componente non patrimoniale del danno, con una valutazione discrezionale che non implica un obbligo di motivazione specifica, essendo sufficiente, nel caso di diniego di tale attribuzione, una motivazione implicita (Cass. 2006/9411; 2008/6898);

– restano assorbiti i motivi da sette a tredici e il ricorso incidentale, dovendosi provvedere ad una nuova liquidazione delle spese processuali in conseguenza dell’accoglimento parziale del ricorso principale;

5. alla stregua delle considerazioni che precedono e qualora il collegio condivida i rilevi formulali, si ritiene che il ricorso possa essere trattato in camera di consiglio ai sensi degli artt. 375 e 380 bis c.p.c.”;

B) ritenuto che i ricorsi debbano essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., in quanto riguardano l’impugnazione del medesimo decreto e che. a seguito della discussione tenuta nella camera di consiglio, il collegio, rilevato che non risulta depositato controricorso al ricorso incidentale della Presidenza del Consiglio dei Ministri, ha condiviso nel resto le considerazioni esposte nella relazione che precede;

che pertanto, in base alle considerazioni che precedono e quanto al ricorso principale, deve essere dichiarato inammissibile il primo motivo e vanno rigettati i motivi da quattro a sei, mentre vanno accolti nei termini di cui in motivazione il secondo e terzo motivo e dichiarati assorbiti i motivi da sette a tredici, e che deve essere dichiarato assorbito anche il ricorso incidentale, con conseguente annullamento del decreto impugnato in ordine alle censure accolte;

ritenuto che, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2; che in particolare, determinato in cinque anni e nove mesi il periodo di durata non ragionevole del giudizio presupposto, secondo l’accertamento del giudice del merito non specificamente censurato dal ricorrente, il parametro per indennizzare la parte del danno non patrimoniale subito in detto giudizio va individuato nell’importo non inferiore ad Euro 750.00 per anno di ritardo, alla stregua degli argomenti svolti nella sentenza di questa Corte n. 16086 del 2009; secondo tale pronuncia, in tema di equa riparazione per violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e in base alla giurisprudenza della Corte dei diritti dell’uomo (sentenze 29 marzo 2006, sui ricorsi n. 63261 del 2000 e nn. 64890 e 64705 del 2001), gli importi concessi dal giudice nazionale a titolo di risarcimento danni possono essere anche inferiori a quelli da essa liquidati, “a condizione che le decisioni pertinenti” siano “coerenti con a tradizione giuridica e con il tenore di vita del paese interessato”, e purchè detti importi non risultino irragionevoli, reputandosi, peraltro, non irragionevole una soglia pari al 45 per cento del risarcimento che la Corte avrebbe attribuito, con la conseguenza che, stante l’esigenza di offrire un’interpretaziune della L. 24 marzo 200, n. 89, idonea a garantire che la diversità di calcolo non incida negativamente sulla complessiva attitudine ad assicurare l’obiettivo di un serio ristoro per la lesione del diritto alla ragionevole durata del processo, evitando il possibile profilarsi di un contrasto della medesima con l’art. 6 della CEDU (come interpretata dalla Corte di Strasburgo), la quantificazione del danno non patrimoniale deve essere, di regola, non inferiore a Euro 750,00 per ogni anno di ritardo eccedente il termine di ragionevole durata; tali principi vanno confermati in questa sede, con la precisazione che il suddetto parametro va osservato in relazione ai primi tre anni eccedenti la durata ragionevole, dovendo invece aversi riguardo per quelli successivi, al parametro di Euro 1.000,00 per anno di ritardo, tenuto conto che l’irragionevole durata eccedente tale periodo comporta un evidente aggravamento del danno (Cass. 2009/16086; 2010/819); nel caso di specie si deve, di conseguenza, riconoscere al ricorrente, in relazione ad una durata non ragionevole di cinque anni e nove mesi l’indennizzo di Euro 5.000,00, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo, al cui pagamento deve essere condannata la Presidenza del Consiglio dei ministri soccombente;

considerato che le spese del giudizio di merito e quelle del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, in quanto – con riferimento alla doglianza svolta dall’Amministrazione ricorrente incidentale, che ha eccepito la illegittimità della sua condanna alle spese del giudizio di merito non avendo resistito alla domanda del ricorrente ed essendosi rimessa alle valutazioni del giudice – deve ritenersi che, ai lini della liquidazione delle spese processuali, il procedimento camerale per equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, va considerato quale procedimento avente natura contenziosa, nel quale trova applicazione la disciplina della responsabilità delle parti per le spese processuali e della condanna alle spese (Cass. 2009/16542; 2009/21371), con la conseguenza che l’individuazione del soccombente si compie in base al principio di causalità e che parte obbligata a rimborsare all’altra le spese anticipale nel processo è quella che, anche col comportamento tenuto fuori dal processo stesso, vi abbia comunque dato causa (Cass. 2004/20335; 2006/25141), tenuto anche conto che la mancata opposizione alla domanda, così come la contumacia, non costituiscono valida ragione di compensazione delle spese o di esonero della parte soccombente dall’obbligo di rifondere alla controparte le spese processuali e che , nella specie, nulla avrebbe impedito all’Amministrazione di adempiere spontaneamente all’obbligo di indennizzo su di essa gravante (v., in motivazione.

Cass. 2010/06193; 2010/11315; 2010/11383; 2010/17171); considerato che le spese processuali, compensate per la metà quelle del giudizio di cassazione in considerazione del parziale accoglimento del ricorso, vanno liquidate in base alle tariffe professionali previste dall’ordinamento italiano con riferimento al giudizio di natura contenziosa (Cass. 2008/23397; 2008/25352). con distrazione delle spese del giudizio di merito e di quello di cassazione in favore del difensore de ricorrente, dichiaratosi antistatario.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso principale. Respinge i motivi da quattro a sei e accoglie, nei termini di cui in motivazione, il secondo e il terzo motivo dello stesso ricorso. Dichiara assorbiti il motivi da sette a tredici del ricorso principale e il ricorso incidentale. Cassa il decreto impugnato in ordine alla censura accolta e, decidendo nel merito, condanna la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento in favore del ricorrente della somma di Euro 5.000.00, oltre agli interessi legali a decorrere dalla domanda.

Condanna inoltre la Presidenza soccombente al pagamento in favore del ricorrente delle spese del giudizio di merito, che si liquidano in Euro 873.00, di cui Euro 378,00 per competenze ed Euro 50,00 per esborsi, oltre a spese generali e accessori di legge, nonchè di quelle del giudizio di cassazione, compensate per la metà, che si liquidano per l’intero in Euro 330,00 di cui Euro 230,00 per onorari, oltre a spese generali e accessori di legge, con distrazione, per le spese di entrambi i giudizi, in favore del difensore del ricorrente, avv. Alfonso Luigi Marra, dichiaratosi antistatario.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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