Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11334 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11334 Anno 2016
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA
$13} ricorso iscritto al n. 25460/2009 R.G. proposto da
AGENZIA DELLE ENTRATE,
in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che
la rappresenta e difende,
– ricorrente contro
R.T.S. (RADIO TELE SPAZIO) S.P.A.,
– intimata avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Calabria,
n. 208/01/2008, depositata il 29/09/2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 marzo
2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;

Data pubblicazione: 31/05/2016

udito per la ricorrente l’Avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Paola
Mastroberardino, la quale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. Con sentenza depositata in data 19/9/2008 la C.T.R. Calabria confermava
la sentenza di primo grado che, in accoglimento del ricorso proposto dalla R.T.S.

sensi dell’art.

36-bis d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, per il complessivo

importo di e 19.747,04 a titolo di interessi e sanzioni per tardivi versamenti degli
acconti IRPEG ed IRAP relativi all’anno di imposta 1999.
Rilevavano i giudici d’appello che, in tale ipotesi, a parte la preclusione
derivante dall’avere la società presentato istanza di condono ex art. 9 legge 27
dicembre 2002, n. 289 (c.d. condono tombale),

per gli anni dal 1997 al 2001, le

sanzioni e gli interessi pretesi non avrebbero potuto comunque essere iscritti a
ruolo utilizzando la procedura ex art. 36-bis, ma la contestazione avrebbe dovuto
essere effettuata a norma del d.lgs. n. 18 dicembre 1997, n. 471, essendo a tal
fine anche necessaria l’indicazione, nella specie omessa, del responsabile della
sanzione, ai sensi dell’art. 98 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, e degli artt. 2 e
27 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
2. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione l’Agenzia delle
entrate, affidato a due motivi (corredati da quesiti di diritto).
L’intimata non ha svolto difese nella presente sede.
MOTIVI DELLA DECISIONE
3. Con il primo motivo di ricorso l’agenzia delle entrate deduce – ai sensi
dell’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ. – violazione dell’art. 9, comma
10, e dell’art. 9-bis legge 27 dicembre 2002, n. 289, per avere la C.T.R. ritenuto
preclusa dalla definizione con condono tombale l’applicazione di sanzioni e
interessi scaturenti da omessi versamenti. Rileva che, ai sensi dell’art. 9, comma
10, I. cit., tale preclusione è riferibile solo alle sanzioni connesse a maggiori

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S.p.A., aveva annullato la cartella di pagamento nei suoi confronti emessa ai

imponibili accertati, mentre quelli scaturenti da omessi versamenti sono sanabili
unicamente ai sensi dell’art. 9-bis della stessa legge, secondo la procedura ivi
prevista nella specie non attivata dalla contribuente per l’anno in questione
(1999).
Rimarca che l’attività posta in essere nel caso in esame dall’amministrazione
finanziaria non è riconducibile alla tipologia dell’accertamento, trattandosi,
invece, di controllo formale della dichiarazione, effettuato ai sensi dell’art. 36-bis
d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, i cui effetti sono espressamente fatti salvi
dall’art. 9, comma 9, legge 27 dicembre 2002, n. 289.
4. Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione
dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma primo n. 4, cod.
proc. civ..
Premesso che la società contribuente aveva, con il ricorso introduttivo,
esclusivamente contestato la possibilità per l’amministrazione di effettuare
accertamenti in rettifica relativamente alle annualità e alle imposte per le quali
essa aveva presentato istanza di condono c.d. tombale, lamenta che la sentenza
impugnata non si è limitata a pronunciarsi su tale tema di lite, ma ha affermato
l’illegittimità della cartella di pagamento impugnata anche perché emessa «in
violazione dei d.lgs. 471 – 472/97 con procedimento ritenuto non pertinente alle
violazioni contestate» e senza l’indicazione «del responsabile della sanzione».
5. È fondato il primo motivo di ricorso.
Ai sensi della legge n. 289 del 2002, art. 9, comma 9, la definizione
automatica per gli anni pregressi (di cui al comma 1) rende definitiva la
liquidazione delle imposte risultanti dalla dichiarazione, facendo, tuttavia, salvi
gli effetti della liquidazione delle imposte in base al D.P.R. n. 600 del 1973, art.
36-bis; ne consegue che la detta definizione non può incidere sulla liquidazione
ex art 36-bis e su quanto ad essa causalmente collegato (interessi – di per sé
stessi di natura accessoria – e sanzioni, riferite al ritardato pagamento di un
acconto che la contribuente doveva eseguire sulla base della sua stessa

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dichiarazione); da tanto discende che se la contribuente intendeva condonare
siffatte sanzioni ed interessi (oggetto della cartella impugnata), doveva avvalersi
della procedura di cui alla L. n. 289 del 2002, art.

9-bis pacificamente non

attivata nella fattispecie (v. in fattispecie analoga Cass., Sez. 5, n. 26725 del
29/11/2013).
6. è altresì fondato il secondo motivo di ricorso.
Come può univocamente ricavarsi dalla parte narrativa della sentenza
impugnata, a fondamento del ricorso introduttivo la contribuente aveva dedotto
l’illegittimità della cartella di pagamento esclusivamente in ragione della
prospettata preclusione derivante dall’adesione a condono tombale ex art. 9
legge 27 dicembre 2002, n. 289, nessuna contestazione essendo invece mossa
in relazione alla mancata osservanza delle prescrizioni dettate dal d.lgs. 18
dicembre 1997, n. 472, per la irrogazione delle sanzioni, né alcuna allegazione
difensiva risultando offerta circa la loro applicabilità nella fattispecie.
Trattandosi di questioni implicanti anche aspetti fattuali estranei al tema del
contendere non può dubitarsi che la loro trattazione da parte del giudice di
appello incorra nel vizio denunciato.
7. In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata deve essere quindi
cassata.
Non prospettandosi la necessità di ulteriori accertamenti in fatto, la causa
va decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con il rigetto del ricorso introduttivo
proposto dalla contribuente, la quale va altresì condannata al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
La natura della controversia ed alcune peculiarità della vicenda processuale
inducono a compensare tra le parti le spese di ambo i gradi del giudizio di
merito.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e, per l’effetto, cassa la sentenza impugnata;
decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposta dalla contribuente;

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.

compensa per intero le spese relative a entrambi i gradi del giudizio di merito;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese relative al presente giudizio di
legittimità liquidate in C 2.700,00, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso il 17/3/2016

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