Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11331 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11331 Anno 2016
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: IANNELLO EMILIO

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 25395/2009 R.G. proposto da
EMMEGI DETERGENTS S.P.A.,

in persona del suo legale rappresentante pro tempore, rappresentata e
difesa dall’Avv. Domenico D’Arrigo del Foro di Brescia ed elettivamente
domiciliata in Roma, Via M. Prestinari, n. 13, presso lo studio dell’Avv. Giuseppe
Ramadori, per procura in calce al ricorso,
– ricorrente contro
AGENZIA DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che
la rappresenta e difende,
– controrkorrente –

Data pubblicazione: 31/05/2016

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Lombardia,
n. 69/44/2008, depositata il 1/10/2008.
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 17 marzo
2016 dal Relatore Cons. Emilio Iannello;
udito per la ricorrente l’Avv. Paola Ramadori;
udito l’Avvocato dello Stato Pasquale Pucciariello per la controricorrente;

Mastroberardino, la quale ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.

Con sentenza depositata in data 1/10/2008 la C.T.R. Lombardia

confermava la decisione di primo grado di rigetto del ricorso proposto dalla
Emmegi Detergents S.p.A. avverso l’avviso con il quale l’Agenzia delle entrate
aveva ad essa irrogato la sanzione complessiva di euro 7.619,94 in relazione
all’omessa ritenuta Irpef per l’anno 2000 di euro 4.909,98 per compensi
corrisposti in nero a tre dipendenti e a due collaboratori occasionali, per un
ammontare complessivo di euro 33.450,91.
Avverso tale sentenza la Emmegi Detergents S.p.A. propone ricorso per
cassazione sulla base di tre motivi (corredati da quesiti di diritto), cui resiste
l’Agenzia delle entrate depositando controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 42 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, in relazione all’art. 360, comma
primo n. 3, cod. proc. civ., per avere rigettato il motivo di gravame con il quale
essa aveva reiterato l’eccezione di nullità dell’avviso di accertamento in quanto
mancante della necessaria indicazione delle aliquote applicate, degli scaglioni di
riferimento e delle detrazioni spettanti.
Rileva che a sopperire a tale lacuna non può valere il richiamo operato in
sentenza al processo verbale di accertamento (per quel che riguarda il computo
della ritenuta dovuta sui compensi corrisposti a due dei predetti soggetti,

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udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.ssa Paola

collaboratori occasionali) e al modello Cud dalla stessa società elaborato per gli
altri tre soggetti, lavoratori subordinati (da cui secondo la C.T.R. sarebbero stati
tratti i dati necessari per il calcolo delle ritenute in relazione ai maggiori
compensi corrisposti fuori busta), trattandosi di

«atti o conoscenze estranee

all’accertamento».
3.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e/o falsa

T.U.I.R., in relazione all’art. 360, comma primo n. 3, cod. proc. civ., per avere la
C.T.R. rigettato l’eccezione di illegittimità dell’avviso impugnato in quanto
comportante duplicazione d’imposta: eccezione sollevata sulla base del rilievo
che tre dei soggetti nei cui confronti erano stati erogati compensi fuori busta
(Salvi Giordano, Sarno Michele e Sanzeni Dario), avendo definito con atti di
adesione gli accertamenti nei loro confronti emessi, avevano versato le imposte
da essi dovute su tali compensi.
Rileva che, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, l’atto in questa
sede impugnato non era volto a irrogare sanzioni ma contestava altresì l’omesso
versamento delle ritenute, senza dedurre dall’imposta richiesta quanto già
versato dai sostituiti.
4. Con il terzo motivo deduce inosservanza dell’art. 112 cod. proc. civ., ai
sensi dell’art. 360, comma primo n. 4, cod. proc. civ..
Lamenta omessa pronuncia sulla domanda di rideterminazione delle sanzioni
applicate ai sensi dell’art. 12, comma 5, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472.
5.

Occorre preliminarmente rilevare che il ricorso non ottempera alle

prescrizioni imposte, a pena d’inammissibilità, dall’art. 366-bis c.p.c. (applicabile
alla fattispecie ratione temporis); i quesiti di diritto proposti in relazione a tutti i
motivi si rivelano invero inadeguati ad assolvere la precipua funzione di integrare
il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l’enunciazione del
principio giuridico generale; manca in particolare un riferimento compiuto alle
peculiarità del caso specifico necessario al fine di comprendere la pertinenza e la

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applicazione dell’art. 67 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 163

decisività del principio che si chiede sia enunciato.
Varrà al riguardo rammentare che una formulazione del quesito di diritto
idonea alla sua funzione richiede, pertanto, che, con riferimento ad ogni punto
della sentenza investito da motivo di ricorso, la parte – dopo avere del medesimo
riassunto gli aspetti di fatto rilevanti ed averne indicato il modo in cui il giudice lo
ha deciso – esprima la diversa regola di diritto sulla cui base il punto controverso

nei limiti del relativo accoglimento o rigetto (Sez. U, n. 7258 del 26/03/2007, Rv.
595864). È perciò inammissibile il motivo di ricorso per cassazione il cui quesito
di diritto si risolva in un’enunciazione di carattere generale e astratto, priva di
qualunque indicazione sulla sua riconducibilità alla fattispecie in esame, tale da
non consentire alcuna risposta utile a definire la causa nel senso voluto dal
ricorrente, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o
integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto
articolo (Sez. U, n. 6420 del 11/03/2008, Rv. 602276; Sez. 2, n. 16941 del
20/06/2008, Rv. 603733); come è parimenti inammissibile il ricorso per
cassazione nel quale l’illustrazione dei singoli motivi sia accompagnata dalla
formulazione di un quesito di diritto che si risolve in una tautologia o in un
interrogativo circolare, che già presuppone la risposta ovvero la cui risposta non
consenta di risolvere il caso sub iudice (Sez. U, n. 28536 del 02/12/2008, Rv.
605848).
6. I primi due motivi di ricorso si appalesano peraltro inammissibili anche
per difetto di specificità.
Essi invero non si confrontano con il contenuto integrale della motivazione
della sentenza impugnata e segnatamente con l’affermazione – esplicitata nel
primo capoverso di pagina 3 e costituente autonoma ratio decidendi, a ben
vedere anche di rilievo preliminare e assorbente – secondo cui l’atto impugnato
«propriamente non concerneva un’imposta, essendo diretto invece all’irrogazione
di sanzioni».

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andrebbe viceversa risolto, formulato in modo tale da circoscrivere la pronunzia

Tale rilievo, costituente accertamento di fatto, non viene fatto segno in sé di
alcuna rituale censura in questa sede (ma solo di incidentale e assertiva
affermazione di segno contrario contenuta al termine del secondo motivo di
ricorso) e rende inconferenti quelle formulate nei detti motivi i quali entrambi
postulano che si tratti invece (o quanto meno anche) di accertamento di
maggiori imposte.

l’atto irrogativo di sanzioni non richiede l’indicazione delle aliquote applicate
all’imposta che si assume evasa (questa semmai costituendo un presupposto
dell’irrogazione della sanzione medesima, la cui sussistenza o meno costituisce
questione di merito censurabile se del caso sul piano della motivazione, ma di
fatto non censurata nella specie), rispondendo piuttosto ai diversi requisiti
formali previsti dall’art. 16 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, con riferimento ai
quali nessuna contestazione è stata mossa.
Dall’altro, quanto al secondo motivo, nessun rilievo ostativo può assumere
l’eventuale pagamento da parte del sostituito della ritenuta non corrisposta, non
escludendo tale circostanza la sussistenza della violazione in ragione della quale
è irrogata la sanzione, donde l’infondatezza e inconferenza della prospettata
duplicazione d’imposta, come correttamente già evidenziato dai giudici a quibus.
7. È poi palesemente infondato il terzo motivo di ricorso, non sussistendo il

dedotto vizio di omessa pronuncia.
La C.T.R. invero prende espressamente in esame il motivo di gravame
riguardante la determinazione delle sanzioni irrogate e la dedotta mancata
applicazione del cumulo

ex

art. 12 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472,

disattendendolo sulla base del rilievo secondo cui è presente nell’atto accertativo
una «analitica indicazione … delle varie misure sanzionatoria applicate: … alla
stregua delle singole violazioni occorse (dichiarazione infedele, omessa
indicazione del numero dei percettori di compenso, omessa effettuazione alla
fonte delle ritenute e il loro mancato versamento), con il criterio di relativa

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È appena il caso di rilevare invero che, da un lato, quanto al primo motivo,

determinazione, e finale adozione, in concreto, della misura più favorevole al
contribuente, tenendo altresì conto dell’articolo 12 del d.lgs. n. 472/1997».
8. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato, con la conseguente condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate come da
dispositivo.
P.Q.M.

processuali liquidate in € 1.600,00, oltre eventuali spese prenotate a debito.
Così deciso il 17/3/2016

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese

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