Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11330 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. I, 29/04/2021, (ud. 29/01/2021, dep. 29/04/2021), n.11330

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. VANNUCCI Marco – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2595/2019 proposto da:

S.M.A.H., elettivamente domiciliato in Roma Via Asiago,

9, presso lo studio dell’avvocato Spighetti Edoardo, e rappresentato

e difeso dall’avvocato Guglielmo Silvana, giusta procura in calce al

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di CATANZARO, depositato il

19/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

29/01/2021 dal Cons. Dott. CLOTILDE PARISE.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con decreto n. 3708/2018 depositato il 19-11-2018 e comunicato il 5-12-2018 il Tribunale di Catanzaro ha respinto il ricorso di S.M.A.H., cittadino del (OMISSIS), avente ad oggetto in via gradata il riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e di quella umanitaria, all’esito del rigetto della sua domanda di protezione internazionale da parte della competente Commissione Territoriale. Il Tribunale, all’esito dell’audizione del richiedente, ha ritenuto che fosse non credibile la vicenda personale narrata dallo stesso, il quale riferiva di essere fuggito perchè era appartenente al partito (OMISSIS), era stato autista del leader di quel partito ed era stato minacciato e perseguitato dal gruppo terroristico (OMISSIS), i cui membri volevano ucciderlo. Il Tribunale ha ritenuto che non ricorressero i presupposti per il riconoscimento di alcuna forma di protezione, avuto anche riguardo alla situazione generale del Bangladesh, descritta nel decreto impugnato, con indicazione delle fonti di conoscenza.

2. Avverso il suddetto provvedimento, il ricorrente propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti del Ministero dell’Interno, che è rimasto intimato.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis.1 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. I motivi di ricorso sono così rubricati:” 1. Violazione e mancata applicazione delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2″; “2. Quindi violazione della L. n. 46 del 2017, art. 6, comma 9”; “3. Violazione del disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14 lett. A, B e C”; “4. Violazione della norma contenuta nel D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 e D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e conseguente violazione art. 2 Cost. e artt. 3 e 8 CEDU”. Con il primo motivo il ricorrente, nel dedurre che, ai fini della protezione sussidiaria, a differenza di quanto previsto per la definizione dello status di rifugiato, si richiede l’esistenza di un rischio effettivo, censura il giudizio di non credibilità espresso dal Tribunale, contestando la ricostruzione dei fatti di cui al decreto impugnato, in particolare rimarcando che il suo racconto non era contraddittorio e che il Tribunale non ha esercitato i poteri istruttori ufficiosi, avendo egli allegato di essere stato arrestato perchè appartenente al partito (OMISSIS) e perseguitato da un noto gruppo terroristico, molto attivo nel suo Paese, ed essendo ampiamente probabile che il nome di detto gruppo indicato dal richiedente fosse solo errato, non risultando così inficiata l’attendibilità del racconto. Con i motivi secondo e terzo si duole della mancata citazione nel decreto impugnato delle informazioni sul suo Paese della Commissione Nazionale Asilo, deduce di avere diritto alla protezione sussidiaria sia per il pericolo correlato al suo timore, da ritenersi fondato, di essere arrestato e detenuto in carcere per diverso tempo e forse anche per anni, sia per la situazione generale del suo paese, in ordine al sistema giudiziario e carcerario, alla grave condizione di povertà e di violazione dei diritti umani, come risulta dall’ultimo rapporto di Amnesty International, nonchè dalle pronunce di merito e di questa Corte che richiama. Con il quarto motivo si duole del mancato riconoscimento della protezione umanitaria, richiama la normativa di riferimento, rileva che il suo Paese non può ritenersi sicuro e rimarca che manca nel decreto impugnato l’indagine collegata alla violazione dei diritti alla vita e all’incolumità personale, nonchè quella sul contesto di provenienza, sul sistema giustizia e carcerario, anche tenuto conto dell’integrazione raggiunta in Italia dal ricorrente.

2. Il primo motivo è inammissibile.

2.1. La censura è diretta a sollecitare una rivisitazione del merito in ordine al giudizio di non credibilità, riproponendo il ricorrente la propria ricostruzione del narrato, che assume essere non contraddittorio. Il Tribunale, all’esito dell’audizione personale, non solo ha in dettaglio esaminato i fatti allegati, ma ha anche esercitato i poteri istruttori ufficiosi sulla vicenda personale del richiedente, non trovando alcun riscontro sul nome del gruppo terroristico da cui egli teme di essere ucciso (al riguardo nel ricorso si afferma che è “ampiamente probabile che il nome sia errato” senza altre precisazioni chiarificatrici), nè ha trovato riscontri sulla protesta del 25-3-2013 (pag. 6 e 7 decreto impugnato), indicata nel racconto.

3. Anche i motivi secondo e terzo, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione, sono inammissibili.

3.1. Come reiteratamente chiarito da questa Corte, una volta accertata dai Giudici di merito l’inattendibilità della vicenda dedotta come ragione causativa del rischio di danno grave ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), non vi è ragione di attivare il dovere di cooperazione istruttoria ufficiosa, neppure in ordine alla protezione delle Autorità statali (tra le tante Cass. n. 3340/2019 e Cass. n. 27336/2018), e peraltro, come si è già evidenziato, nella specie detto dovere è stato attivato, senza reperire notizie idonee a supportare la versione del ricorrente. Inoltre, in tema di protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), l’accertamento della situazione di “violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”, che sia causa per il richiedente di una sua personale e diretta esposizione al rischio di un danno grave, quale individuato dalla medesima disposizione, implica un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito. Il risultato di tale indagine può essere censurato, con motivo di ricorso per cassazione, nei limiti consentiti dal novellato art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. ord. 30105 del 2018).

Premesso che detto ultimo vizio non è specificamente dedotto in ricorso, a fronte della puntuale indicazione, nel decreto impugnato, delle fonti privilegiate relative all’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata ai sensi del citato art. 14, lett. c) (pag. 8), il ricorrente si limita a riportare nel ricorso un ampio stralcio dell'”ultimo” rapporto, di cui non indica la data, di Amnesty International, nonchè ampi stralci che assume tratti dal sito (OMISSIS) e dal sito di un quotidiano relativi alla situazione delle carceri, della libertà di espressione, dei diritti umani e del sistema giudiziario nel suo Paese, senza specificamente confrontarsi con la motivazione del decreto impugnato sul punto (pag. 8), che riporta informazioni reperite dal sito (OMISSIS), aggiornato a giugno 2018, da cui è tratta la conclusione dell’insussistenza della situazione rilevante ai fini che qui interessano nella zona di provenienza del ricorrente.

4. Parimenti inammissibile è il quarto motivo, relativo al diniego della protezione umanitaria.

4.1. Con riguardo alla disciplina applicabile ratione temporis in tema di protezione umanitaria, occorre premettere che la domanda di riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari presentata, come nella specie, prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, deve essere scrutinata sulla base della normativa esistente al momento della sua presentazione (Cass. S.U. n. 29459/2019).

4.2. Ciò posto, il ricorrente, denunciando il vizio di violazione di legge, richiama la normativa di riferimento e sentenze di merito e di legittimità, nonchè afferma di essere soggetto vulnerabile a causa della situazione del suo Paese, sia per le violazioni sistematiche di diritti umani, sia per le condizioni climatiche a rischio di tzunami, terremoti ed alluvioni, ma non deduce di aver allegato nel giudizio di merito ulteriori elementi individualizzanti di rilevanza o fatti specifici che possano rivestire decisività, nel senso precisato da questa Corte e chiarito con la recente pronuncia delle Sezioni Unite già citata (tra le tante Cass. n. 9304/2019 e Cass. S.U. n. 29459/2019). Inoltre deduce la mancata considerazione del contesto di provenienza, idoneo a provocare, in caso di rimpatrio, lesione alla sua dignità umana e alle “esigenze della vita privata”, senza, tuttavia, fare riferimenti alla sua integrazione in Italia.

La censura non si confronta rispetto a quanto affermato dal Tribunale, che, pur dando atto dell’attività di lavoro a tempo determinato svolta dal richiedente e rilevando alcune incongruenze nella documentazione esaminata, ha escluso la dimostrazione di un adeguato livello di integrazione sociale, personale e lavorativa ex art. 8 CEDU ed ha altresì preso in considerazione le condizioni climatiche del Bangladesh, ritenendole non catalogabili alla stregua di una calamità naturale.

L’assenza di integrazione così accertata preclude la valutazione comparativa rispetto alla condizione in cui il ricorrente si troverebbe in caso di rimpatrio, mancando uno dei fattori di comparazione. Inoltre la situazione del Paese di origine, ove prospettata in termini generali ed astratti come nella specie, è di per sè inidonea al riconoscimento della protezione umanitaria (Cass. S.U. n. 29459/2019 citata, in conformità a Cass. n. 4455/2018).

5. Nulla deve disporsi circa le spese del presente giudizio, stante il mancato svolgimento di attività difensiva da parte del Ministero.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. S.U. n. 5314/2020).

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 29 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

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