Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11329 del 26/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 26/04/2019, (ud. 17/01/2019, dep. 26/04/2019), n.11329

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 18796/2017 R.G. proposto da:

ERGO SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del Liquidatore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 114/B, presso lo

studio dell’avvocato RAINERI RODA, rappresentata e difesa

dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI;

– ricorrente –

contro

S.C.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 1889/2017 del TRIBUNALE di MILANO, depositata

il 15/02/2017;

udita la relazione svolta nella camera di consiglio non partecipata

del 17/01/2019 dal Consigliere Dott. Franco DE STEFANO.

Fatto

RILEVATO

che:

la Ergo srl in liq.ne propone ricorso, notificato a mezzo p.e.c. il

14/07/2017, avverso la sentenza n. 1889 del 15/02/2017 del Tribunale di Milano, con cui è stato solo in parte accolto il suo appello avverso la reiezione della domanda per il recupero di un credito da finanziamento per l’acquisto di un’enciclopedia nei confronti di S.C.: avendo il giudice del gravame riformato la sola condanna della Ergo ex art. 96 c.p.c., ma confermato la declaratoria di inammissibilità della sua domanda da parte del Giudice di pace di Rho, siccome già proposta e decisa all’esito del precedente giudizio iscr. al n. 873/13 del r.g. di quell’ufficio;

non espleta attività difensiva l’intimata;

è stata formulata proposta di definizione – per manifesta infondatezza – in camera di consiglio ex art. 380-bis c.p.c., comma 1, come modif. dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1-bis, comma 1, lett. e), conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197;

non sono depositate memorie ai sensi del medesimo art. 380-bis, comma 2, u.p..

Diritto

CONSIDERATO

che:

la ricorrente formula tre motivi: un primo, di “violazione o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, Violazione del principio del contraddittorio per omessa comunicazione di cancelleria e conseguente menomazione del diritto di difesa (artt. 101,136,320,321 e 311 c.p.c. – artt. 3 e 24 Cost., comma 1)”; un secondo, di “nullità della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, Omessa motivazione del giudice di secondo grado relativamente alla richiamata fattispecie di cui all’art. 292 c.p.c., valutata in via ultronea ai fini di sostenere la tesi della “mai avvenuta violazione del contraddittorio” nel giudizio di primo grado (artt. 115,116,132, comma 1, n. 4 e 161 c.p.c.)”; un terzo, di “violazione e/o falsa applicazione di legge, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, Erronea valutazione ed applicazione del principio di soccombenza in materia di condanna alla rifusione delle spese di lite e nuova liquidazione di esse, alla luce dei suesposti motivi di gravame. Effetto espansivo interno della sentenza d’appello (art. 91 e 336 c.p.c.)”;

i primi due motivi involgono la censura delle sentenze di merito per avere escluso qualsiasi violazione del contraddittorio quale conseguenza della prospettata violazione di un obbligo dell’ufficio di comunicare all’attore lo sviluppo del processo di primo grado;

ma il primo di questi è inammissibile – non solo perchè omette del tutto di indicare le ragioni per le quali le norme di cui si sostiene la violazione sarebbero state violate, quanto pure – poichè viola l’art. 366 c.p.c., n. 6, atteso che omette di fornire l’indicazione specifica degli atti su cui si fonda, cioè dell’iscrizione a ruolo davanti al giudice di pace e delle sue modalità, e del successivo svolgimento processuale: invece, l’onere di cui a detta norma avrebbe richiesto una compiuta identificazione delle scansioni dello svolgimento processuale; nè – e a maggior ragione, per effetto della mancata identificazione – è assolto l’onere di indicazione della sede processuale degli atti del fascicolo di primo grado: riguardo a ciò non essendo indicato se venne acquisito al giudizio di appello e se sia presente nel relativo fascicolo;

l’inammissibilità del primo motivo comporta quella del secondo, che verte sui fatti oggetto di quello;

e tanto sempre a tacere del fatto che la complessiva doglianza agitata coi primi due motivi è manifestamente infondata, visto che, in difetto anche solo della prospettazione di eventi specifici che avrebbero potuto far venire meno l’immanente onere dell’attore diligente di prendere parte al giudizio da lui stesso avviato con la notifica ed ai suoi sviluppi, ben potendo egli raffigurarsi l’evenienza che all’iscrizione a ruolo possa provvedere la controparte nel caso in cui egli non vi provveda, non sussiste – come rileva in modo ineccepibile il giudice di appello – alcun obbligo di comunicazione di chicchessia all’attore dell’andamento del giudizio: e per di più tanto a prescindere pure dalle peculiari modalità dell’iscrizione a ruolo nel procedimento dinanzi al giudice di pace nella giurisprudenza di legittimità (per tutte, v. Cass. 04/07/2007, n. 15123), a mente della quale, anche in questo in tema di iscrizione a ruolo della causa, la norma dell’art. 168 c.p.c. quanto alla possibilità dell’iscrizione a ruolo da parte del convenuto, va interpretata nel senso che l’inciso “se questi (scilicet: l’attore) non si è costituito” si riferisce sia alla mera mancanza di costituzione dell’attore, sia a tale mancanza per effetto della scadenza del termine di cui all’art. 165 c.p.c., sicchè va ammessa la costituzione del convenuto anche prima che sia scaduto il termine per la costituzione dell’attore ed è legittima l’iscrizione a ruolo su sua sollecitazione prima della scadenza di quel termine;

la conclusione è idonea a giustificare anche la sommarietà del richiamo all’art. 292 c.p.c., pienamente evincendosi il principio suddetto dalla motivazione e da solo quello bastando ad escludere la necessità di ulteriori argomenti;

il terzo motivo è poi manifestamente infondato, visto che la soccombenza, ai fini della regolazione delle spese, si rapporta certo all’esito concreto della lite e non a quello sperato o ritenuto più corretto da chi vi appare univocamente ed incontestabilmente soccombente; e, ad ogni buon conto, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass. Sez. U. 15/07/2005, n. 14989; Cass. 31/03/2006, n. 7607);

il ricorso va pertanto rigettato, ma non vi è luogo a provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, per non avervi svolto alcuna attività la controparte;

deve pure darsi atto – mancando la possibilità di valutazioni discrezionali (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 17 gennaio 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 aprile 2019

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