Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11327 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. I, 29/04/2021, (ud. 28/01/2021, dep. 29/04/2021), n.11327

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17851/2019 proposto da:

K.M., elettivamente domiciliato in Roma, in p.zza Apollodoro

26, presso lo studio dell’avvocato Filardi Antonio, che lo

rappresenta e difende, unitamente all’avvocato Zotti Antonella, con

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE di NAPOLI, depositato il 08/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

28/01/2021 dal Cons. rel. Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

Con decreto emesso l’8.5.19, il Tribunale di Napoli rigettò il ricorso proposto da K.M., cittadino della (OMISSIS), avverso il provvedimento della Commissione territoriale di diniego della sua domanda di protezione internazionale, sussidiaria e umanitaria. Al riguardo, il Tribunale osservò che: preliminarmente, erano infondate le varie questioni d’illegittimità costituzionale sollevate; le dichiarazioni rese dal ricorrente non erano riconducibili alle fattispecie di persecuzione, legittimanti lo status di rifugiato, nè a quelle della protezione sussidiaria ex art. 14, lett. a) e b); alla luce delle fonti esaminate era altresì da escludere che in Costa D’Avorio vi fosse una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato; non era altresì riconoscibile la protezione umanitaria, considerata la mancanza di elementi di vulnerabilità e data la mancata prova della raggiunta integrazione sociale in Italia, dove il ricorrente aveva svolto occasionalmente lavori saltuari.

K.M. ricorre in cassazione con tre motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO

Che:

Il primo motivo solleva la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, come modificato, per violazione degli artt. 3 e 24,111 Cost., nella parte in cui stabilisce che il termine per proporre ricorso per cassazione è di 30 gg. a decorrere dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado.

Il secondo motivo solleva la questione di legittimità costituzionale del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, come modificato, per violazione degli artt. 3 e 24,111 Cost., nella parte in cui stabilisce che la procura alle liti per la proposizione del ricorso per cassazione debba essere conferita, a pena d’inammissibilità, in data successiva alla comunicazione del decreto impugnato, in deroga all’art. 369 c.p.c..

Il terzo motivo denunzia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, letto in combinato disposto con l’art. 5, comma 6, e con l’art. 19, comma 1, n. 1, TUIM, e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in quanto il Tribunale aveva omesso l’esame di un fatto decisivo, ritenendo erroneamente insussistenti i presupposti della protezione sussidiaria, del predetto art. 14, ex lett. c), limitando la propria indagine a fonti informative non attuali e risalenti nel tempo, non svolgendo alcuna accertamento sulla attuale situazione socio-politica della Costa D’Avorio, interpretando male le dichiarazioni rese dal ricorrente e senza tener conto di alcune circostanze decisive per la decisione.

In particolare, il ricorrente lamenta che il Tribunale abbia omesso l’esame della documentazione prodotta per dimostrare la sua integrazione in Italia attraverso l’attività lavorativa svolta da anni (con contratto a tempo determinato) e vari rapporti di amicizia con italiani, svolgendo un ruolo attivo nella sua comunità; pertanto, il Tribunale non avrebbe effettuato da comparazione tra la situazione attuale del ricorrente in Italia e quella in cui verserebbe in caso di rimpatrio, omettendo di considerare sia il rischio di subire violazioni sistematiche e gravi dei diritti umani, sia la sua condizione personale di vulnerabilità (essendo partito dal suo paese in giovane età e non esistendo nel paese di provenienza familiari che si possano occupare di lui in caso di rimpatrio).

I primi due motivi – esaminabili congiuntamente poichè tra loro connessi – sono infondati essendo le due prospettate questioni di legittimità costituzionale prive di rilevanza, poichè: quanto al primo motivo, la questione, relativa all’eccessiva limitatezza del termine di trenta giorni prescritto per proporre ricorso per cassazione avverso il decreto del Tribunale, è manifestamente infondata poichè la previsione di tale termine è espressione della discrezionalità del legislatore e trova fondamento nelle esigenze di speditezza del procedimento; circa il secondo motivo, la questione è del pari manifestamente infondata poichè tale previsione non determina una disparità di trattamento tra la parte privata ed il Ministero dell’Interno, che non deve rilasciare procura, armonizzandosi con il disposto dell’art. 83 c.p.c., quanto alla specialità della procura, senza escludere l’applicabilità dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 3 (cfr. Cass., n. 17717/18).

Il terzo motivo è infondato. Anzitutto, va osservato che il Tribunale ha esaminato la questione della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, sub lett. c), escludendo, al riguardo, la ricorrenza in Costa D’Avorio di una situazione di violenza generalizzata ed indiscriminata, come desumibile dalle COI esaminate.

Parimenti destituita di fondamento è la doglianza afferente al mancato riconoscimento della protezione umanitaria. Al riguardo, il Tribunale ha escluso che il ricorrente abbia raggiunto un adeguato grado d’integrazione in Italia, data l’occasionalità di lavori saltuari, non avendo altresì allegato altri indici di vulnerabilità, limitandosi ad invocare la situazione socio-politica del paese di provenienza, ma senza prospettare alcuna correlazione specifica con la sua condizione individuale. Ne consegue l’irrilevanza della mancata comparazione tra la condizione attuale del ricorrente e quella in cui verserebbe in caso di rimpatrio, alla luce della mancata prova dell’integrazione sociale (Cass., n. 4455/18).

Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, pur nella soccombenza del ricorrente, considerato che il controricorso, molto sintetico, è generico e non integra un’effettiva difesa.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

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