Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11323 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/05/2011, (ud. 11/03/2011, dep. 23/05/2011), n.11323

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI

RIENZO 180, presso lo studio dell’avvocato CASTELLUCCI IGNAZIO,

rappresentato e difeso dall’avvocato PEPE FRANCESCO, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

SITIA YOMO S.P.A. in liquidazione e concordato preventivo (già SITIA

YOMO S.P.A.), in persona del legale rappresentante pro tempore,

selettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO 9,

presso lo STUDIO TRIFIRO1 E PARTNERS, rappresentata e difesa dagli

avvocati TRIFIRO’ SALVATORE, STEFANO BERETTA, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1129/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 15/11/2006 R.G.N. 1627/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2011 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato BERETTA STEFANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Palermo, con sentenza depositata il 15.11.2006, confermando la sentenza di primo grado del Tribunale della stessa sede, rigettava le domande proposte da S.D. contro la Sitia-Yomo s.p.a., dirette alla declaratoria della illegittimità dei termini finali apposti ai contratti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle parti l’1.3.1999, l’1.3.2000 e l’1.3.2001 con conseguente declaratoria dell’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato e condanna della società alla reintegra del lavoratore e al risarcimento del danno.

La Corte affermava che non costituiva motivo di illegittimità dei contratti a temine, stipulati in base alla L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 2, il fatto che l’impresa che aveva proceduto all’assunzione del lavoratore in mobilità fosse la stessa che precedentemente aveva licenziato il lavoratore ponendolo in mobilità, tale circostanza potendo rilevare solo ai fini dell’esclusione dei benefici contributivi previsti dal cit. art. 8, comma 4.

Riteneva anche che il limite massimo di dodici mesi previsto per l’assunzione a termine dall’art. 8, comma 2, non potesse riferirsi, come affermato dal primo giudice, a ciascuno di successivi contratti a termine, e che, invece, tale limite fosse riferibile nel complesso alle assunzioni a termine.

Riteneva quindi legittimi i primi due contratti semestrali dedotti in giudizio.

Quanto al terzo contratto, stipulato l’1.3.2001, esclusa l’idoneità del riferimento alla causale autonoma di cui all’art. 8 cit., riteneva applicabile la causale oggettiva di cui alla L. n. 232 del 1960, art. 1, lett. a), della speciale natura dell’attività lavorativa derivante dal carattere stagionale della medesima. Al riguardo ricordava le deduzioni della società resistente, non specificamente contestati dal S., secondo cui l’assunzione era avvenuta in vista del periodo di alta stagione e in concomitanza con i picchi stagionali (tra il marzo e l’agosto).

La Corte non riteneva ostativo neanche il fatto che il S. nelle assunzioni a termine fosse stato addetto alle stesse mansioni di piazzista venditore espletate nel precedente rapporto a tempo indeterminato. Infatti, non solo era stato il S. a pretendere ,in occasione della risoluzione di detto rapporto, l’offerta di quattro successive assunzioni a termine, ma anche nella stessa occasione era stato sottoscritto un verbale di conciliazione, con cui si dava atto della regolarità della procedura di licenziamento collettivo conclusa con accordo sindacale e le parti avevano definito ogni reciproco onere dipendente dal pregresso rapporto.

Infine la Corte dichiarava inammissibile il motivo di appello relativo alla violazione del diritto a precedenza nelle riassunzioni di cui alla L. n. 264 del 1949, art. 15, in mancanza di censure specifiche riguardo alla motivazione al riguardo del giudice di primo grado.

Il S. ricorre per cassazione con quattro motivi. La società intimata resiste con controricorso, illustrato da successiva memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, comma 2, e vizi di motivazione, censura la sentenza nella parte in cui non ha fatto propria la tesi che i tre contratti a termine violavano la L. n. 223 del 1991, art. 8, per il superamento del termine di un anno ivi previsto.

1.2. Il motivo è inammissibile. Risulta dalla sentenza impugnata che i primi due contratti, essendo semestrali, non superavano il limite di dodici mesi in questione, che quindi sarebbe superato solo considerando anche il terzo contratto, che però è stato giustificato dal giudice di appello sulla base di una diversa causale. Ne consegue che la censura di superamento di detto limite, per essere efficace, avrebbe dovuto comprendere idonei rilievi circa la qualificazione come stagionale del terzo contratto, che indubbiamente mancano, non potendosi esaurire nel richiamo all’elemento di fatto del riferimento anche di questo contratto al citato art. 8, in quanto la motivazione sul punto della sentenza prescinde dalla valorizzazione del dato testuale, ma fa riferimento alla funzione sul piano oggettivo del contratto. Del resto il conclusivo quesito di diritto pone solamente la questione se il termine massimo di 12 mesi vada riferito al singolo contratto o a tutti i contratti unitariamente considerati, peccando di inadeguata specificità e di irrilevanza rispetto alla linea motivazionale della sentenza impugnata.

2.1. Il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, artt. 4 e 24 e vizi di motivazione, lamenta che la Corte abbia erroneamente ritenuto che un accordo relativo alle future assunzioni a termine, peraltro non effettivamente concluso, potesse spiegare effetti su contratti successivi e diversi. Deduce inoltre che nella specie l’assunzione di personale a breve scadenza smentiva i presupposti della riduzione di personale.

2.2. Deve rilevarsi che il quesito di diritto si riferisce solo all’ultimo profilo, II motivo è quindi inammissibile perchè detto profilo riguarda una questione assolutamente nuova e relativa a domande non proposte. Peraltro il precedente profilo si riferisce a un passaggio motivazionale di cui non è evidente l’incidenza causale sulla decisione e la cui eventuale erroneità non può adeguatamente essere denunciata con una generica doglianza di vizio di motivazione.

3.1. Il terzo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione della L. n. 223 del 1991, art. 8, lamenta che non si sia considerata causa di illegittimità delle assunzioni a termine la coincidenza tra impresa che aveva posto il lavoratore in mobilità e quella che poi aveva proceduto alla sua assunzione a termine.

3.2. Il relativo conclusivo quesito di diritto è assolutamente inidoneo, risolvendosi nell’interrogativo, assolutamente generico e non riferito alle assunzioni a termine, se, in caso di ricorso alla procedura di riduzione di personale L. n. 223 del 1991, ex artt. 4 e 24, la violazione di tale normativa comporti la inefficacia e l’annullabilità di tutta la procedura. Anche il motivo in esame deve quindi ritenersi inammissibile (art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis).

4.1. Il quarto motivo, deducendo violazione e falsa applicazione della L. n. 264 del 1949, art. 15, censura la dichiarazione di inammissibilità del motivo di appello relativo alla violazione della disposizione citata, osservando che con l’atto di appello si era adeguatamente dedotto che la Sitia Yomo filiale di Catania,- successivamente alla procedura di mobilità aveva operato l’assunzione di due dipendenti con minore anzianità del ricorrente.

4.2. Il motivo è inammissibile in quanto non è adeguatamente censurata proprio la dichiarazione di inammissibilità del motivo di appello in questione, con riferimento anche al tenore sul punto della motivazione della sentenza di primo grado. Il quesito di diritto, poi, riguarda non l’ammissibilità del motivo di appello, ma il merito della relativa questione.

5. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Le spese del giudizio sono regolate in base al criterio legale della soccombenza.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare alla controparte le spese del giudizio, in Euro 25,00 per esborsi ed Euro duemilacinquecento per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA secondo legge.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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