Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11320 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. lav., 23/05/2011, (ud. 23/02/2011, dep. 23/05/2011), n.11320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAMORGESE Antonio – est. Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – Consigliere –

Dott. DI CERBO Vincenzo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.D., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato MARTUCCELLI CARLO,

rappresentato e difeso dall’avvocato ALONGI VITTORIO, giusta delega

in atti;

– ricorrente –

contro

CAFE’ DO BRASIL S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA DEL PARADISO 55,

presso lo studio dell’avvocato DELLA CHIESA D’ISACCA FLAMINIA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RIZZO NUNZIO, giusta delega in

atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7159/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI,

depositata il 14/02/2006 R.G.N. 960/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO LAMORGESE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 14 febbraio 2006, la Corte di appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado, che aveva rigettato la domanda proposta nei confronti della società Cafè do Brasil da S.D.. Costui, premesso di avere svolto l’attività di agente di commercio per conto della convenuta, ne aveva chiesto la condanna al pagamento in suo favore della somma di L. 208.518.000 per provvigioni non corrisposte, per compenso di esazione dei crediti della preponente, per indennità connesse alla risoluzione del rapporto e per restituzione dello star del credere.

Il giudice del gravame, nel disattendere l’impugnazione dello S., ha evidenziato che questi aveva percepito lo 0,05% a titolo di corrispettivo per la riscossione dei crediti della società, ed aveva ammesso che la previsione di una provvigione separata per tale attività era contenuta nel contratto individuale;

nessun profilo di insufficienza del medesimo compenso era stato da lui lamentato anteriormente alla doglianza, sollevata solo in appello, di incongruità di quella percentuale. Ha poi aggiunto il medesimo giudice che l’agente non aveva dimostrato di avere diritto ad integrazioni delle provvigioni e all’indennità di cui all’art. 1751 cod. civ., mentre la società aveva provato con documenti di avere corrisposto all’appellante le provvigioni spettanti come da contratto, nonchè l’indennità prevista dall’accordo economico collettivo del 27 novembre 1992 in caso di scioglimento del rapporto, da considerarsi più favorevole rispetto alla determinazione secondo la normativa legale.

Per la cassazione della indicata sentenza S.D. ha proposto ricorso per cassazione, con cinque motivi, cui l’intimata ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi due motivi, con i quali sono denunciati vizio di motivazione e violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., la sentenza impugnata è criticata per avere rigettato la richiesta di liquidazione di un maggior compenso per l’attività di incasso dei crediti della preponente, in base al rilievo che l’odierno ricorrente si era limitato ad affermare che la percentuale convenuta era incongrua: in tal modo, però, si assume in ricorso, la Corte territoriale non ha considerato il risultato positivo conseguito dalla società e il lavoro svolto dall’agente. Inoltre la Corte di merito ha rigettato le richieste di esibizione della contabilità (della quale era stato pure invocato il sequestro), e di consulenza tecnica, limitandosi ad affermare che la società aveva dimostrato con documenti la corresponsione delle provvigioni dovute, documentazione del tutto inesistente in atti.

Entrambi i motivi, da trattare congiuntamente, sono destituiti di fondamento.

Si deve infatti osservare che, secondo le ammissioni del medesimo S., nel contratto individuale di agenzia non solo era stato specificamente previsto un corrispettivo separato per l’attività di esazione, ma che esso era stato esattamente determinato nella percentuale dello 0,05% degli incassi. Per cui il ricorrente, che, in base alla statuizione della sentenza impugnata, qui non sottoposta a censura, relativa alla percezione della percentuale pattuita per l’attività di incasso, non può pretendere l’attribuzione di un compenso diverso da quello fissato nel contratto, facendo riferimento a criteri, quali quelli indicati nell’art. 2225 cod. civ., da applicare solo in mancanza di una determinazione convenzionale del corrispettivo per quella attività accessoria.

Il terzo motivo denuncia ancora una volta violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., e deduce che erroneamente il giudice del merito ha ritenuto indimostrato l’incremento del fatturato, malgrado l’aumento delle provvigioni corrisposte, passate da L. 36.853.747 del primo anno di attività a L. 98.048.637 del 1998, circostanza questa che valeva a provare l’aumento delle vendite.

Il quarto motivo, nel denunciare altro vizio riconducibile all’ipotesi prevista dall’art. 360 cod. proc. civ., n. 5, critica la Corte territoriale per avere rigettato, senza motivare il proprio convincimento, la censura formulata in appello di nullità della “simulata cessione di credito con la quale la società aveva, in pratica, addebitato al suo malcapitato agente l’intera perdita derivante dal mancato pagamento da parte dei clienti di due forniture”.

Il quinto motivo è intitolato “contraddittorietà della decisione”, e sostiene che il giudice del merito ha respinto la richiesta dell’indennità ex art. 1751 cod. civ. in base al rilievo che non erano state fornite le prove del requisito necessario per il riconoscimento del relativo diritto, senza tuttavia pronunciarsi sulle richieste istruttorie articolate nell’appello, perciò implicitamente rigettate.

Quest’ultimo mezzo di annullamento attiene così come il terzo alla questione della determinazione in base all’art. 1751 cod. civ. dell’indennità dovuta per la cessazione del rapporto di agenzia.

Essi non possono essere accolti.

Il quinto motivo è inammissibile, in quanto non trascrive nè comunque indica in modo specifico, contro il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione (v. fra le più recenti Cass. 30 luglio 2010 n. 17915), le circostanze oggetto delle prove che si assumono rigettate.

Mentre, riguardo al terzo, si deve evidenziare che la Corte di merito nel respingere l’istanza di liquidazione dell’indennità in base alla disciplina legale, ha osservato non solo che l’odierno ricorrente non aveva prospettato nel corso del giudizio che siffatta determinazione sarebbe stata per lui più favorevole rispetto a quella pattizia, ma che non aveva neppure indicato di avere consentito alla società preponente l’acquisizione di nuovi clienti o di incrementare il fatturato.

Orbene, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che “A seguito della sentenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee, 23 marzo 2006, in causa C-465/04, interpretativa degli artt. 17 e 19 della direttiva 86/653, ai fini della quantificazione dell’indennità di cessazione del rapporto spettante all’agente nel regime precedente all’accordo collettivo del 26 febbraio 2002 che ha introdotto l’indennità meritocratica, ove l’agente provi di aver procurato nuovi clienti al preponente o di aver sviluppato gli affari con i clienti esistenti (ed il preponente riceva ancora vantaggi derivanti dagli affari con tali clienti) ai sensi dell’art. 1751 cod. civ., comma 1, è necessario verificare se – fermi i limiti posti dall’art. 1751 cod. civ., comma 3, – l’indennità determinata secondo l’accordo collettivo del 27 novembre 1992, tenuto conto di tutte le circostanze del caso e, in particolare, delle provvigioni che l’agente perde, sia equa e compensativa del particolare merito dimostrato, dovendosi, in difetto, riconoscere la differenza necessaria per ricondurla ad equità” (cfr. Cass. 19 febbraio 2008 n. 4056).

E posto che l’asserito incremento del fatturato, che in ricorso si assume pacifico in atti senza che siano state spiegate le ragioni in base alle quali si sarebbe dovuta ritenere incontroversa detta circostanza, è stato espressamente escluso dal giudice del merito con statuizione non adeguatamente censurata (il ricorrente si è limitato a contrapporre la sua valutazione a quella del giudice), mancano gli elementi di fatto per procedere alla verifica cui fa riferimento il principio di diritto richiamato, necessaria ai fini della sussistenza del diritto all’indennità nella misura risultante dalla disciplina legale.

Il quarto motivo è inammissibile, in quanto a parte la contraddittorietà della deduzione con la quale da un lato si sostiene che il giudice di appello non aveva “proprio delibato” sul motivo concernente la nullità della simulata cessione di credito utilizzata dalla preponente per addebitare allo S., e dall’altro si assume l’implicito rigetto del medesimo motivo di appello senza alcuna motivazione, si deve rilevare che nella sentenza impugnata non vi è alcun riferimento alla suddetta questione e il ricorrente, anche qui in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non ha adempiuto all’onere della specifica indicazione delle censure proposte dinanzi al giudice del gravame sulle quali detto giudice non si sarebbe pronunciato e non ha riportato le ragioni che avrebbero potuto indurre all’accoglimento del gravame, così precludendo a questa Corte una completa cognizione della questione.

In definitiva, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della società resistente, delle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 14,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari, oltre spese generali, i.v.a. e c.p.a..

Così deciso in Roma, il 23 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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