Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11320 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. I, 10/05/2010, (ud. 13/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11320

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – Presidente –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. FIORETTI Francesco – Consigliere –

Dott. FORTE Fabrizio – rel. Consigliere –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sui ricorsi riuniti iscritti ai n. 13647 e 17286 del Ruolo Generale

degli affari civili dell’anno 2008, proposti da:

N.D., elettivamente domiciliata in Roma, Via Lazio n.

20c, presso lo studio legale Coggiatti e rappresentata e difesa dagli

avv.ti GALLO Michele del foro di Potenza e Tommaso Ricci da

Catanzaro, per procura in calce al ricorso;

– ricorrente principale –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del ministro in carica, ex leqe

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso il decreto emesso, nel procedimento n. 736/06 del ruolo

dell’equa riparazione dalla Corte di appello di Catanzaro, Sezione

Seconda Civile, il 13 – 31 marzo 2007;

Udita, all’udienza del 13 aprile 2010, la relazione del Cons. Dr.

Fabrizio Forte e sentito il P.G. Dr. Ignazio Patrone, che conclude

per l’accoglimento del ricorso principale e il rigetto di quello

incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

N.D. quale erede di N.V. ha chiesto, con ricorso del 5 ottobre 2007 alla Corte d’appello di Catanzaro, di condannare il Ministero della Giustizia a corrisponderle Euro 18.000,00, a titolo di equa riparazione per danni non patrimoniali da irragionevole durata del processo iniziato davanti al Tribunale di Potenza dalla opposizione di D.G. del 27 ottobre 1987 al decreto ingiuntivo chiesto e ottenuto dal de cuius, cui ella era subentrata con comparsa di costituzione del 1 febbraio 1989, in una causa ancora pendente alla data della domanda a base di questo giudizio, alla quale il Ministero ha resistito.

La Corte d’appello adita, con il decreto di cui in epigrafe, ha accolto in parte la domanda, ritenendo irragionevoli, nel processo presupposto, circa dodici anni, in rapporto al tempo ordinario di definizione delle cause in primo grado (tre o quattro anni), dei ritardi addebitabili alle parti e di quelli non imputabili all’apparato predisposto dallo Stato italiano; in ordine alla complessità del caso e al comportamento delle parti, si è fissato l’indennizzo in complessivi Euro 6.000,00, (Euro 500,00 annui), con spese a carico del convenuto.

Per la cassazione di tale decreto, la N. ha proposto ricorso di due motivi, lamentando la violazione dei parametri usati in sede sovranazionale per determinare in primis la durata irragionevole del processo presupposto e in secondo luogo per liquidare l’equo indennizzo.

Il Ministero della giustizia si è difeso con controricorso e ricorso incidentale di due motivi, domandando in via preliminare di dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso principale per essere la donna coerede dell’originario opposto e interessata solo pro quota ad ottenere le somme dovute al dante causa e quindi in ragione dell’interesse che la donna avrebbe avuto alla continuazione del processo presupposto anche per la natura di valuta del debito controverso, per cui alla stessa nessun danno non patrimoniale poteva riconoscersi.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente vanno riuniti i due ricorsi, principale e incidentale, contro lo stesso provvedimento ex art. 335 c.p.c.. Il ricorso incidentale sui due punti dell’errato computo della durata irragionevole e sulla insussistenza del danno non patrimoniale, precede logicamente quello principale; esso è infondato e deve essere respinto.

2.1. In ordine al periodo di durata irragionevole ritenuto eccessivo le censure sono generiche e quindi inammissibili; si afferma poi, sul danno non patrimoniale, che la ricorrente avrebbe avuto un preciso interesse al perdurare del processo di opposizione a decreto ingiuntivo di cui si era negata la provvisoria esecuzione, trattandosi di obbligazione di valuta, per cui la durata del giudizio l’avvantaggiava, consentendole di lucrare sul ritardo del pagamento per la natura di valuta della obbligazione; tale tesi, in fatto, non tiene conto che il dante causa della N. era creditore e non debitore, per cui ogni ritardo nell’adempimento del credito di valuta non poteva che danneggiare lui e la sua avente causa e quindi il ricorso incidentale è infondato anche per tale profilo.

2.2. Il ricorso principale è infondato per la parte in cui censura il decreto di merito per la mancata indicazione della durata ragionevole del processo.

Invero in rapporto alla durata del processo, per la N. il decreto fa decorrere lo stesso dal febbraio 1989, data della sua costituzione in giudizio in luogo del padre deceduto, dovendosi ritenere ragionevole per il suo dante causa la fase precedente di due anni del primo grado di causa; dei residui anni di causa se ne sono ritenuti ingiustificati solo dodici, per i quali vi è stata la liquidazione di Euro 500,00 annui, anche in rapporto alla posizione della ricorrente che era solo cointeressata al risultato del giudizio insieme con i suoi coeredi. Peraltro non può considerarsi in concreto eccessivamente bassa la liquidazione della riparazione del danno non patrimoniale in Euro 500,00 all’anno per la durata irragionevole del processo presupposto, perchè è simile a quella elaborata dalla C.E.D.U., che ritiene in astratto che l’equo indennizzo debba calcolarsi in somme da Euro 1.000,00 ad Euro 1.500,00 all’anno per l’intera durata del processo (in tal senso, Cass. n. 5591/2009, n. 1048/ 2009, n. 2950/2008, n. 1605/2007, n. 24356/2006) ma, in concreto, riconosce come equa in Italia, in rapporto alle condizioni di vita del paese, una riparazione del danno non patrimoniale in somme inferiori alla metà di quelle di cui sopra (Cass. n. 16086/09), per cui va ritenuta congrua, anche in base a quanto afferma la Corte d’appello in ordine alla esiguità della posta in gioco, la somma di Euro 500,00 annui, comunque maggiore di quella recentemente determinata dalla C.E.D.U. in rapporto ad un processo amministrativo (2^ sez. 16 marzo 2010 – Volta et autres c. Italie – Ric. n. 43674/02).

In conclusione, riuniti i ricorsi, li rigetta e, per la reciproca soccombenza, compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsici rigetta e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 13 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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