Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11319 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. I, 29/04/2021, (ud. 22/12/2020, dep. 29/04/2021), n.11319

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15164/2019 proposto da:

A.N., elettivamente domiciliato in Robbiate (Le) via Novarino 6,

presso lo studio dell’Avv. Massimiliano Vivenzio,

(massimiliano.vivenzio.lecco.pecavvocati.it) che lo rappresenta e

difende;

– ricorrente –

contro

Ministero Dell’Interno;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di MILANO, depositato il 02/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/12/2020 da Dott. PIERLUIGI DI STEFANO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.N., cittadino del (OMISSIS), ricorre con quattro motivi avverso il decreto del Tribunale di Milano del 2 aprile 2019 che rigettava il suo ricorso avverso il provvedimento del 22 settembre 2017 della Commissione territoriale di diniego del riconoscimento dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria o del permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Espone, quanto ai fatti per i quali è richiesta protezione:

nato in (OMISSIS), di etnia punjabi, residente nel (OMISSIS), musulmano sciita; il padre, che insieme allo zio rivestiva ruoli nella comunità sciita, era stato ucciso dai talebani nel (OMISSIS). Lui stesso nel (OMISSIS) aveva ricevuto minacce.

Il Tribunale riteneva tale racconto inattendibile valutando che il ricorrente aveva fornito indicazioni evidentemente erronee sull’organizzazione cui avrebbe partecipato il padre, non avendo alcuna consapevolezza sui contenuti delle sue proposte. Inoltre, nell’arco temporale del 2010 non risultavano attacchi armati di quella organizzazione terroristica nell’area di residenza del ricorrente.

Ciò consentiva di escludere la credibilità delle ragioni dedotte e, quindi, la insussistenza delle condizioni per la protezione.

Quanto alle ragioni umanitarie, rilevava come non vi fosse ragione per ritenerle rispetto alla vita condotta da A.N. nel paese di provenienza.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 11, lett. a), in quanto il Tribunale, pur non essendo disponibile la videoregistrazione del colloquio personale innanzi alla commissione territoriale, ha deciso senza disporre nuova audizione.

Il motivo è inammissibile in quanto nel pieno rispetto della disposizione invocata “con provvedimento del 30 aprile 2018 è stata fissata udienza ex art. 35 bis, comma 11”. Nè nel motivo, del tutto generico, si deduce alcuna di quelle condizioni che, secondo la giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, Sentenza n. 21584 del 07/10/2020 (Rv. 658982-01), comportano la necessità della audizione.

Con il secondo motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, per non avere il Tribunale applicato i principi in materia di attenuazione dell’onere della prova gravante sul richiedente la protezione internazionale.

Il ricorso non supera il vaglio preliminare di inammissibilità per il suo contenuto del tutto generico. Il Tribunale ha considerato le allegazioni del richiedente, in ossequio alle disposizioni citate, rilevando come la inattendibilità di tali allegazioni, non facendo scattare l’obbligo di cooperazione istruttoria, lo sollevassero dal procedere ad un ulteriore approfondimento. In tale contesto, il motivo è privo di alcuno sviluppo di argomentazioni riferibili al caso concreto, risolvendosi in una generica doglianza.

Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 1 della Convenzione di Ginevra in relazione alla reiezione della domanda di riconoscimento dello status di rifugiato e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, in tema di onere probatorio attenuato.

Sono mancate valutazioni adeguate in ordine alle conseguenze della situazione dovuta anche alla uccisione del padre ad opera di talebani.

Anche in questo caso il motivo è inammissibile per palese genericità. Vale quanto già riferito per il precedente motivo, ovvero che il Tribunale, per la inattendibilità della versione dei fatti, ha correttamente escluso la necessità di procedere ad istruttoria di ufficio in quanto proprio il citato comma 5, invocato dal ricorrente la impone solo a fronte di una seria allegazione da parte dell’interessato. A fronte di ciò, il motivo si limita ad una genericissima ripetizione delle circostanze di fatto, del tutto irrilevanti per il fine di dimostrare la violazione di legge denunciata.

Con il quarto motivo deduce la violazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in relazione alla reiezione della richiesta di riconoscimento della protezione umanitaria. Non è stata adeguatamente valutata la sproporzione fra i due contesti di vita, in Italia e nel paese di origine, escludendosi la sussistenza di elementi di inclusione.

Anche questo motivo è del tutto inammissibile risultando pressochè privo di alcuno sviluppo trattandosi di una generica doglianza riferibile a qualsiasi procedimento nello stesso settore senza alcuna considerazione del caso concreto e del contenuto della sentenza impugnata.

In definitiva, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile senza provvedere sulle spese, in assenza di attività difensiva dell’intimato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso. Nulla per spese.

Così deciso in Roma, il 22 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

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