Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11317 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. III, 23/05/2011, (ud. 21/04/2011, dep. 23/05/2011), n.11317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco – Presidente –

Dott. FILADORO Camillo – rel. Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

COMUNIONE EREDITARIA B.M. (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso

lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato MAUCERI CORRADO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

e contro

MASCA DI RODA CATERINA E PALMAS PIETRO SNC;

– intimato –

avverso la sentenza n. 180/2008 del TRIBUNALE di SANREMO, emessa il 1

aprile 2008, depositata il 01/04/2008; R.G.N. 1469/2007.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2011 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l’Avvocato IPPOLITI FRANSCEO delega Avvocato PAFUNDI GABRIELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta che ha concluso per rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 17 gennaio – 8 giugno 2007 la Corte d’appello di Genova confermava la decisione del Tribunale di Sanremo, dichiarando la intervenuta cessazione alla data del 31 dicembre 2003 del contratto di affitto di azienda del Bar gelateria del Porto di Sanremo, e la illegittimità della permanenza della Masca s.r.l. nella detenzione della azienda.

La Comunione ereditaria B.M. notificava alla Masca s.n.c. in data 22 maggio 2007 atto di precetto, intimando la restituzione della azienda e dei locali illegittimamente occupati.

Proponeva opposizione la M., assumendo che costituiva fatto impeditivo della esecuzione della sentenza del Tribunale il contratto stipulato in data 1 giugno 2006, con il quale R.C., nella sua qualità di erede di B.M. per la quota di un terzo, aveva concesso in affitto alla M. l’azienda Gelateria del Porto con relative pertinenze per la quota ideale di un terzo dell’intero, indivisa, ai sensi dell’art. 1103 c.c., a far data dal 1 giugno 2006.

Nelle more del giudizio di opposizione alla esecuzione, l’ufficiale giudiziario in data 3/8 agosto 2007 immetteva la Comunione ereditaria B.M. nel possesso della azienda.

Il Tribunale con ordinanza del 6 novembre 2007 dichiarava la cessazione della materia del contendere, ritenendo che non potesse essere utilmente sospesa la efficacia esecutiva del titolo già eseguito dal creditore, se pure a suo rischio, in pendenza di una opposizione alla esecuzione. Nel giudizio di opposizione la Masca proponeva ricorso ex art. 700 c.p.c. per sentire ordinare la reintegrazione della società nei locali del bar gelateria. Il Tribunale di Salerno, con sentenza 180 del 2008, ha dichiarato la inefficacia del precetto 22 maggio 2007, con il quale era stata intimata alla Masca s.n.c. di R.C. e P.P. la consegna in favore della Comunione ereditaria B.M. della azienda denominata Bar Gelateria del Porto in Sanremo. La società opponente aveva dedotto la inesistenza del diritto azionato, avendo stipulato in data 1 giugno 2006 un contratto di affitto avente ad oggetto la quota ideale (1/3) della predetta azienda di pertinenza della comunista R.C. (avendo la madre di C. e R.M. lasciato alla prima la quota legittima – pari ad un terzo – e a Caterina Rosa la quota legittima e quella disponibile -e dunque complessivamente un terzo dell’asse ereditario accogliendo la opposizione, il Tribunale osservava che R.C., dopo la sentenza sopra richiamata, aveva proceduto a cedere alla Masca (società in nome collettivo della quale era socia insieme al marito P.P.) il diritto di godere, nei limiti della quota di proprietà indivisa, della azienda sopra indicata.

Ad avviso del Tribunale, tale fatto nuovo, sopravvenuto alla formazione del titolo esecutivo giudiziale, era dotato di una valenza impeditiva della pretesa azionata dalla Comunione, avente ad oggetto la restituzione della azienda nella sua integralità.

Non era condivisibile la tesi sostenuta dalla Comunione secondo la quale la nomina dell’amministratore delegato alla amministrazione del bene in comunione avesse fatto venir meno il diritto della comunista R. di disporre della quota di sua pertinenza. La nomina di un amministratore è prevista dalla legge solo con riferimento alla attività di amministrazione della cosa comune e non riguarda il potere del partecipante alla comunione di disporre della cosa stessa.

Oggetto del contratto stipulato dalla R., sottolinea il Tribunale, non era – infatti – una quota della azienda (consistente in una universalità di beni in suscettibile di frazionamento) bensì del relativo diritto di godimento, frazionabile in quote ideali al pari di ogni altro diritto. Avverso tale decisione ha proposto ricorso la Comunione ereditaria con sei motivi, illustrati da memoria. La intimata non ha svolto difese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si deduce la omessa pronuncia ed extrapetizione, e la violazione dell’art. 112 c.p.c.. Alla udienza fissata ex art. 281 sexies c.p.c., la Masca aveva richiesto che il giudice prendesse atto della cessazione della materia del contendere (pur avendo, materialmente trascritto le conclusioni della opposizione a precetto), considerato che l’ufficiale giudiziario aveva dato già esecuzione alla sentenza, immettendo la comunione ereditaria nel possesso della azienda.

Il giudice non aveva preso in esame tale domanda, donde la violazione delle norme indicate.

La domanda originaria di Masca, che non aveva più interesse alla decisione, doveva intendersi rinunciata. Le censure soni infondate.

Si tratta, infatti, di domande proposte dalla controparte e non già di domande della Comunione ereditaria, Le stesse dovevano considerarsi comunque implicitamente rigettate. Gli altri motivi dal secondo al sesto riguardano la violazione delle norme di cui all’artt. 1103-1109 c.c., art. 112 c.p.c., art. 615 c.p.c., art. 1418 c.c., comma, deducendosi la simulazione, nullità ed inopponibilità del contratto 1 giugno 2006 nei confronti della Comunione ereditaria.

Rileva la ricorrente che la snc. Masca altri non è che la stessa R.C. (socia maggioritaria) in società con il marito P.P. (socio minoritario). Tutti i motivi di ricorso sono infondati.

Quanto al secondo motivo (violazione artt. 1103, 1105, 1106, 1107, 1108, 1109 c.c. violazione art. 615 c.p.c.) il Tribunale di Sanremo ha accolto la opposizione della Masca snc ritenendo inesistente il diritto al rilascio azionato dalla Comunione ereditaria, perchè in data 1 giugno 2006 era stato stipulato un contratto con il quale la R. concedeva in affitto l’azienda alla Masca, con relative pertinenze.

La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione dei principi più volte affermati dalla giurisprudenza di questa Corte secondo la quale l’art. 1105 c.c. regola esclusivamente il potere di amministrazione della cosa comune nella sua interezza, ma non preclude la locazione di una quota ideale del bene comune, che è sempre consentita dalla disposizione di cui all’art. 1103 c.c., in forza del quale gli atti dispositivi della quota medesima e la amministrazione di essa riguardano il singolo titolare (Cass. n. 165 del 2005, 330 del 2001).

Infondate sono anche le censure sollevate con il terzo motivo (violazione artt. 1418, 1346, 1615, 2555 e 2556 c.c., e vizi di motivazione).

La R. aveva sostituito a se stessa la società per il caso di gestione diretta.

Per il caso di gestione indiretta si trattava, semmai, di inopponibilità nei confronti della Comunione, ma non di limiti al potere di disposizione della quota (Cass. 320 dell’11 gennaio 2001).

Il quarto motivo riguarda la violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il Tribunale di Sanremo disatteso totalmente la eccezione della comunione in ordine alla inapplicabilità dell’art. 1103 c.c. nel caso in cui l’atto di concessione in godimento a terzi della quota ideale abbia per oggetto una azienda (complesso di beni organizzato, il cui godimento non può che essere unitario). Anche queste censure sono prive di fondamento. E’ principio affermato chiaramente dal Tribunale quello secondo cui la quota ideale di un bene in comunione, anche se produttivo come l’azienda, può essere concesso in affitto da uno dei contitolari.

Del tutto generica è la censura del carattere simulato del contratto (art. 1414 c.c.) con prospettata violazione dell’art. 112 c.p.c. come quella relativa alla indeterminatezza dell’oggetto del contratto, per la mancata identificazione dell’azienda, della sua ubicazione e della identificazione a mezzo della licenza commerciale.

L’ultimo motivo concerne la violazione dell’art. 112 c.p.c. ed il vizio di omessa pronuncia.

La sentenza impugnata, ad avviso del ricorrente, non conterrebbe alcuna pronuncia in ordine alla ulteriore eccezione, sollevata dalla Comunione ereditaria, in ordine alla inopponibilità nei propri confronti ex art. 2194 c.c., del contratto di affitto di azienda del 1 giugno 2006, sottoscritto dalla Masca con la coerede e comunista R.C..

Tale contratto era stato stipulato in forma scritta, ma non con le formalità prescritte dalla legge, per i contratti che – come nel caso di specie – hanno ad oggetto la cessione in godimento di una azienda. Formalità questa che è richiesta ai fini della iscrizione presso il registro delle imprese, prevista dal predetto articolo.

Anche su questa specifica eccezione, dedotta sia nell’atto di reclamo del 28 agosto 2007 che con la comparsa di costituzione e risposta per la fase di merito 11 dicembre 2007, il Tribunale aveva omesso ogni pronuncia, così incorrendo nella violazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c. La censura formulata con l’ultimo motivo è infondata, essendo implicito il rigetto della stessa nell’accoglimento della opposizione.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato.

Nessuna pronuncia in ordine alle spese non avendo gli intimati svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 21 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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