Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11317 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/06/2020, (ud. 05/12/2019, dep. 12/06/2020), n.11317

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHINDEMI Domenico – Presidente –

Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. FASANO Anna Maria – rel. Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13913-2016 proposto da:

S.P.G., rappresentato e difeso in proprio,

elettivamente domiciliato in ROMA VAL DI BOCCEA 86, presso lo studio

dell’avvocato NICOLA FALVELLA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

– resistente –

avverso la sentenza n. 2995/2016 della COMM.TRIB.REG.SEZ.DIST. di

SALERNQ, depositata il 30/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

05/12/2019 dal Consigliere Dott.ssa FASANO ANNA MARIA.

Fatto

RITENUTO

CHE:

S.P.G. impugnava, cumulativamente, cinque avvisi di accertamento con i quali il Comune di Cava dei Tirreni chiedeva per gli anni 2008 – 2012 una maggiore TARSU/TIA in relazione all’appartamento per il quale la concessionaria So.Ge.T. S.p.A. aveva accertato una maggiore superficie rispetto a quella dichiarata. Nell’occasione il contribuente versava il contributo unificato di Euro 30.00. Con sentenza n. 924 del 2014 la Commissione Tributaria Regionale rigettava il ricorso, ritenendolo infondato. La pronuncia veniva appellata innanzi alla Commissione Tributaria Regionale della Campania che accoglieva il gravame, ritenendo mancante il presupposto della tassa. Nelle more del giudizio sulla TARSU, l’Ufficio Recupero Spese di Giustizia della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno invitava il contribuente a versare il pagamento del diverso contributo di Euro 128.75.

S.P.G. impugnava tale atto impositivo innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale, eccependo la decadenza dall’imposizione perchè intervenuta oltre il termine di trenta giorni fissati dalla normativa di settore e la cumulabilità del contributo unificato. L’adita Commissione rigettava il ricorso, con sentenza n. 2004/4/14, assumendo che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 12, comma 5, non consentiva il cumulo del contributo unificato.

S.P.G. appellava la pronuncia, notificando

l’atto di appello al Ministero dell’Economia e Finanze, Commissione Tributaria di Salerno – Ufficio Recupero spese di giustizia. L’appello veniva ricevuto dalla Commissione Tributaria Regionale che lo iscriveva al n. 5141/14. Nei termini di trenta giorni dalla notifica il contribuente depositata l’appello, con relata di notifica alla Commissione Tributaria Regionale, che, invece di unirlo a quello già ricevuto ed iscritto al n. 5141/14 lo iscriveva con il nuovo e diverso n. 5202 /15 R.G.A. Con decreto del 5.11.2014, il Presidente della Commissione Tributaria Regionale della Campania fissava l’udienza di comparizione del ricorso iscritto al n. 5141/14 riunito al ricorso n. 5202/14, perchè entrambi avverso la medesima sentenza. Avverso tale decreto il contribuente svolgeva reclamo ex art. 28 cod.trib. eccependo di non avere mai ritualmente proposto e depositato, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, alcun appello iscritto al n. 5141/ 2014, ma unicamente quello iscritto al n. 5202 del 2014, solo in ordine al quale aveva interesse alla trattazione. Con sentenza n. 2453 del 2015, la Commissione Tributaria Reginonale dichiarava l’appello inammissibile, sia perchè non risultava notificato alla Commissione Tributaria Provinciale di Salerno, sia perchè l’atto reclamato non rientrava in quelli indicati del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 27 e 28. In data 6.2.2015 interveniva la sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 1143 resa nel giudizio n. 3719 del 2014 che annullava la sentenza della CTP n. 924 del 4.2.2014, relativa all’accertamento TARSU. Il contribuente proponeva ricorso per revocazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale n. 2453 del 2015, chiedendo la sospensione dei termini per l’impugnazione in Cassazione. L’adita Commissione, con sentenza n. 299 del 2016, dichiarava inammissibile l’appello per revocazione straordinaria e rigettava l’appello per revocazione ordinaria. S.P. propone ricorso per cassazione affidato ad un solo motivo ed ha presentato istanza di riunione ex artt. 273 -274 c.p.c.. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze si è costituito in giudizio al solo fine della eventuale partecipazione all’udienza di discussione della causa.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

1.Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione del giusto processo (art. 111 Cost, artt. 112,163,164,276,277,360 c.p.c., art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, artt. 395,398, 498 c.p.c. e artt. 118, 131 e 141 disp. att. c.p.c.), atteso che sia il giudizio di appello (n. 5202/14 erroneamente riunito all’inesistente n. 5141/14), che il giudizio di revocazione (n. 5427/15), presenterebbero palesi vizi procedurali di abuso di diritto, omesso esame e omessa pronuncia su punti decisivi della controversia che deporrebbero per la denegata giustizia ed il denegato giusto processo, che si risolvono in vizi di nullità processuale per tutte le ipotesi dell’art. 360 c.p.c., in relazione alle norme enunciate in rubrica.

Si lamenta che: a) la revocazione mira ad ottenere una nuova valutazione della controversia da parte dello stesso giudice che ha adottato la sentenza impugnata, in presenza di circostanze non valutate o non correttamente valutate al momento della decisione, mentre nella specie la revocazione viene assunta dalla Sezione 4 della Commissione Tributaria Regionale, ovvero da un giudice diverso da quello proposto.

b) Il Collegio omette di pronunciarsi sulla illegittima costituzione del Collegio in sede di reclamo D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 28, nella esplicazione dell’art. 178 c.p.c., inoltre, l’esame del reclamo che proceduralmente avrebbe dovuto precedere il ricorso in appello, era avvenuto in pubblica udienza e con la presenza dello stesso giudice (Presidente) che aveva emesso il decreto reclamato.

c) Nel respingere la revocazione, i giudici ometterebbero di esaminare l’inesistenza processuale e giuridica del ricorso n. 5141 del 2014 che colpevolmente la Segreteria della Commissione Tributaria Regionale aveva iscritto al R.G.A. formandone d’ufficio il relativo fascicolo del processo.

d) Il Collegio non motiverebbe sul merito del reclamo proposto nell’appello n. 5202 del 2014.

e) Il Collegio erroneamente stabilirebbe che, nel caso di ricorso cumulativo, il contributo unificato fosse dovuto in relazione ad ogni singolo atto impugnato oggetto di ricorso.

f) I giudici di appello ometterebbero di pronunciarsi sulle questioni pregiudiziabili di incostituzionalità e violazione della normativa CEDU proposte dal contribuente in ordine al pagamento del contributo unificato.

g)Infine, i giudici di appello ometterebbero di pronunziarsi sulla istanza di sospensione dei termini per il ricorso in Cassazione dell’appellata sentenza pur riconoscendone la ricorribilità, di fatto privando il ricorrente del diritto impugnatorio.

2. Il Collegio, preliminarmente, non accoglie la richiesta di riunione del presente ricorso al ricorso n. 5915 del 2019, per ragioni di economia processuale, tenuto conto che i ricorsi sono stati proposti avverso diverse sentenze della Commissione Tributaria Regionale, impugnate sotto differenti profili.

3. Il ricorso è inammissibile.

3.1.La denuncia è inammissibile per carenza di autosufficienza (Cass. n. 17049 del 2015), in ragione dell’indirizzo ampiamente condiviso da questa Corte, secondo cui se la parte lamenta la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, tali motivi devono essere riportati nella loro integralità nel ricorso (Cass. n. 14561 del 2012), in quanto, in difetto, non si consente alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi, senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte.

E’ stato affermato: “Il ricorso per cassazione deve ritenersi ammissibile in generale, in relazione al principio di autosufficienza che lo connota, quando da esso, pur mancando l’esposizione dei motivi del gravame che era stato proposto contro la decisione del giudice di primo grado, non risulti impedito di avere adeguata contezza, senza necessità di utilizzare atti diversi dal ricorso, della materia che era stata devoluta al giudice di appello e delle ragioni che i ricorrenti avevano inteso far valere in quella sede, essendo esse univocamente desumibili sia da quanto nel ricorso stesso viene riferito circa il contenuto della sentenza impugnata, sia dalle critiche che ad essa vengono rivolte. Solo nel caso della deduzione del vizio per omessa pronuncia su una o più domande avanzate in primo grado è, invece, necessaria, al fine dell’ammissibilità del ricorso per cassazione, la specifica indicazione dei motivi sottoposti al giudice del gravame sui quali egli non si sarebbe pronunciato, essendo in tal caso indispensabile la conoscenza puntuale dei motivi di appello” (Cass. n. 14561 del 2012; Cass. 17049 del 2015).

3.2.Ciò premesso, l’inammissibilità del motivo investe altri profili. Il ricorrente propone la critica alla sentenza impugnata, riportando in rubrica un elenco di norme che si assumono violate e, testualmente, affermando che: “si risolvono in vizi di nullità processuale per tutte le ipotesi dell’art. 360 c.p.c.”. Inoltre, lo sviluppo illustrativo del mezzo si articola in una inestricabile commistione di elementi di fatto, riscontri di risultanze istruttorie, richiamo di atti e documenti delle fasi di merito, argomentazioni difensive, senza che sia chiara la formulazione tecnica dei predicati vizi. Le doglianze, pertanto, si risolvono in critiche generiche a tutte le ipotesi previste dall’art. 360 c.p.c., formulate con un unico motivo sotto una molteplicità di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegati, come dovrebbero, alle ipotesi tassative indicate dal codice di rito (Cass. n. 11603 del 2018; Cass. n. 19959 del 2014).

Questa Corte, in più occasioni, ha affermato che il motivo di impugnazione che prospetti una pluralità di questioni precedute unitariamente dalla elencazione delle norme che si assumono violate e dalla deduzione del vizio di motivazione, è inammissibile, richiedendo un inesigibile intervento integrativo della Corte che, per giungere alla compiuta formulazione del mezzo, dovrebbe individuare per ciascuna delle doglianze lo specifico vizio di violazione di legge o del vizio di motivazione (Cass. n. 21611 del 2013; Cass. n. 18021 del 2016).

3.3.L’inammissibilità vizia le censure anche sotto un ulteriore aspetto. Il ricorrente non ha riprodotto in ricorso il contenuto dei documenti su cui le denunce si fondano, nè ha precisato la loro collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, così violando gli oneri processuali imposti dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il principio, sostenuto concordemente da questa Corte, è stato di recente ribadito con sentenza S.U. n. 34469 del 2019:

“In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità”.

Tale adempimento è doveroso anche quando si lamenti un “er-ror in procedendo”, atteso che: “In tema di ricorso per cassazione, l’esercizio del potere di esame diretto degli atti del giudizio di merito, riconosciuto alla S.C. ove sia denunciato un er-ror in procedendo, presuppone l’ammissibilità del motivo, ossia che la parte riporti in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza, gli elementi ed i riferimenti che consentono di individuare, nei termini esatti e non genericamente, il vizio suddetto, così da consentire alla Corte di effettuare il controllo sul corretto svolgimento dell’iter processuale senza compiere generali verifiche degli atti “(Cass. n. 23834 del 2019; Cass. n. 11738 del 2016), sicchè, il ricorrente è tenuto a riportare nel ricorso i passi degli atti difensivi con i quali la questione controversa è stata dedotta in giudizio (Cass. n. 11738 del 2016) nel rispetto del principio di specificità.

3.In definitiva, il ricorso va rigettato. Nulla per le spese in mancanza di attività difensiva della parte intimata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 dicembre 2019.

Depositato in cancelleria il 12 giugno 2020

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