Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11316 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/05/2017, (ud. 21/02/2017, dep.09/05/2017),  n. 11316

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29688-2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO, che la

rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

D.G.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 172, presso lo studio dell’avvocato SERGIO GALLEANO,

che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3885/2009 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 22/12/2009 R.G.N. 2626/2008.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

Che la Corte d’appello di Bari, con sentenza depositata il 10.12.09, ha ritenuto illegittimo, per essere stato stipulato oltre il 30.4.98, il contratto a termine stipulato tra la società Poste Italiane e D.G.M. il (OMISSIS) (per esigenze eccezionali conseguenti i processi di riorganizzazione in corso del C.C.N.L. 1994 ex art. 8).

Che avverso tale sentenza la società Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, cui resiste il D.G. con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Che con il primo motivo la società Poste censura la sentenza impugnata per non aver ritenuto risolto il rapporto per mutuo consenso, in ragione del tempo trascorso dalla cessazione di fatto del rapporto e l’instaurazione del giudizio.

Che il motivo è infondato, avendo questa Corte più volte affermato (cfr. da ultimo Cass. n. 14422/2015, Cass. 9 aprile 2015 n. 7156; Cass. 12 gennaio 2015, n. 231, Cass. 28 gennaio 2014, n. 1780, Cass. n. 1780/14) che ai fini della configurabilità della risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso, non è di per sè sufficiente la mera inerzia del lavoratore dopo l’impugnazione del licenziamento, o il semplice ritardo nell’esercizio dei suoi diritti, essendo piuttosto necessario che sia fornita la prova di altre significative circostanze denotanti una chiara e certa volontà delle parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo (v. Cass. 15.11.10, n. 23057; Cass. 11.3.2011, n. 5887, Cass. 4.8.2011, n. 16932), circostanze non adeguatamente evidenziate dalla ricorrente.

Che la società Poste si duole ancora del ritenuto limite temporale (al 30.4.98) di efficacia della contrattazione collettiva delegata L. n. 56 del 1987, ex art. 23, oltre ad insufficiente motivazione sul punto ed inoltre (quarto motivo) della misura risarcitoria stabilita dal Tribunale e confermata dalla sentenza impugnata, invocando sul punto L. n. 183 del 2010, art. 32.

Che la censura in ordine al limite temporale di efficacia degli accordi sindacali delegati L. n. 56 del 1987, ex art. 23, è infondata in base al consolidato orientamento di questa Corte (ex plurimis, Cass. 9 giugno 2006 n. 13458, Cass. 20 gennaio 2006, n. 1074, Cass. 3 febbraio 2006, n. 2345, Cass. 2 marzo 2006, n. 4603).

Che la contestata disposta conversione del rapporto risulta conforme ai principi più volte enunciati da questa Corte a partire dalla nota sentenza n. 12985/2008.

Che la censura in ordine alla misura risarcitoria è fondata, avendo la L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, stabilito che “Nei casi di conversione del contratto a tempo determinato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore stabilendo un’indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nella L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 8”.

Che la L. n. 92 del 2012, all’art. 1 comma 13, con chiara norma di interpretazione autentica ha poi disposto: “La disposizione di cui al della L. 4 novembre 2010, n. 183, art. 32, comma 5, si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro”.

Che le S.U. di questa Corte (sent. n. 21691/2016) hanno stabilito che tale disciplina si applica anche ai giudizi in corso, quale che sia l’epoca della sentenza impugnata e del ricorso per cassazione, salvo il limite del giudicato, nella specie insussistente.

Che per tali ragioni la sentenza impugnata va cassata in ordine alla determinazione della misura risarcitoria, con rinvio ad altro giudice per la sua quantificazione alla luce del predetto L. n. 183 del 2010, art. 32, per il periodo compreso tra la scadenza del termine e la sentenza che ha ordinato la ricostituzione del rapporto (cfr. Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione a decorrere dalla detta pronuncia (cfr. Cass. n. 3062/16), oltre che per la determinazione delle spese, comprese quelle di cui al presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, nei sensi di cui in motivazione, e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Bari in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nell’Adunanza Camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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