Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11314 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/06/2020, (ud. 05/11/2019, dep. 12/06/2020), n.11314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. GILOTTA Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25311/2015, promosso da:

L’Isola Verde di G.M. & C. s.a.s., in persona del

rappresentante legale H.A., il quale agisce anche in

proprio e in nome di G.M., tutti rappresentati e difesi

dall’avv. Francesco Donolato e dall’avv. Roberto Dugo, del foro di

Gorizia, nonchè dall’avv. Bruno Aguglia del foro di Roma, presso lo

studio del quale in Roma, via Padova, 82, sono domiciliati;

– ricorrenti e controricorrenti incidentali –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– Controricorrente e ricorrente incidentale –

per la cassazione della sentenza n. 102/01/15 emessa, inter partes

dalla Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia il 19

marzo 2015 e avente ad oggetto l’avviso di accertamento n. (OMISSIS)

per I.V.A. E ALTRO, I.R.A.P. 2008 della Direzione Provinciale di

(OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate.

Fatto

PRESO ATTO

CHE:

Con la sentenza sopra detta la Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia, confermando quella emessa in primo grado dalla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste, rigettò i ricorsi proposti da L’Isola Verde di G.M. & C. s.a.s., e dai suoi soci H.A. e G.M., avverso l’accertamento in oggetto con il quale la Direzione Provinciale di (OMISSIS) dell’Agenzia delle Entrate aveva contestato maggior reddito d’impresa, per l’esercizio 2008, pari a Euro 130.543,00 (poi ridotto in autotutela a Euro 94.265,00), imputato anche ai soci a norma del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5.

L’accertamento, impugnato con tre distinti ricorsi, fu confermato con altrettante sentenze dalla Commissione Tributaria Provinciale di Trieste che, appellante davanti alla Commissione Tributaria Regionale, sono state confermate, previa riunione dei procedimenti, con la sentenza qui impugnata.

Ricorrono per cassazione di detta sentenza, per tre motivi, i contribuenti. Resiste con controricorso, l’Agenzia delle Entrate, che con ricorso incidentale subordinato, ha dedotto un proprio motivo.

Resistono al ricorso incidentale i contribuenti con controricorso.

Per la trattazione è stata fissata l’adunanza in camera di consiglio del 5 novembre 2019, ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., e art. 380 bis 1 c.p.c., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, conv. in L. n. 168 del 2016.

Diritto

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, alla L. n. 212 del 2000, art. 7, e alla L. n. 241 del 1990, art. 3,” sostenendo che la sentenza della Commissione Tributaria Regionale, nel dare spiegazione della maggiore attendibilità delle indagini finanziarie, avesse frainteso il motivo d’impugnazione, rivolto non già a censurare la scelta, operata dall’Ufficio, di contestare i maggiori redditi derivanti dalle indagini bancarie, ignorando i risultati di congruità degli studi di settore, ma a censurare la mancata considerazione delle giustificazione offerte per alcuni movimenti bancari.

Il motivo è inammissibile.

Innanzi tutto, esso è intrinsecamente contraddittorio perchè, alla mancata considerazione delle giustificazioni addotte a sostegno dell’inutilizzabilità di taluni movimenti bancari dedica poche righe di un paragrafo prima e dopo interamente finalizzato a contestare diffusamente le ragioni per le quali l’Ufficio abbia posto a base dell’accertamento le indagini bancarie anzichè gli studi di settore; di modo che non è consentito stabilire quale sia l’oggetto effettivo della doglianza, posto che da un lato il motivo attribuisce alla sentenza il fraintendimento sopra detto, dall’altro insiste sulla critica del metodo accertativo adottato dall’Ufficio, ampiamente giustificata dalla Commissione Tributaria Regionale.

In secondo luogo, di fronte alla diffusa motivazione sul punto della sentenza impugnata, la censura di fraintendimento avrebbe dovuto essere provata attraverso la produzione o l’indicazione dello specifico motivo d’appello dedotto; cosa che invece non è avvenuta; anzi, stando agli stralci dell’impugnazione riportati dalla controricorrente, la questione della mancata considerazione delle giustificazioni date ad alcuni movimenti bancari non appare essere stata neppure dedotta.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360, comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, e D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, nonchè degli artt. 2728, 2729 e 2696 c.c.,” in ragione 1) del valore di presunzione legale attribuita dalla Commissione Tributaria Regionale alla norma di cui all’art. 32 sopra detta, che invece attribuisce agli Uffici uno strumento istruttorio, costituito da una presunzione semplice, cha va poi canalizzato nella disciplina generale della motivazione degli accertamenti e dei provvedimenti amministrativi; 2) dell’affermazione secondo cui la prova contraria che può fornire il contribuente per inficiare la risultanza bancaria possa essere costituita solo di elementi precisi di riscontro”, escludendo quindi aprioristicamente la prova presuntiva; 3) dell’affermazione altresì secondo cui non costituirebbe praesumptio de praesumpto la considerazione non solo dei versamenti, ma anche dei prelevamenti come proventi dell’esercizio di impresa; 4) del fatto che le stesse ragioni che hanno indotto la Corte Costituzionale ad escludere per i professionisti i prelevamenti bancari dal calcolo del reddito professionali valgono anche per le piccole imprese, dove prevale l’attività personale dell’imprenditore; 5) dell’aver attribuito alla società le movimentazioni dei conti correnti personali dei soci, senza la dimostrazione che dette movimentazioni fossero riferibili alla società.

Si tratta di censure inammissibili o infondate.

La sentenza, nell’attribuire ai risultati delle indagini bancarie di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 7, il valore di presunzione legale, non ha fatto riferimento alla praesumptio iuris et de iure propria della dottrina civilistica, ma ha fatto riferimento alla presunzione legale relativa prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, che descrive un caso in cui una disposizione di legge attribuisce a talune operazioni una rilevanza sulla base imponibile, trasferendo sul contribuente l’onere della prova contraria. Così letta, la motivazione è coerente con l’orientamento della giurisprudenza (da ult., Cass., 30786/’18) e la doglianza, che non coglie la ratio decidendi della sentenza della Commissione Tributaria Regionale, è inammissibile.

La seconda censura è infondata, in quanto la necessità che il contribuente contesti in modo puntuale la valenza tributaria della risultanza bancaria è jus receptum in giurisprudenza (Cass., 30786/’18 sopra citata; cass., 10480/’18); la puntualità della contestazione d’altra parte non esclude la prova presuntiva, che però si riferisca analiticamente alla singola operazione contestata. In questo caso i ricorrenti non adducono di aver fornito una prova di tal genere.

In ordine al terzo e al quarto punto, vale quanto sul punto affermato dalla Corte Costituzionale nelle sentenza 228 del 2014 e 225 del 2005, dove, nell’affermarsi l’illegittimità costituzionale del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1, n. 2), secondo periodo, come modificato dalla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 402, lett. a), n. 1), limitatamente alle parole “o compensi”, si è sottolineata la specificità del lavoro autonomo rispetto a quello imprenditoriale e il fondamento economico – contabile, solo per l’attività imprenditoriale, del meccanismo della doppia correlazione (in mancanza di giustificazioni del contribuente) fra somme prelevate, acquisto di fattori produttivi e conseguente produzione di bei e servizi non fatturati, legata al fisiologico andamento dell’attività imprenditoriale e alla necessità di continui investimenti in beni o servizi in vista di futuri ricavi. Specificità invece assente nel lavoro autonomo, che si caratterizza invece per la preminenza dell’apporto del lavoro proprio e la marginalità dell’apparato organizzativo. Si tratta quindi di motivi entrambi infondati.

E’ infondato anche il quinto punto, essendo consolidato l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale in tema di accertamenti sui redditi di società di persone a ristretta base familiare, l’Ufficio finanziario può legittimamente utilizzare, nell’esercizio dei poteri attribuitigli dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate, perchè la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale sovrapposizione tra interessi personali e societari, identificandosi gli interessi economici in concreto perseguiti dalla società con quelli propri dei soci, salva la facoltà dell’ente di dimostrare l’estraneità delle singole operazioni alla comune attività d’impresa (cass., 30098/2018; Cass., 8112/2016; cass., 428/2015).

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto – art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, nonchè dell’art. 2697 c.c.”, in quanto la sentenza, nel confermare l’accertamento induttivo dell’Ufficio, avrebbe rettificato in aumento i ricavi della società senza dedurre gli impliciti costi.

Anche questo motivo è infondato.

La Commissione Tributaria Regionale ha correttamente affermato il principio secondo il quale spetta in ogni caso al contribuente la dimostrazione dei costi che incidono negativamente sul calcolo della base imponibile; principio affermato dalla giurisprudenza consolidata di questa Corte e secondo la quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, l’Amministrazione finanziaria, in sede di accertamento induttivo, deve procedere alla ricostruzione della situazione reddituale complessiva del contribuente, tenendo conto anche delle componenti negative del reddito che siano comunque emerse dagli accertamenti compiuti, ovvero siano state indicate e dimostrate dal contribuente, dovendosi, peraltro, escludere l’automatica inclusione, fra le componenti negative, delle operazioni di prelievo effettuate dal contribuente dai conti correnti a lui riconducibili, in quanto le operazioni sui conti medesimi, sia attive che passive, vanno considerate ricavi, essendo posto a carico del contribuente l’onere di indicare e provare eventuali specifici costi deducibili (cass., 31024/2017; Cass., 9888/2017; Cass. 22266/2016).

In conclusione, il ricorso va rigettato con conseguente assorbimento del ricorso incidentale condizionato.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale, dichiara assorbito quello incidentale. Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese, che liquida in Euro 4.100,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1 – bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 5 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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