Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11314 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. I, 10/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.A. (C.F. (OMISSIS)), P.V. (C.F.

(OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE CARSO

71, presso l’avvocato ARIETA GIOVANNI, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato ARISTEI STRIPPOLI FERNANDO, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

PI.AN. (C.F. (OMISSIS)), B.R.

(C.F. (OMISSIS)), P.C.A. (C.F.

(OMISSIS)), P.R. (C.F. (OMISSIS)), P.

T. (C.F. (OMISSIS)), PI.RO. (C.F.

(OMISSIS)) anche in proprio, tutti nella qualità di eredi

di P.P., elettivamente domiciliati in OSTIA LIDO (ROMA),

VIALE VASCO DA GAMA 26, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUVA

VITTORIA, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrenti –

contro

LA LIVERANA S.N.C. DI DEIANA PIETRO & C;

– intimata –

avverso la sentenza n. 330/2007 della SEZ. DIST. DI SASSARI – CORTE

D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 28/05/2007;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. RORDORF Renato;

uditi, per i ricorrenti, gli Avvocati G. ARIETA e ARISTEI STRIPPOLI

che hanno chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente, l’Avvocato V. GIUVA che ha chiesto il

rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 27 maggio 1983 i sigg.ri P. e P. R. citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Nuoro il sig. P.V., fratello di P., ed il sig. P.A., figlio di V., nonchè la società Liverana s.n.c. di Deiana Pietro & C. (in prosieguo indicata solo come Liverana). Sostennero che nel marzo del 1978 era intervenuto tra i germani P. e F.V. un accordo per l’acquisto di quote della società Liverana da intestarsi ai rispettivi figli e che una di tali quote, pari al 12,50% del capitale sociale, non potendo nell’immediato essere intestata al sig. Pi.Ro., perchè ancora minorenne, era stata fiduciariamente intestata al sig. P.A., con l’obbligo di trasferirla però al cugino Ro. non appena questi avesse raggiunto la maggiore età. Poichè tale obbligo non era stato poi spontaneamente rispettato, gli attori chiesero che il tribunale emanasse, a norma dell’art. 2932 e. e, una sentenza idonea a tener luogo del contratto di cessione di quota non stipulato e che l’intestazione dell’anzidetta quota sociale in capo al sig. Pi.

R. fosse registrata nei libri della società.

All’esito di una lunga istruttoria testimoniale, la domanda fu accolta dal tribunale, la cui decisione venne poi confermata nel successivo grado di giudizio dalla Corte d’appello di Cagliari (sezione distaccata di Sassari) con sentenza depositata il 28 maggio 2007.

La corte d’appello anzitutto dichiarò infondata l’eccezione d’incompetenza territoriale sollevata dai convenuti, avendo sede la società Liverana nella circoscrizione del giudice adito ed essendo ciò sufficiente a radicare la competenza di detto giudice. Quanto al merito, la stessa corte ritenne che la documentazione prodotta e le testimonianze acquisite avessero dimostrato la fondatezza dell’assunto prospettato dai sigg.ri P. e Pi.Ro. e che, in presenza di un obbligo fiduciario di trasferimento di quote sociali non adempiuto, ben potesse farsi luogo all’esecuzione in forma specifica prevista dal citato art. 2932 c.c..

Avverso tale sentenza i sigg.ri V. ed P.A. hanno proposto ricorso per Cassazione, articolato in sei motivi illustrati poi anche da memoria.

Il sig. Pi.Ro. e gli eredi del sig. P.P., frattanto deceduto, hanno resistito con controricorso, del pari illustrato con successiva memoria.

La società Liverana, che già era rimasta contumace in entrambi i gradi del giudizio di merito, non ha svolto difese neppure in questa sede.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. La prima questione – di evidente carattere pregiudiziale – su cui questa corte è chiamata a pronunciarsi riguarda la competenza territoriale del tribunale di Nuoro, dinanzi al quale la causa è stata radicata in primo grado.

1.1. Col primo motivo, infatti, i ricorrenti ripropongono l’eccezione d’incompetenza già sollevata a questo riguardo nel giudizio di merito e sostengono che la corte d’appello avrebbe violato gli artt. 18, 19, 20 e 33 c.p.c..

A loro parere, competente a decidere sulla presente causa era il Tribunale di Roma, nel cui circondario i convenuti risiedono e dove avrebbe dovuto trovare esecuzione l’obbligazione dedotta in giudizio, restando invece indimostrato il luogo ove tale obbligazione è sorta.

Malamente, invece, si sarebbe inteso radicare la competenza in base all’ubicazione della sede della società Liverana, trattandosi di un soggetto non direttamente coinvolto nella controversia tra i soci, artificiosamente evocato in giudizio dagli attori proprio al fine di spostare la competenza del giudice.

1.2. La doglianza è priva di fondamento.

E’ certo vero che la deroga alla competenza territoriale determinata dal cumulo di cause connesse contro più persone presso il giudice del foro generale di uno dei convenuti non trova applicazione allorchè l’evocazione in giudizio di un convenuto appaia prima facie artificiosa e preordinata appunto allo spostamento della competenza (cfr., ex multis, Cass. 15 marzo 2004, n. 5243; e Cass. 25 giugno 2002, n. 9277).

Nel caso in esame, però, è da escludere che una tale situazione ricorra.

Lungi dall’essere artificiosa, l’evocazione in giudizio della società Liverana appare, infatti, pienamente giustificata dalla necessità di rendere opponibile alla società medesima la modifica della composizione della compagine sociale richiesta dagli attori, essendo ovvio che tale modifica è destinata a riflettersi sulla titolarità dei diritti esercitabili dai soci e, quindi, ad interessare il funzionamento della stessa società.

Anche se la quota sociale non costituisce, in senso proprio, un credito del socio verso la società, indubbiamente essa incorpora una serie di poteri ed obblighi esercitabili nei confronti degli altri soci e della medesima società: di modo che quest’ultima, in quanto centro d’imputazione di rapporti giuridici distinto dai singoli soci, pur non essendo parte dei negozi traslativi della titolarità delle quote, non può esser considerata estranea ad una controversia avente ad oggetto l’individuazione di chi sia il titolare dei poteri e degli obblighi rappresentati dalla quota.

2. Gli altri motivi di ricorso riguardano il merito della vertenza.

In particolare, col secondo motivo, i ricorrenti lamentano la violazione dei principi in tema di negozio fiduciario (facendo riferimento all’art. 1325 c.c. e segg., art. 1706 e art. 2727 c.c. e segg. nonchè artt. 115 e 116 c.p.c.), poichè sostengono che la corte d’appello avrebbe omesso di individuare il tempo, il luogo di stipulazione e la forma del negozio fiduciario invocato dagli attori.

Col terzo motivo, nuovamente lamentando la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e art. 2727 c.c. e segg. oltre che vizi di motivazione della sentenza impugnata, i medesimi ricorrenti prospettano una diversa ricostruzione storica dell’accaduto, che, a loro dire, avrebbe trovato significativi riscontri nelle risultanze processuali e nelle stesse ammissioni della controparte, ed imputano alla corte territoriale di non averne tenuto conto.

Il quarto motivo di ricorso, volto a denunciare la violazione degli artt. 2, 1706 e 1418, 2932 c.c. è basato sul rilievo secondo cui, muovendo dal presupposto di un mandato senza rappresentanza in forza del quale il sig. P.A. avrebbe acquistato la quota societaria controversa per conto del cugino minorenne, non si sarebbe potuto pervenire poi all’emanazione di una sentenza costitutiva, a norma del citato art. 2392 c.c.. La quota di società ha infatti natura di bene mobile, sicchè l’acquisto operato dal mandatario sarebbe stato già di per sè astrattamente idoneo a produrre l’immediato trasferimento di proprietà in favore del mandante. Ma questo, per un verso, avrebbe dovuto escludere la possibilità di una successiva sentenza costitutiva del medesimo effetto traslativo, ormai già prodottosi, e, per altro verso, avrebbe dovuto comportare la declaratoria di nullità del mandato per impossibilità di realizzarne in concreto la causa negoziale, attesa la minore età del soggetto nel cui patrimonio la quota societaria era destinata ad entrare.

Nel quinto motivo di ricorso, riguardante la lamentata violazione degli artt. 1350, 1351, 1706 e 2932 c.c., si sostiene che, essendo il patrimonio della società Liverana composto anche da beni immobili, il pactum fiduciae relativo al trasferimento della quota sociale, per esser valido, avrebbe dovuto essere stipulato in forma scritta.

Infine, con l’ultimo motivo, i ricorrenti si dolgono della violazione degli artt. 112 e 246 c.p.c., oltre che degli artt. 2266, 2295 e 2298 c.c. imputando alla corte d’appello di non aver risposto all’eccezione da loro sollevata con riguardo all’incapacità a deporre degli altri soci della società Liverana in una controversia destinata ad incidere sulla composizione della compagine sociale.

3. Nessuno dei motivi di ricorso appena riferiti appare meritevole di accoglimento.

3.1. La doglianza espressa nel secondo motivo è priva di consistenza, avendo la corte d’appello puntualmente dato conto, nella motivazione dell’impugnata sentenza, del contenuto essenziale dell’accordo fiduciario la cui stipulazione tra le parti essa ha accertato. Accordo che, come già detto, ha accompagnato l’acquisto di una quota della società Liverana da parte del sig. P. A. e si è sostanziato nell’assunzione dell’obbligo, in capo al medesimo sig. P.A., di trasferire metà di detta quota al cugino Ro. quando costui avesse raggiunto la maggiore età.

Tempo, luogo e forma (evidentemente verbale) di tale accordo sono con chiarezza desumibili dal contesto narrativo e motivazionale della sentenza impugnata.

3.2. Quanto al terzo motivo di ricorso, è sufficiente osservare che la diversa ricostruzione dei fatti prospettata dalla difesa dei ricorrenti è stata ampiamente discussa e motivatamente disattesa dalla corte territoriale, nè i ricorrenti in questa sede evidenziano vizi logici intrinseci al ragionamento di detta corte, limitandosi a sostenere che, sulla base dei fatti accertati o pacifici in causa, si sarebbe dovuto pervenire a diversa conclusione. Il che, però, afferisce alle valutazioni di merito ed esula dai limiti del giudizio di cassazione.

3.3. Neppure le argomentazioni giuridiche sviluppate nel quarto motivo di ricorso appaiono persuasive.

Ipotizzare, come fanno i ricorrenti, che il meccanismo negoziale posto in essere dalle parti possa aver determinato l’immediato trasferimento in capo al sig. Pi.Ro. della quota societaria acquistata per suo conto dal cugino A. significa trascurare la funzione stessa del negozio fiduciario di cui si discute, del quale le parti si sono avvalse – secondo l’accertamento operato dalla corte di merito – proprio perchè ritenevano sussistesse un ostacolo a quell’immediato trasferimento e desideravano posporlo sino a quando il predetto sig. Pi.Ro.

avesse raggiunto la maggiore età.

L’accostamento tra negozio fiduciario e mandato, in un caso come questo, risulta perciò fuorviante (onde, sul punto, anche la motivazione in diritto dell’impugnata sentenza deve essere rettificata). Qui, infatti, il negozio fiduciario si qualifica come una combinazione di due fattispecie negoziali collegate, l’una costituita da un negozio reale traslativo, a carattere esterno, realmente voluto ed avente efficacia verso i terzi, e l’altra (il vero e proprio pactum fiducia e), avente carattere interno ed effetti meramente obbligatori, diretta a modificare il risultato finale del negozio esterno mediante l’obbligo assunto dal fiduciario di ritrasferire al fiduciante il bene o il diritto che ha formato oggetto dell’acquisto.

E’ dunque chiaro che in un simile contesto negoziale non può esservi spazio alcuno per ipotizzare che – come pretendono i ricorrenti – l’acquisto operato dal fiduciante abbia prodotto effetti reali immediati nel patrimonio del fiduciario.

3.4. Priva di fondamento appare anche la tesi sostenuta nel quinto motivo di ricorso, secondo cui il factum fiduciae avente ad oggetto il trasferimento di una quota di società in nome collettivo nel cui patrimonio siano compresi beni immobili avrebbe dovuto necessariamente rivestire la forma scritta.

Già in passato questa corte ha avuto modo di chiarire che la cessione di quota di società di persone con patrimonio immobiliare non richiede la forma scritta, a norma dell’art. 1350 c.c., non comportando essa anche un trasferimento, dal cedente al cessionario, dei diritti immobiliari, che restano viceversa nella titolarità della società, che non è essa stessa parte del negozio di cessione (cfr. Cass. 28 febbraio 1998, n. 2252).

Da siffatto principio (con cui è stato superato il precedente diverso orientamento di Cass., 31 ottobre 1981, n. 5761), non v’è motivo per discostarsi.

3.5. In relazione all’ultimo motivo di ricorso, occorre considerare che l’incapacità a testimoniare di cui all’art. 246 c.p.c. è correlabile soltanto ad un diretto coinvolgimento della persona chiamata a deporre nel rapporto controverso, tale da legittimare una sua assunzione della qualità di parte in senso sostanziale o processuale nel giudizio, e non già alla ravvisata sussistenza di un qualche interesse di detta persona in relazione a situazioni ed a rapporti diversi da quello oggetto della vertenza, anche se in qualche modo connessi (cfr. Cass. 27 febbraio 2007, n. 4500; Cass. 1 aprile 1995, n. 3846, ed altre conformi).

Ne consegue che, in un giudizio relativo alla titolarità di una quota di società di persone, gli altri soci della medesima società non sono incapaci a deporre, perchè l’esito della causa non è destinato in alcun modo a riflettersi sul loro patrimonio o sulla loro sfera giuridica individuale; nè il loro eventuale interesse al modo in cui la compagine sociale è formata, volta che la libera trasferibilità delle quote non sia in discussione, ne giustificherebbe la personale partecipazione al predetto giudizio.

La circostanza, poi, che uno dei soci della cui deposizione testimoniale si discute fosse un altro figlio del medesimo sig. P.P. (e quindi suo potenziale erede), oltre che fratello del sig. Pi.Ro., quale che possa essere in astratto il rilievo, appare in concreto ininfluente, posto che la corte d’appello ha espressamente chiarito come la propria convinzione in ordine alla ricostruzione della vicenda in esame si sia soprattutto basata su altre risultanze istruttorie reputate a tal fine sufficienti “anche a non voler dare piena attendibilità alla deposizione del P. C.A.”.

4. Consegue da quanto detto che il ricorso deve essere rigettato, con condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità sostenute dai controricorrenti, liquidate in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari e 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 (tremila/00) per onorari e 200,00 (duecento/00) per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.

Così deciso, in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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