Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11314 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 09/05/2017, (ud. 21/02/2017, dep.09/05/2017),  n. 11314

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30083/2010 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE

MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato LUIGI FIORILLO,

rappresentata e difesa dall’avvocato PAOLO TOSI, giusta delega in

atti;

– ricorrente –

contro

S.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA AGRI 1, presso lo studio dell’avvocato PASQUALE NAPPI, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PIERLUIGI BOIOCCHI,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 446/2009 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 09/01/2010 R.G.N. 80/2009.

Fatto

RILEVATO

che con sentenza pubblicata il 19.12.09 la Corte d’appello di Brescia rigettava il gravame di Poste Italiane S.p.A. contro la sentenza n. 134/08 con cui il Tribunale di Bergamo, dichiarato nullo il termine apposto al primo contratto di lavoro subordinato stipulato (ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, per ragioni di carattere sostitutivo correlate alla specifica esigenza di provvedere alla sostituzione del personale addetto al servizio di recapito presso la Regione Lombardia) con S.C. per il periodo 1.7.03 – 30.9.03, aveva accertato la sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato fra le parti a decorrere dal 1.7.03, con condanna della società a riammettere in servizio la lavoratrice e a pagarle una somma pari alle retribuzioni maturate dall’11.5.06 (data di costituzione in mora della società) fino alla data della sentenza, detratto l’aliunde perceptum;

che per la cassazione della sentenza ricorre Poste Italiane S.p.A. affidandosi a tre motivi;

che S.C. resiste con controricorso;

che l’udienza originariamente fissata per il 13.1.16 (e per la quale la ricorrente aveva depositato memoria ex art. 378 c.p.c.) è stata rinviata a nuovo ruolo in attesa della decisione delle S.U. sulle ordinanze di rimessione n. 14340/15 e n. 15705/15.

Diritto

CONSIDERATO

che il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e artt. 1362 c.c. e segg. e art. 2697 c.c., per avere la Corte territoriale dichiarato illegittimo il termine apposto al contratto de quo per mancanza di specificità della clausola giustificatrice;

che il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 12 preleggi, art. 1419 c.c., D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e art. 115 c.p.c., perchè, pur risultando la natura essenziale della clausola del termine, la Corte aveva ritenuto comunque costituito un valido rapporto a tempo indeterminato senza rilevare la nullità dell’intero contratto;

che con il terzo motivo si chiede, in subordine, l’applicazione dello ius superveniens di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, quanto alle conseguenze economiche della nullità del termine apposto al contratto di lavoro;

che il Collegio ritiene infondato il primo motivo, atteso che riguardo a contratti stipulati ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, il datore di lavoro ha l’onere di indicare in modo circostanziato e puntuale, al fine di assicurare la trasparenza e la veridicità di tali ragioni, nonchè l’immodificabilità delle stesse nel corso del rapporto, le circostanze che contraddistinguono una particolare attività e che rendono conforme alle esigenze del datore di lavoro, nell’ambito di un determinato contesto aziendale, la prestazione a tempo determinato, sì da rendere evidente la specifica connessione tra la durata solo temporanea della prestazione e le esigenze produttive ed organizzative che la stessa sia chiamata a realizzare e la utilizzazione del lavoratore assunto esclusivamente nell’ambito della specifica ragione indicata ed in stretto collegamento con la stessa;

che nel caso di specie i giudici di merito hanno in concreto accertato, con motivazione immune da vizi logici o giuridici, che la lavoratrice non è stata destinata a sostituire personale assente, ma a coprire una posizione lavorativa da tempo scoperta;

che anche il secondo motivo è infondato: invero, quanto alla contestata conseguenza della conversione a tempo indeterminato del contratto a termine nullo concluso in violazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (Cass. n. 7244/14) che tale norma ha confermato il principio generale secondo cui il rapporto di lavoro subordinato è normalmente a tempo indeterminato, costituendo l’apposizione del termine un’ipotesi derogatoria anche nel sistema, del tutto nuovo, della previsione di una clausola generale legittimante l’apposizione del termine per ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo; ne deriva che, in caso di insussistenza delle ragioni giustificative, e pur in assenza di una norma che ne sanzioni espressamente la mancanza, in base ai principi generali in materia di nullità parziale del contratto e di eterointegrazione della disciplina contrattuale, all’illegittimità del termine e alla nullità della clausola di apposizione dello stesso consegue l’invalidità parziale relativa alla sola clausola (pur se eventualmente dichiarata essenziale) e l’instaurarsi di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (in tal senso v. altresì Cass. n. 4760/15 e Cass. n. 12985/08);

che è invece fondato il terzo motivo, dovendosi a riguardo seguire la sentenza n. 21691/16 delle S.U. di questa S.C., che ha statuito che una censura ex art. 360 c.p.c., comma, 1, n. 3, può concernere anche la violazione di disposizioni emanate dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, ove retroattivamente applicabili anche ai giudizi in corso (come l’art. 32 cit.: cfr., per tutte, Cass. n. 6735/14), avendo il ricorso per cassazione ad oggetto non l’operato del giudice, ma la conformità della decisione adottata all’ordinamento giuridico;

che, dunque, ben può chiedersi l’applicazione anche in sede di legittimità dello ius superveniens intervenuto, come nel caso di specie, dopo la sentenza impugnata e prima della proposizione del ricorso per cassazione, con l’unico limite, non verificatosi nel caso di specie, di intervenuto passaggio in giudicato della statuizione relativa alle conseguenze economiche dell’accertata nullità della clausola di apposizione del termine (passaggio da escludersi al momento del ricorso per cassazione, essendo ancora sub iudice la questione relativa alla validità del termine);

che, in conclusione, accolto il terzo motivo e rigettati i primi due, la sentenza va cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese, alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, che dovrà limitarsi a quantificare l’indennità spettante all’odierna parte controricorrente ex art. 32 cit., per il periodo compreso fra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice ha ordinato la ricostituzione del rapporto di lavoro (cfr., per tutte, Cass. n. 14461/15), con interessi e rivalutazione su detta indennità da calcolarsi a decorrere dalla data dellà pronuncia giudiziaria dichiarativa dell’illegittimità della clausola appositiva del termine al contratto di lavoro subordinato (cfrr., per tutte, Cass. n. 3062/16).

PQM

accoglie il terzo motivo, rigetta i primi due, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Brescia in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 21 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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