Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11313 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. trib., 12/06/2020, (ud. 17/10/2019, dep. 12/06/2020), n.11313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO Angel – M. –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Gianlu – rel. Consigliere –

Dott. DINAPOLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 7151/14 proposto da:

MODA CAPELLI O.P. S.N.C. DI IANNACOLO GIUSEPPE, in persona del suo

legale rappresentante pro tempore, I.O. e

G.C., rappresentati e difesi in forza di procura speciale rilasciata

in calce al ricorso dall’avvocato Ernesto Russomando, presso il cui

Studio in Pontecagno, Via Montegrappa n. 14, è elettivamente

domiciliata.

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore.

– intimata –

avverso la sentenza n. 676 della Commissione tributaria regionale

della Campania, sezione staccata di Salerno, depositata il 19

dicembre 2012.

Lette le conclusioni del Sostituto Procuratore Generale di

accoglimento del ricorso;

Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17 ottobre 2019 dal Consigliere Gianluca Grasso.

Fatto

RITENUTO

che:

– con tre distinti ricorsi, la Moda Capelli O.P. s.n.c. di Iannacolo Giuseppe e, in proprio, il socio I.O. e la socia G.C., impugnavano i seguenti avvisi di accertamento: n. (OMISSIS) per maggiori ricavi determinati in Euro 71.527,00 (dichiarati Euro 49.761,00) per l’anno 2003; n. (OMISSIS) per maggiori ricavi determinati in Euro 63.230,00 (dichiarati Euro 32.518,00) per l’anno 2004 e n. (OMISSIS) per maggiori ricavi determinati in Euro 62.388,00 (dichiarati Euro 28.649) per l’anno 2005, emessi ai sensi del D.P.R. n. 660 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), dall’Agenzia delle Entrate – Ufficio di (OMISSIS) – con conseguente recupero della maggiore Iva ed Irap per ciascuna annualità contestata;

– la Commissione tributaria provinciale di Salerno, riuniti i ricorsi, ha accolto parzialmente le ragioni dei contribuenti;

– la Commissione tributaria regionale della Campania, sezione staccata di Salerno, previa riunione degli appelli proposti dalla società, dall’Agenzia e in proprio dei soci, ha rigettato le impugnazioni, ritenendo che nessuna delle parti avesse portato elementi nuovi tali da scalfire la correttezza della sentenza di primo grado;

– la società contribuente e, in proprio, il socio I.O. e la socia G.C., hanno proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;

– l’Agenzia delle entrate, pur regolarmente intimata, non si è costituita;

– la Procura Generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso si prospetta la nullità della sentenza in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del combinato disposto dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2, in quanto la Commissione tributaria regionale avrebbe omesso di pronunciarsi su un punto decisivo della controversia riguardante l’eccezione di violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (c.d. “Statuto del Contribuente). Parte ricorrente sottolinea che la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede che, nel rispetto del principio di cooperazione tra amministrazione e contribuente, dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. L’avviso di accertamento, dunque, non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza. Nella specie, l’Ufficio finanziario di (OMISSIS), in violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, ha notificato gli avvisi di accertamento prima del decorso dei sessanta giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione (in data 26 giugno 2008, appena sei giorni dopo la redazione del processo verbale di chiusura delle operazioni rispettive del 20 giugno 2008) e senza che fossero giustificati da motivi di particolare urgenza;

– il motivo è inammissibile;

– secondo l’insegnamento di questa Corte è inammissibile, per violazione del criterio dell’autosufficienza, il ricorso per cassazione col quale si lamenti la mancata pronuncia del giudice di appello su uno o più motivi di gravame, se essi non siano compiutamente riportati nella loro integralità nel ricorso, sì da consentire alla Corte di verificare che le questioni sottoposte non siano “nuove” e di valutare la fondatezza dei motivi stessi senza dover procedere all’esame dei fascicoli di ufficio o di parte (Cass. 20 agosto 2015, n. 17049);

– nel caso di specie si deduce in ricorso che all’origine dell’accertamento vi è stata una verifica ma non si allega quando sia stata proposta la questione della violazione del contraddittorio che, anzi, oltre a non essere indicata in sentenza, non è menzionata neanche nel resoconto di motivi proposti in primo grado (v. ricorso, p. 2-3). La censura è dunque inammissibile;

– con il secondo motivo di ricorso si deduce la nullità della sentenza in relazione al disposto dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 1, n. 4), in quanto la motivazione di rigetto degli atti di appello sarebbe carente, insufficiente e contraddittoria. Parte ricorrente, sul punto, evidenzia che i giudici di secondo grado, pur riconoscendo la fondatezza delle tesi difensive in ordine alla incongruità degli avvisi di accertamento, tuttavia, ritenendo che nessuna delle parti contendenti avesse portato “elementi nuovi tali da scalfire la giustezza della sentenza impugnata”, si sono limitati a condividere la sentenza dei giudici di prime cure di parziale accoglimento del ricorso, ritenendo “equo e congruo determinare il maggior reddito per ciascuna annualità nella misura del 50% di quello accertato”, non offrendo nessuna motivazione circa i criteri e le ragioni che li hanno indotto a ridurre – al pari dei Giudici di prime cure – del 50% i ricavi e i corrispettivi accertati dall’Erario;

– il motivo è inammissibile;

– la sentenza d’appello può essere motivata per relationem, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. 5 agosto 2019, n. 20883; Cass. 5 novembre 2018, n. 28139);

– nel caso di specie, la motivazione della sentenza impugnata, nel richiamare per relationem la pronuncia di primo grado, non ha realizzato un apprezzamento secondo equità ma ha compiuto un rinvio al calcolo disposto in prime cure, che aveva dato luogo alla determinazione di un maggior reddito per ciascuna annualità nella misura del 50% di quello accertato. Eventualmente, si sarebbe dovuto contestare un errore di calcolo, nella specie non dedotto;

– il ricorso va pertanto respinto;

– non si deve provvedere sulle spese stante la mancata costituzione della parte intimata;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione civile, il 17 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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