Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11313 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. I, 10/05/2010, (ud. 07/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11313

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – President – –

Dott. RORDORF Renato – rel. Consiglie – –

Dott. PICCININNI Carlo – Consiglie – –

Dott. BERNARDI Sergio – Consiglie – –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

A.N. (c.f. (OMISSIS)), M.M.G.

(c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso l’avvocato DE DOMINICIS ROMOLO, che li

rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE DOMINICIS TOMMASO,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

G.N., P.I.D.;

– intimati –

e sul ricorso n. 1150/2006 proposto da:

G.N. (C.F. (OMISSIS)), P.I.D.

(C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE

R. MARGHERITA 217, SC. D, PIANO 3^, presso l’avvocato FALIVENE

FILIPPO, che li rappresenta e difende, giusta procura in calce al

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

contro

A.N., M.M.G., elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA GIUSEPPE AVEZZANA 31, presso l’avvocato DE DOMINICIS

ROMOLO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE

DOMINICIS TOMMASO, giusta procura in calce al ricorso principale;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 4128/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 29/09/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

07/04/2010 dal Consigliere Dott. RORDORF Renato;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato R. DE DOMINICIS che ha chiesto

l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale, rigetto del ricorso incidentale.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 20 marzo 1998 i coniugi sig. A.N. e sig.ra M.M.G. citarono in giudizio dinanzi al Tribunale di Rieti il sig. G.N. e la di lui moglie sig.ra P.I.D.. Riferirono di aver ceduto ai convenuti il 50% delle quote di una societa’ commerciale di cui essi erano soci, ma che, essendo sopravvenute difficolta’ finanziarie, detti convenuti avevano prima proceduto a finanziare l’impresa pretendendo dagli attori il rilascio di cambiali e poi ottenuto di rivendere le quote societarie ai medesimi attori a condizioni per costoro assai sfavorevoli. Cio’ premesso, i coniugi A. chiesero che fossero dichiarati nulli sia il contratto col quale, nel febbraio del 1993, avevano riacquistato dai convenuti le quote della societa’, in seguito fallita, sia un successivo accordo transattivo stipulato nel 1995 tra le medesime parti; in subordine chiesero che gli indicati contratti fossero annullati per violenza o rescissi per lesione.

Instauratosi il contraddittorio, il tribunale, dopo l’espletamento di una consulenza tecnica, rigetto’ tutte le domande avanzate dagli attori ed analogo esito negativo ebbe il gravame da costoro tempestivamente proposto.

Infatti la Corte d’appello di Roma, con sentenza depositata il 29 settembre 2005, ritenne che gli accordi intercorsi tra le parti non integrassero gli estremi di un patto leonino o dell’espletamento di un’attivita’ usuraia da parte dei convenuti, come gli appellanti avevano sostenuto, e che neppure fosse provata l’indebita coartazione della loro volonta’ negoziale.

I coniugi A. hanno proposto ricorso per Cassazione avverso tale sentenza, prospettando sei motivi di doglianza.

Gli intimati si sono difesi con controricorso, proponendo altresi’ tre motivi di ricorso incidentale, cui i ricorrenti principali hanno, a propria volta, replicato con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I ricorsi proposti avverso la medesima sentenza debbono essere preliminarmente riuniti, come dispone l’art. 335 c.p.c..

2. Il ricorso principale, come gia’ detto, consta di sei motivi.

Nel primo di essi si sostiene che la sentenza impugnata sarebbe in realta’ totalmente priva di motivazione, giacche’ le argomentazioni che vi sono espresse non darebbero risposta alle questioni dibattute in causa.

Il secondo motivo, piu’ diffusamente articolato, e’ volto invece a porre in luce difetti di motivazione della medesima sentenza su punti specifici e decisivi della controversia: la coartazione del volere dei ricorrenti quando furono stipulati i contratti di cui si discute;

i vantaggi patrimoniali conseguiti dagli intimati all’atto della loro uscita dalla societa’; le circostanze integranti gli estremi del patto leonino, nonche’ dell’annullabilita’ o della rescindibilita’ degli anzidetti contratti; le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio espletata in primo grado e le critiche ad essa rivolta nell’atto di appello.

Col terzo, quarto e quinto motivo di ricorso viene denunciata la violazione, rispettivamente, delle norme del codice in tema di annullamento del contratto per violenza, di nullita’ del medesimo contratto per illiceita’ della causa, in quanto implicante lo svolgimento di un’attivita’ usuraia, e di nullita’ per violazione dei divieto di patti leonini.

La doglianza contenuta nell’ultimo motivo, riferito alla violazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., concerne il mancato esame da parte della corte territoriale delle istanze istruttorie avanzate dagli appellanti.

3. Il primo motivo del ricorso e’ destituito di fondamento.

La motivazione dell’impugnata sentenza, benche’ espressa in modo assai sintetico e benche’ in parte consti di un rinvio alla sentenza di primo grado, le cui ragioni il giudice d’appello dichiara di condividere, non puo’ certamente dirsi inesistente, ne’ soltanto apparente. Da essa si ricava infatti con sufficiente chiarezza il convincimento della corte territoriale, secondo cui i contratti dei quali si controverte non presentano elementi di nullita’ esteriormente percepibili e non v’e’ prova adeguata dei vizi del volere denunciati dagli appellanti.

4. Il secondo motivo di ricorso richiede un esame piu’ dettagliato, muovendo pero’ dalla generale premessa per la quale la denuncia di un vizio motivazionale rilevante secondo la previsione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, (anche prima dell’emanazione del D.Lgs. n. 40 del 2006, non applicabile nella fattispecie) richiede non solo che il ricorrente evidenzi gli elementi di fatto non presi in considerazione nell’impugnato provvedimento, ma anche che ne dimostri la almeno potenziale decisivita’, ossia che, qualora di quei medesimi elementi il giudice a quo si fosse fatto carico, la sua pronuncia sarebbe stata verosimilmente diversa.

Ora, nel caso di specie, e’ vero che la corte d’appello non si e’ soffermata in modo specifico sui protesti subiti dai ricorrenti a seguito del mancato pagamento di cambiali rilasciate agli intimati, ma siffatta circostanza – che non sembra del resto fosse neppure contestata – non appare in alcun modo di per se’ decisiva al fine di dimostrare la violenza morale di cui i ricorrenti medesimi pretendono di essere stati vittime. Essa dimostra solo che, al tempo della stipulazione dei contestati contratti, la societa’ versava in cattive acque, che vi erano stati dei prestiti da parte degli altri soci e che questi ultimi intendevano ottenerne la restituzione: il che evidentemente non basta, sul piano logico, a far concludere che gli anzidetti contratti furono stipulati dai ricorrenti per effetto di violenza morale.

La circostanza, poi, che gli intimati avrebbero conseguito un ingente guadagno all’esito di tutta la vicenda e’ contestata (nel controricorso si richiamano le risultanze della consulenza tecnica che la smentirebbero), ne’ certo puo’ essere accertata in punto di fatto da questa corte. Non vi sono percio’ elementi, in questa sede, che consentano di ravvisare in tale preteso guadagno un elemento sicuramente decisivo, il cui omesso esame possa giustificare la cassazione della sentenza impugnata.

Lo stesso dicasi per quel che riguarda l’esistenza dei X presupposti di fatto dai quali i ricorrenti vorrebbero dedurre la configurabilita’, nel caso in esame, di un patto leonino vietato dalla legge.

Aggiungasi che il riferimento alle “carenze documentati” ed alla “estrema lacunosita’ delle risultanze contabili ed amministrative della societa’”, contenuto nella sentenza di primo grado (richiamata in quella, d’appello) e su cui i ricorrenti molto insistono, lungi dall’evidenziare una contraddizione nella quale la corte territoriale sarebbe incorsa, concorrono sul piano logico a corroborare la decisione impugnata, essendo evidente che la difficolta’ di ricostruire in modo esauriente e certo la situazione dei rapporti di dare ed avere tra le parti e tra queste e la societa’ non puo’ che risolversi in danno degli attori sui quali grava l’onere di provare il fondamento della pretesa fatta valere in giudizio.

Anche l’ulteriore doglianza secondo cui sarebbe mancata una specifica motivazione di rigetto delle domande di annullamento e di rescissione dei contratti in discorso si scontra con i rilievi appena indicati:

cioe’ con l’omessa enunciazione da parte ricorrente di elementi di fatto decisivi, diversi ed ulteriori rispetto a quelli cui gia’ s’e’ accennato, il cui esame avrebbe potuto ragionevolmente condurre all’accoglimento di una di quelle domande.

Inammissibilmente generiche si rilevano, poi, le doglianze concernenti il difetto di motivazione in ordine alla mancata ammissione di mezzi di prova – di cui peraltro gli stessi ricorrenti paiono mettere in dubbio la decisivita’, espressamente affermando nel ricorso che “la causa si presentava prevalentemente documentale” – ed in ordine alla mancata rinnovazione delle indagini tecniche, con riferimento alle quali il ricorso non precisa neppure quali fossero state le critiche formulate nell’atto d’appello e quali le ragioni della richiesta di nuove valutazioni ad opera del consulente.

5. Il terzo, quarto e quinto motivo del ricorso appaiono privi di autonoma consistenza, risolvendosi in considerazioni teoriche o generiche sul tema della violenza morale, dell’usura e del divieto di patti leonini, la cui concreta rilevanza nella vicenda di cui si discute postulerebbe fossero stati dimostrati, in punto di fatto, i presupposti necessari ad integrare simili figure giuridiche. Ma l’esistenza di tali presupposti, come s’e’ appena detto, non risulta sia stata invece provata.

6. Non e’ infine configurabile, a carico dell’impugnata sentenza, neppure un vizio di omessa pronuncia sulle istanze istruttorie di cui gia’ sopra s’e’ detto.

Nella decisione di rigetto dell’appello e’ infatti evidentemente compresa anche la reiezione delle richieste istruttorie formulate dagli appellanti, e si e’ gia’ spiegato perche’ neppure la denuncia di difetto di motivazione, formulata a tale riguardo, possa condurre all’annullamento della sentenza impugnata.

7. Il rigetto del ricorso principale assorbe l’esame di quello incidentale, da reputarsi necessariamente condizionato dal momento che il mancato esame delle eccezioni sollevate in grado d’appello dagli odierni ricorrenti incidentali non si e’ riflesso sulla decisione della corte territoriale, integralmente favorevole agli appellati.

8. Ragioni di equita’ analoghe a quelle gia’ insite nella decisione con cui la corte d’appello ha compensato tra le parti le spese del giudizio di merito suggeriscono di compensare anche quelle del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

LA CORTE Riunisce i ricorsi, rigetta il principale, dichiara assorbito l’incidentale e compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimita’.

Così deciso in Roma, il 7 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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