Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11311 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11311 Anno 2016
Presidente: VIRGILIO BIAGIO
Relatore: GRECO ANTONIO

positivi – momento

SENTENZA

dell’imputazione

sul ricorso proposto da:

promInv gpa, rappresentata e difesa dall’avv. Sandro De Vecchi
e dall’avv. Maria Cristina Calamani, presso la quale è
elettivamente domiciliata in Roma alla via Buccari n. 2;
– ricorrente contro
ACZNZIR DELLE ENTBAZE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è domiciliata in Roma alla via dei Portoghesi n.
12;

resistente

avverso la sentenza della Commissione tributaria centrale
n. 405/04/2010, depositata il 15 marzo 2010;
Udita la relazione della causa svolta

nella pubblica

udienza del 15 maggio 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. Maurizio Vélardi, Che ha concluso per il rigetto
del ricorso.

Data pubblicazione: 31/05/2016

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La spa Procaffè propone ricorso per cassazione, sulla base
di un motivo, nei confronti della sentenza della Commdssione
tributaria centrale che, accogliendo il ricorso dell’Agenzia
delle entrate, ha confermato il diniego del ridborso, richiesto
ai sensi dell’art. 38 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602,
dell’ILOR e dell’IRPEG versate, a seguito di un errore commesso
nella redazione del bilancio della incorporata Breda srl in
1990, errore consistito nell’aver spesato in un’unica soluzione
il corrispettivo ricevuto per la cessione del marchio per cinque
anni, invece che “spalmarlo in ratei annuali a titolo di
locazione”.
Secondo il giuffice d’appello, il metodo di esporre in
bilancio nell’anno 1990 l’intero corrispettivo, rappresentato
dalla somma forfetariamente concordata per il quinquennio in lire
500.000.000, oltre a quella variabile rapportata al volume delle
vendite, “appariva. formalmente corretto in quanto interpretato
come il modo di rappresentare il bilancio in forma veritiera”;
esso corrispondeva a logiche interne che non erano state
contestate dall’ufficio. La contribuente aveva rivalutato tale
scelta, avendo una maggiore convenienza ad imputare quote uguali
di lire 100.000.000 per ciascuno dei periodi del quinquennio in
cui aveva esecuzione il contratto.
Non si era dunque trattato di un errore materiale nella
dichiarazione come quello riferito all’art. 38 del d.P.R. n. 602

del 1973, ma di un diverso interesse maturato nel nuovo soggetto
economico a seguito dell’incorporazione, e quindi di una scelta
consapevole: “l’obbligo tributario era esistente ancorché
differibile nel tempo; la liceità di una diversa impostazione
contabile protratta nel tempo costituirebbe, in assenza di
ragioni economicamente apprezzabili, un’operazione elusiva
mediante abuso del diritto per trasformare in vantaggi fiscali
non tutelabili le convenienze di un soggetto oltretutto diverso
da quello che aveva fatte la dichiarazione”.
L’Agenzia delle entrate ha presentato un atto di mera
costituzione.
HyrIVI DELIA DEC:MICHE

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ordine alla determinazione dei ricavi di competenza per l’anno

Con l’unico motivo, denunciando “violazione e falsa
applicazione di norme di diritto ex art. 360, n. 3, c.p.c. per
fraintendimento della normativa esistente, in particolare
dell’art. 109 d.P.R. 917/86 e dell’art. 38 O.P.R. 602/73,
regolatrice della fattispecie concreta, comportante conseguenze
giuridiche contrarie a quelle volute dalla legge – , la società
ricorrente censura come erronea l’affermazione secondo cui
sarebbe stato corretto esporre in bilancio nel 1990 l’intero
del marchio per cinque anni, perché integrerebbe un
misconoscimento del principio di competenza, con conseguente
disapplicazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973. Sarebbe
stato invece errato un siffatto bilancio e, di conseguenza, nella
dichiarazione dei redditi della incorporata srl Breda sarebbe
stato commesso un errore che avrebbe creato un aumento indebito
del carico

tributario. Il tentativo di essa ricorrente di

ricondurre la situazione entro i binari fissati dalle norme
civili e fiscali sarebbe stato erroneamente interpretato come un
tentativo di elusione;

l’errore

avrebbe

invece portato

all’inesistenza dell’obbligo di versamento, la quale, ai sensi
dell’art. 38 del cl.P.R. n_ 602 del 1973

giustificherebbe

autonomamente il rimborso. Qualora non fosse stata apportata
alcuna correzione all’errore iniziale, prosegue la ricorrente,

l’amministrazione finanziaria, in caso di verifica dei periodi
successivi al 1990, avrebbe certamente accertato la omessa
dichiarazione di ricavi, nella misura di lire 100.000.000 per
ciascun anno, nei successivi periodi d’imposta 1991, 1992, 1993 e
1994.
Il ricorso è fondato.
Questa Corte ha infatti da tempo chiarito come -in tema di
rimborso di somme versate per tributi non dovuti, l’art. 38 del
d.P.R. n. 602 del 1973, nel testo anteriore alla novellazione,
disposta con la legge 13 maggio 1999, n. 133, e gli artt. 16,
commi primo e settimo, del d.P.R. n. 636 del 1972 e 19, coma
primo, lett. g), del d.Lgs. 12 dicembre 1992, n. 546, nel testo
applicabile «ratione temporis>›, contenenti la previsione dei
rimedi giurisdizionali contro la reiezione dell’istanza volta ad
ottenere la restituzione delle somme, versate in regime di

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corrispettivo, vale a dire la somma concordata per la cessione

autotassazione, in base ad una dichiarazione dei redditi che
risulti inficiata da errore, consentono al contribuente, nel
termine dalla norma stessa stabilito, di richiedere la
ripetizione delle imposte pagate in adempimento di tali obblighi
– in tutto o in parte – inesistenti” (Cass., sez. un. 25 ottobre
2002, n. 15063). E si è precisato come per il rimborso di somme
versate per tributi non dovuti, il termine decadenziale di
diciotto mesi – applicabile ratione temporis – previsto dall’art.
indebito tributario, anche ai versamenti diretti mediante delega
agli Istituti di credito, fin dall’origine non dovuti, senza
distinzione tra versamenti in relazione ai quali il contribuente
faccia valere l’inesistenza dell’obbligo di versamento e quelli
per i quali lo stesso deduca l’inesistenza dell’obbligazione
tributaria” (ex multis, Cass. n. 1040 del 2004).
Ciò posto, il Collegio rileva che, a norma dell’art. 75
(nella vecchia numerazione), coma 2, lettera b), del tuir del
1986, “i corrispettivi delle prestazioni di servizi si
considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si
considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono
ultimate, ovvero, per quelle dipendenti da contratti di
locazione, mutuo, assicurazione e altri contratti da cui derivano
corrispettivi periodici, alla data di maturazione dei
corrispettivi”.
I ricavi relativi a corrispettivi con prestazioni di
servizi con cadenza periodica devono quindi intendersi percepiti
alla data in cui risulta ultimata la parte di prestazione cui
essi si riferiscono – nella specie ciascun singolo anno dei
cinque della complessiva durata pattuita -, “e vanno quindi
imputati temporalmente all’esercizio in corso a quella stessa
data, indipendentemente dalla data di fatturazione o da quella

dell’effettivo pagamento” (Case. n. 16253 del 2007).
Ciò in quanto “le regole sull’imputazione temporale dei
componenti di reddito – inderogabili, sia per il contribuente che
per l’ufficio finanziario – seguono il principio di “competenza
economica”, stabilito in generale dall’art. 75 del d.P.R. 22
dicembre 1986, n.

917, il quale implica che gli

elementi

reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata

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38 del d.P.R. n. 602 del 1973 si applica ad ogni tipologia di

operazione siano iscritti in bilancio, non già con riferimento
alla data del pagamento o dell’incasso materiale del
corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa
maturazione, appunto con l’ultimazione della prestazione. Il
costo, perciò, inerisce temporalmente all’esercizio in corso al
remento dell’ultimazione della prestazione, indipendentemente
dalla data della fatturazione e dell’effettivo pagamento del
corrispettivo imputato nel conto economico” (Cass. n. 24474 e n.
Il ricorso deve essere pertanto accolto, la sentenza
impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori
accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, con
raccoglimento del ricorso introduttivo del contribuente diretto
al rimborso di guanto indebitamente versato.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese,
liquidate in euro 3.000 per compensi di avvocato, oltre alle
spese forfetarie liquidate nella misura del 15% e ad accessori di
legge.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata
e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo del
contribuente.
Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese,
liquidate in euro 3.000 per compensi di avvocato, oltre a spese
forfetarie liquidate in misura del 15% e ad accessori di legge.
Così deciso in Roma il 15 maggio 2015.

17196 del 2006; n. 27296 del 2014, n. 9096 del 2012).

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