Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11311 del 29/04/2021

Cassazione civile sez. I, 29/04/2021, (ud. 18/11/2020, dep. 29/04/2021), n.11311

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MELONI Marina – Presidente –

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. BALSAMO Milena – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17059/2019 proposto da:

A.U., rappresentata e difesa dall’Avvocato Massimo Gilardoni,

con studio in Brescia, via Vittorio Emanuele II, n. 109;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS), ope legis domiciliato in Roma, Via

Dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che lo

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3113/2018 della Corte d’appello di Venezia,

depositata il 15/11/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

18/11/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

Che:

– A.U., cittadino del (OMISSIS), ricorre per cassazione avverso la sentenza della corte d’appello che ha respinto il di lui gravame nei confronti del diniego della protezione internazionale ed in subordine di quella umanitaria;

– a sostegno delle domande egli ha allegato di essere originario del Punjab e di avere lasciato il Pakistan perchè ostacolato dai familiari della ragazza con cui aveva una relazione i quali si opponevano, per motivi di carattere religioso, al loro matrimonio; ha riferito che la ragazza era stata uccisa dai fratelli perchè aveva leso l’onore della famiglia; dell’omicidio era stato, tuttavia, accusato il ricorrente che, a causa della calunnia, temendo di essere arrestato aveva abbandonato il suo paese;

– la corte territoriale ha ritenuto non credibile il racconto riferito dal richiedente asilo e, conseguentemente negato le forme di protezione che si fondano sull’accertato rischio di esposizione a persecuzione ovvero a trattamento inumano o degradante; la corte ha pure escluso la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), alla luce della situazione generale del Punjab desunta dagli specifici ed aggiornati report indicati a pag. 11 e 12 della sentenza, non ravvisando la violenza indiscriminata non controllabile dall’autorità statale; infine ha escluso la protezione umanitaria difettando una condizione di vulnerabilità, oggettiva e soggettiva, in capo al richiedente asilo;

– la cassazione della sentenza impugnata è chiesta sulla base di due motivi, cui resiste con controricorso il Ministero dell’Interno.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7,14, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, artt. 2 e 3 della CEDU, per avere la corte territoriale escluso la protezione sussidiaria nel silenzio assoluto sulla situazione generale della regione del Punjab, in Pakistan e, in violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per avere omesso di considerare la condizione di vulnerabilità personale che discende dalla situazione del paese di provenienza e nei paesi di transito avuto riguardo, soprattutto, al periodo di detenzione in Libia;

– il motivo è inammissibile perchè non si confronta con motivazione che sorregge la decisione sfavorevole al ricorrente; la corte territoriale ha infatti, valutato la sussistenza dei requisiti per la protezione sussidiaria ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), attraverso le informazioni sulla situazione generale della regione del Punjab rinvenute in plurimi ed aggiornati report elaborati dall’EASO e da altre accreditate agenzie ed associazioni internazionali (cfr. Refworld, Amnesty International) le cui risultanze non sono inficiate dai riferimenti allegati dal ricorrente e ricavati da non meglio circostanziate fonti informative, e perciò inidonee a screditare quanto ricostruito in forza delle fonti informative individuate secondo la previsione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 comma 3 (cfr. la relazione dell’ICG, Iquotidiano The Diplomat e PICSS, indicati a pag. 6, The News indicato a pag. 7 del ricorso);

– con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e o falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 2, avuto riguardo alle condizioni legittimante il rilascio del permesso umanitario;

-assume il ricorrente che la corte territoriale non avrebbe compiuto alcun accertamento svolto a verificare se, alla luce dell’inserimento sociale raggiunto dal richiedente in Italia, il rientro nel paese di origine evidenziasse il rischio di vedere sacrificati i propri diritti fondamentali;

– anche questa censura è inammissibile; pur invocando la necessità che il giudice verifichi la vulnerablità personale conseguente alla comparazione fra la condizione di integrazione sociale raggiunta nel paese di accoglienza e quella in cui il richiedente sarebbe destinato in caso di rimpatrio forzato nel Paese di provenienza (cfr. Cass. 4455/2018; Sez. Un. 29459/2019), il ricorrente non attinge la valutazione di non credibilità del suo racconto relativo alla personale condizione esistenziale nel Paese di provenienza;

– a tale valutazione di non credibilità, infatti, la corte territoriale ha dato seguito con l’affermazione che la mera allegazione di un contratto di lavoro in Italia è insufficiente. nell’ambito della valutazione comparativa, di cui il giudice di merito dà conto, ad identificare una vulnerabilità soggettiva apprezzabile per il rilascio del permesso di soggiorno per motivi umanitari;

– ebbene, tale ratio decidendi, la cui contestazione implica una critica efficace del giudizio di inattendibilità della vicenda personale, non è incisa dalla censura del ricorrente, che si limita a richiamare la generale condizione del Paese di provenienza, sull’assunto, non corrispondente alla natura ed ai requisiti della protezione c.d. umanitaria, che essa esaurisca l’indagine giudiziale per l’esito positivo della stessa;

– l’inammissibilità di entrambi i motivi comporta l’inammissibilità del ricorso;

– nulla va disposto sulle spese perchè il controricorso non ha i requisiti minimi di cui all’art. 366 c.p.c., n. 4, richiamati nell’art. 370 c.p.c. (cfr. Cass. 5400/2006; 12171/2009; 9983/2019);

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 18 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 29 aprile 2021

 

 

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