Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1131 del 22/01/2010

Cassazione civile sez. III, 22/01/2010, (ud. 03/12/2009, dep. 22/01/2010), n.1131

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PREDEN Roberto – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.D., titolare dell’omonima impresa individuale,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE QUATTRO FONTANE 15,

presso lo studio dell’avvocato CONTESTABILE GIOVANNI, rappresentata e

difesa dall’avvocato CARTEI ROBERTO, giusta procura speciale a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’Avvocato

BORGHI CARLO, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1588/2 007 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE

del 13/09/07, depositata l’11/12/2007;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

03/12/2009 dal Consigliere Relatore Dott. MASSERA Maurizio;

udito l’Avvocato Carlo Borghi, difensore della controricorrente che

si riporta agli scritti;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

La Corte, Letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 14 gennaio 2009 R.D. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 11 dicembre 2997 dalla Corte d’Appello di Firenze che, pronunciando in sede di rinvio, aveva rigettato l’appello avverso la sentenza del Tribunale di Livorno che aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo per L. 39.807.049 intimatole da R.M. quale corrispettivo per il trasporto di merci. R.M. ha resistito con controricorso.

2 – I nove motivi del ricorso risultano inammissibili, poiche’ la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c.. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun, punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360 c.p.c., per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, e’ ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che e’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per Cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimita’, imponendo al patrocinante in Cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Con il primo motivo la ricorrente lamenta insufficiente, contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia. In esito all’esposizione delle argomentazioni addotte a sostegno della censura formula il momento di sintesi individuando il punto controverso nella negata esistenza di un accordo tra le parti senza tenere conto del pacifico comportamento tenuto ininterrottamente e costantemente dalle parti per un quinquennio.

Manca, quindi, la specificazione delle ragioni della censura e si verte in materia di accertamento di fatto, risolto dalla Corte territoriale verificando e interpretando le risultanze processuali.

Il secondo motivo ipotizza violazione degli artt. 2697 e 1326 c.c. ma si conclude con la formulazione di un duplice quesito di diritto che non postula l’enunciazione di un principio di applicabilita’ generalizzata e nel contempo decisivo per il giudizio, ma si risolve in formule astratte e che, per la loro concreta applicazione, esigono riscontri fattuali.

Con il terzo motivo viene eccepita la nullita’ della sentenza per violazione dell’art. 324 c.p.c.. Assume che, sempre in merito all’esistenza dell’accordo intervenuto tra le due imprese, si sarebbe formato giudicato parziale. A conclusione formula un duplice quesito che ancora una volta pecca di astrattezza e rende necessario l’esame e l’interpretazione dell’originaria sentenza d’appello e della sentenza di annullamento, di cui peraltro non vengono effettuate la produzione e le allegazioni previste dall’art. 366 c.p.c., n. 6.

Infatti e’ orientamento costante (confronta, tra le altre, le recenti Cass. Sez. Un. n. 28547 del 2008; Cass. Sez. 3^ n. 22302 del 2008) che, in tema di ricorso per Cassazione, a seguito della riforma ad opera del D.Lgs. n. 40 del 2006, il novellato art. 366 c.p.c., comma 6, oltre a richiedere la “specifica” indicazione degli atti e documenti posti a fondamento del ricorso, esige che sia specificato in quale sede processuale il documento, pur individuato in ricorso, risulti prodotto. Tale specifica indicazione, quando riguardi un documento prodotto in giudizio, postula che si individui dove sia stato prodotto nelle fasi di merito, e, in ragione dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, anche che esso sia prodotto in sede di legittimita’. In altri termini, il ricorrente per Cassazione, ove intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti e di indicarne il contenuto. Il primo onere va adempiuto indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale e in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione; il secondo deve essere adempiuto trascrivendo o riassumendo nel ricorso il contenuto del documento. La violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile. Con il quarto motivo viene denunciata ancora violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. Il tema e’ la ripartizione dell’onere probatorio in materia contrattuale, ma il quesito finale, che peraltro da per scontato che una delle parti abbia assolto al proprio onere, si muove su un piano di astrattezza assoluta e prescinde totalmente da riferimenti specifici al caso concreto.

Il quinto motivo denuncia mancato esame e omessa pronuncia si un’istanza istruttoria e conseguente vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5); violazione delle norme di cui all’art. 115 c.p.c. e all’art. 230 c.p.c., comma 2 in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5.

In violazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione la ricorrente non indica in quale momento e con quale atto abbia chiesto l’interrogatorio formale della controparte ne’ riferisce i relativi capitoli. Inoltre la censura non presenta ne’ un quesito di diritto, ne’ un momento di sintesi relativo all’asserito vizio di motivazione.

Con il sesto motivo la ricorrente assume nullita’ della sentenza per omessa pronuncia su una domanda espressamente e specificamente proposta, con violazione degli artt. 112, 383, 389 e 394 c.p.c..

Specifica tale domanda nel rimborso dei contributi previdenziali, che afferma essere diversa e autonoma rispetto a quella di rimborso dei salari.

Con il settimo motivo lamenta, in via subordinata, insufficiente e contraddittoria motivazione circa il punto suddetto.

L’evidente connessione consente la trattazione congiunta delle due censure, che risultano manifestamente infondate.

Nell’esaminare la prova testimoniale la Corte d’Appello ha sottolineato che il consulente aziendale Strambi aveva riferito di non sapere chi versasse i contributi per i dipendenti. Poi ha spiegato non esservi certezza in ordine all’individuazione di colei che in concreto aveva retribuito il Pirone e si era assunto l’intero costo del lavoratore. Infine ha riferito la tesi (data per scontata dalla originaria sentenza d’appello, ma non dal Tribunale) della sussistenza di una convenzione tra le due sorelle secondo cui il salario del lavoratore “prestato” all’impresa di trasporti di R.M. (“oltre alle contribuzioni previdenziali”) avrebbe dovuto essere anticipato dal proprio datore di lavoro con diritto a recuperare da chi aveva effettivamente usufruito delle prestazioni.

Da cio’ si evince che la sentenza impugnata non ha tralasciato di esaminare la questione e di valutare la relativa domanda, che ha poi rigettato sul rilievo che gravava sull’opponente l’onere – ritenuto non assolto – di provare il fatto costitutivo della pretesa restitutoria.

L’ottavo motivo prospetta mancanza di motivazione e violazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1 in tema di compensazione delle spese del giudizio di cassazione conclusosi con l’annullamento della sentenza d’appello.

Premesso che il ricorso aveva trovato accoglimento solo parziale, e’ agevole rilevare che la Corte di Cassazione non provvede direttamente alla liquidazione delle spese del relativo giudizio ma la rimette al giudice di rinvio allorche’ ritiene che occorra una valutazione complessiva della soccombenza che tenga conto dell’esito definitivo del giudizio. In tale quadro nulla vieta al giudice di rinvio di disporre la compensazione delle spese del giudizio di annullamento.

Considerazioni del tutto analoghe dimostrano l’infondatezza del nono motivo. Con esso viene lamentato vizio di motivazione con riferimento alla disciplina delle spese processuali del giudizio d’appello. Manca il necessario momento di sintesi e la sentenza impugnata ha indicato le ragioni della propria scelta.

4.- La relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria;

la resistente ha chiesto d’essere ascoltata in Camera di consiglio;

La memoria non prospetta argomentazioni idonee a superare i rilievi contenuti nella relazione;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella Camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che il ricorso deve percio’ essere rigettato essendo manifestamente infondato; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380 bis e 385 c.p.c..

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.600,00, di cui Euro 1.400,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 3 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 22 gennaio 2010

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