Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11307 del 31/05/2016


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Civile Sent. Sez. 5 Num. 11307 Anno 2016
Presidente: CAPPABIANCA AURELIO
Relatore: GRECO ANTONIO

Imposte dirette
plusvalenze

SENTENZA

sul ricorso proposto da:
GICRGI PlERFRANCESCRI PIERFRANCESCO,

rappresentato

e difeso

dall’avv. Salvatore Cantelli presso il quale è elettivamente
domiciliato in Roma alla via Pietro della Valle n. 1;
– rico:trenta –

contro
AGENZIA

DELLE ENTRATE,

in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura generale dello Stato,
presso la quale è domiciliata in Roma in via dei Portoghesi n.
12;
– ‘esistente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale
della Calabria n. 1824/4/14, depositata il 9 ottobre 2014;
Udita la relazione

della causa svolta nella pubblica

udienza del 13 maggio 2015 dal Relatore Cons. Antonio Greco;
uditi l’avv. Salvatore Cantelli per il ricorrente e
l’avvocato dello Stato Messia Urbani Neri per la resistente;
udito il P.M., in

persona del

Sostituto Procuratore

Generale Dott. Paola Mastroberardino, Che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

Data pubblicazione: 31/05/2016

SVOLGIMENMO DEL PROCESSO
Pierfrancesco Giorgi Pierfranceschi propone ricorso per
cassazione, affidato a tre motivi ed illustrato con successiva
memoria, nei confronti della sentenza della Commissione
tributaria regionale della Calabria che, rigettandone l’appello,
ha confermato la legittimità dell’avviso di accertamento, ai fini

samma di euro 457.158 a titolo di caparra penitenziale, convenuta
con il preliminare di compravendita – non seguito dalla stipula
del definitivo – sottoscritto con la spa Europaradiso
International, ed avente ad oggetto terreni agricoli in Crotone
al prezzo pattuito di euro 22.857.915.
Secondo il giudice d’appello, premesso che la caparra
andava inquadrata nella previsione dell’art. 6, comma 2, del
tuir, secondo il quale sono considerati redditi della stessa
categoria di quelli perduti “le indennità conseguite a titolo di
risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”,
andava affermata la tassabilità della caparra incamerata, che
costituiva il risarcimento della perdita dei proventi Che, per
loro natura, avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto
privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi
dell’art. 67 del tuir.
L’Agenzia delle entrate si è limitata a depositare atto di
costituzione ai fini della partecipazione all’udienza di
discussione.
ECTIVI DELLA DEC:MICHE
Con il primo motivo il ricorrente, denunciando “nullità
della sentenza che ha confermato la decisione dà_ primo grado per
aver ritenuto legittimo l’accertamento originariamente impugnato,
pur in presenza di un difetto di motivazione per intrinseca
contraddittorietà”, ravvisa nella sentenza

errores in iudicandb

ed in procednalo dolendosi, segnatamente, della “omessa pronuncia
sul motivo di appello con il quale il contribuente lamentava il
vizio di una sentenza di primo grado appiattita/fotocopia delle
tesi erariali, limitandosi a rilevare che “i giudici di prime
cure, condividendo l’operato dell’ufficio impositore, hanno

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dell’IRPEF per l’anno 2005, relativo all’incameramento della

applicato alla fattispecie in esame l’art. 6, coma 2, in
correlazione all’art. 67 (redditi diversi), coma 1, lettera a),
del dPR 917/1986.
Il motivo è infondato.
Il Collegio anzitutto rileva come secondo l’insegnamento
del giudice della nomofilachia, “nel processo civile ed in quello
tributario, la sentenza la cui motivazione si limiti a riprodurre
il contenuto di un atto di parte (o di altri atti processuali o

qualora le ragioni della decisione siano, in ogni caso,
attribuibili all’organo giudicante e risultino in modo chiaro,
univoco ed esaustivo, atteso che, in base alle disposizioni
costituzionali e processuali, tale tecnica di redazione non può
ritenersi, di per sé, sintomatica di un difetto d’imparzialità
del giudice, al quale non è imposta l’originalità né dei
contenuti né delle modalità espositive, tanto più che la validità
degli atti processuali si pone su un piano diverso rispetto alla
valutazione professionale o disciplinare del magistrato” (Cass.,
sez. un. 16 gennaio 2015, n. 642).
Nella specie, poi, il giudice d’appello – dopo aver
rilevato che la Commissione provinciale “condividendo l’operato
dell’Ufficio aveva applicato alla fattispecie l’art. 6,

coma 2,

in correlazione all’art. 67 (redditi diversi), doma 1, lettera
a), del d.P.R. 917/1986 – ha sottoposto nelle pagine seguenti
(pagg. 4, 5 e 6) ad argomentato esame critico quanto affermato
dal giudice di primo grado, pervenendo alla conclusione che “la
penale è assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la
prestazione principale rimasta ineseguita (cessione
dell’immobile) avrebbe costituito reddito ai sensi dell’art. 67,
comma l, del tuir, ed ha così puntualizzato che “il Collegio
condivide quindi le asserzioni dell’ufficio circa la tassabilità
della caparra incamerata costituendo la stessa il risarcimento
della perdita dei proventi Che, per loro natura e in base a
quanto sopra considerato avrebbero generato redditi tassabili per
un soggetto privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai
sensi dell’art. 67 del tuir”.
E’ perciò assorbito l’esame degli ulteriori profili del
complesso motivo con i quali, per un verso, in ragione

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provvedimenti giudiziari), senza niente aggiungervi, non è nulla

dell’assente “appiattimento” della sentenza di primo grado sulle
tesi erariali, il contribuente aveva dubitato della legittimità
costituzionale del sistema della giustizia tributaria per
%mancanza di terzietà e indipendenza degli organi giurisdizionali
tributari di merito, derivanti dalla dipendenza economica e
funzionale delle segreterie e dei giudici dal EF”; e, per altro
verso, aveva censurato l’esame compiuto dal giudice d’appello per
aver ritenuto legittimo “l’accertamento viziato da motivazione

Con il secondo motivo denuncia, sotto il profilo dbil’error
in ludIcandlo e

dell’error in procedendo,

la nullità della

sentenza impugnata per aver ritenuto legittimo l’accertamento che
ha assoggettato a tassazione la somma trattenuta dal
contribuente, “soggetto privato, non considerandone la natura
puramente di pena privata stabilita convenzionalmente a fronte
del recesso di parte promissaria acquirente, non rientrando la
stessa in alcuna delle categorie reddituali previste dall’art. 6

del d.P.R. n. 917 del 1986, non essendoci quindi alcun reddito da
assoggettare a tassazione separata”.
Il motivo è infondato, in quanto non vengono contestate in
modo idoneo le ragioni dell’imponibilità della somma convenuta, e
percepita dal contribuente, alla luce della disciplina delle
imposte sui redditi, ed a ben vedere non viene individuato
l’errore o gli errori di diritto commessi dal giudice d’appello.

La Commissione regionale ha infatti condiviso la ritenuta
tassabilità della caparra incassata dal contribuente, per
inadempimento della parte promissaria acquirente, in ragione
della sua riconosciuta “natura risarcitoria, in applicazione
della disciplina tributaria prevista dall’art. 6, coma 2, e 67,
comma 1, lettera a), del tuir”.
Ha osservato infatti che l’inquadramento della clausola
penale rientra pienamente nel disposto dell’art. 6, coma 2, del
tuir, secondo il quale sono considerati redditi della stessa
categoria di quelli perduti “le indennità conseguite a titolo di
risarcimento di danni consistenti nella perdita di diritti”,
concordando la dottrina nell’affermare che, in caso di
inadempimento dell’obbligazione principale, la rilevanza
dell’imposizione diretta della corresponsione della penale ha per

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intrinsecamente contraddittoria”.

base la visione civilistica della fattispecie come essenzialmente
risarciteria.
“In questa prospettiva – prosegue il giudice di merito – in
seno all’incremento patrimoniale che si verifica a vantaggio
della parte non inadempiente, con l’introito della penale, sono
state individuate, ai fini tributari, una componente risarcitoria
della perdita subita od una ccrponente risarcitoria del mancato
guadagno; quest’ultima “è assimilata a reddito, e quindi

mancato reddito a causa dell’inadempimento dell’altro contraente.
Per l’individuazione di tali componenti all’interno della
prestazione risarcitoria si è fatto ricorso al criterio riferito
all’attitudine a produrre reddito della prestazione principale
rimasta ineseguita. In caso affermativo, l’introito della penale
viene a sua volta considerato reddito per la parte afferente a
tale mancato reddito. … Ne consegue che la penale è
assoggettabile ad imposizione diretta, in quanto la prestazione
principale rimasta ineseguita (cessione dell’immobile) avrebbe
costituito reddito ai sensi dell’art. 67, coma l, tuir.

Il

Collegio condivide quindi le asserzioni dell’Ufficio circa la
caparra incamerata costituendo la stessa il risarcimento della
perdita di proventi che, per loro natura e in base a quanto sopra
considerate avrebbero generato redditi tassabili per un soggetto
privato, con il conseguimento di una plusvalenza ai sensi
dell’art. 67 del tuir”.
Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’omessa
pronuncia, in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., e
dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, in
relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., con riguardo
all’incidenza sulla tassazione in discorso della rivalutazione
del terreno secondo la previsione degli artt. 7 e 5 della legge
28 dicembre 2001, n. 448.
Il

motivo è in parte infondato ed in parte inaaríssibile.

E’ infondato sotto il primo profilo, in quanto il giudice

d’appello ha esaminato il rilievo, affermando in proposito che
“il principio della tassabilità della caparra effettivamente
incamerata dal venditore promissario non può essere eluso a causa
e per effetto dell’avvenuta “rivalutazione” dei terreni da parte

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assoggettata ad imposizione diretta, in quanto surrogatoria del

dei venditori (e conseguente pagamento delle maggiori imposte,
asserendo il verificarsi di una doppia imposizione della
plusvalenza, in

caso

di conclusione dell’operazione dd

trasferimento del bene, non emergendo un collegamento funzionale
tra l’invocata disciplina favorevole ai proprietari dei terreni
rivalutati e il trattamento fiscale della penale (contrattuale)”;
ed è invece inammissibile alla stregua di quanto previsto dal n.
5 dell’art. 360 cod. proc. civ., nel testo come sostituito
il fatto è stato esaminato dal giudice.
Il ricorso deve essere pertanto rigettato ed il ricorrente
condannato al pagamento delle spese, liquidate in euro 5.000 per
compensi di avvocato, oltre alle spese prenotate a debito.
Sussistono ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del
d.P.R. n. 115 del 2002 i presupposti per il versamento, da parte
del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a
norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
P . (2

.

La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del
giudizio, liquidate in euro 5.000 per compensi di avvocato oltre
alle spese prenotate a debito.
Ad sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115
del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il
versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del Gamma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma il 13 maggio 2015.

dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, corre convertito, in quanto

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