Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11307 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. III, 12/06/2020, (ud. 17/01/2020, dep. 12/06/2020), n.11307

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 30426/2018 proposto da:

M.A., I.F., M.D., domiciliati ex lege

in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentati e difesi dall’avvocato M.D. difensore di sè

medesimo;

– ricorrente –

contro

B.F., S.A., domiciliate ex lege in ROMA, presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentate e difese dagli

avvocati SPAGNA MARCELLO, SALVATORE BORGIA;

I.S., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

MARCELLO SPAGNA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 474/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 01/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/01/2020 dal Consigliere Dott. ANNA MOSCARINI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

I.F., M.A. e M.D. citarono, con atto del 30 dicembre 2009, I.S., S.M., S.A. e B.F. davanti al Tribunale di Siracusa per sentirli condannare al risarcimento del danno da diffamazione, derivante da frasi da questi pronunciate e trascritte in un atto pubblico di compravendita immobiliare con il quale I.S. aveva trasferito la proprietà di due immobili alla figlia e alla moglie di S.M.; chiesero altresì la condanna dei convenuti alla cancellazione delle frasi offensive, la declaratoria di nullità della vendita per violazione dell’art. 1261 c.c., con la conseguente trascrizione della sentenza di nullità, nonchè la condanna dei convenuti ai diritti cautelari nascenti da un provvedimento di sequestro giudiziario gravante sugli immobili. La frase diffamatoria di cui chiesero la cancellazione era la seguente: “la comparente I.S., spogliata dalla sorella F. e dai figli M.A. e M.D., di tutti i beni relitti dai genitori, è costretta a subire circa venti giudizi da questi promossi nei di lei confronti, essendo stata privata di tutte le sue risorse economiche, per far fronte ad esigenze familiari ha deciso di vendere i suddetti immobili nonostante il vincolo pregiudizievole che vi grava”.

Nel contraddittorio con i convenuti, che proposero domanda riconvenzionale, il Tribunale rigettò tutte le domande principali ed accolse la riconvenzionale, ordinando la cancellazione del sequestro giudiziario sui beni.

La Corte d’Appello di Catania, adita dai soccombenti, nel contraddittorio con gli appellati, con la sentenza n. 474 del 1/3/2018, essendo incontestato e documentato tra le parti un ponderoso contenzioso ereditario relativo alla successione dei genitori di I.S. e I.F., ha ritenuto che le lamentele profferite da I.S. fossero relative al suddetto contenzioso, che dunque gli apprezzamenti in essa contenuti fossero privi di animus nocendi e che conseguentemente fosse da escludere la natura diffamatoria dell’espressione, dovendo la medesima essere contestualizzata nell’ambito dell’ampio contenzioso ereditario; che la stessa era scriminata dalla verità delle notizie profferite e dalla continenza delle espressioni verbali utilizzate; che il preteso danno non patrimoniale patito dagli appellanti e derivante da una sentenza del Tribunale di Siracusa pronunciata inter partes, non era sostenuto da adeguata prova, essendo stata quella sentenza riformata in appello con sentenza confermata da questa Corte di Cassazione, dunque passata in giudicato; che la pretesa natura ingiuriosa di altre frasi asseritamente contenute nella memoria di replica degli appellati non poteva essere esaminata per violazione del novum in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c.; che la violazione dell’art. 1261 c.c., non sussisteva in quanto al momento della proposizione della domanda riconvenzionale di cancellazione del sequestro, il medesimo non era stato convalidato e su tale esito si era formato il giudicato sì da far ritenere accoglibile l’istanza di cancellazione dell’adottata misura cautelare; che in ogni caso residuava la possibilità di un autonomo giudizio per ottenere la cancellazione di una trascrizione ritenuta pregiudizievole. Tutto ciò premesso, la Corte territoriale adita ha rigettato l’appello principale ed ha, invece, accolto l’incidentale di I.S., aumentando l’importo delle spese di primo grado poste a carico dei soccombenti; ha altresì condannato in solido i medesimi alle spese del grado d’appello.

Avverso la sentenza I.F., M.A. e M.D. ricorrono per cassazione affidandosi a dodici motivi, illustrati da memoria. Resistono con distinti controricorsi I.S., d’un lato, e B.F., S.A. e S.M., dall’altro.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente occorre verificare la tempestività del ricorso in ragione dell’eccezione sollevata sul punto dalle parti resistenti. Pur applicandosi il principio del computo non ex numero ma ex nominatione dierum, l’eccezione non è fondata in quanto, essendo stata la sentenza depositata in data 1 marzo 2018 e comunicata dalla cancelleria lo stesso giorno ai soccombenti, l’impugnazione, notificata in data 2 ottobre 2018, è stata proposta entro il termine lungo di sei mesi maggiorato dei 31 giorni di sospensione feriale – dal 1 agosto al 31 agosto 2018 – previsti a seguito dell’entrata in vigore del D.L. n. 132 del 2014.

Parimenti è da disattendere l’eccezione, sempre sollevata dalle parti resistenti, relativa alla mancanza di data della procura speciale in calce al ricorso per cassazione, ed alla redazione della medesima in foglio separato spillato al ricorso, in ragione dell’indirizzo “conservativo” della giurisprudenza di questa Corte che valorizza la volontà di impugnare rispetto alla genericità del contenuto della procura speciale o alla mancanza di data. Si veda sul punto Cass., 1, n. 214 del 9/1/2020; Cass., 2, n. 14437 del 27/5/2019; Cass., 6-1, n. 24670 del 3/10/2019 secondo le quali, in tema di ricorso per cassazione, mentre l’apposizione del mandato a margine del ricorso già redatto esclude di per sè ogni dubbio sulla volontà della parte di proporlo, quale che sia il tenore dei termini usati, la mancanza di tale prova e la conseguente incertezza sull’effettiva volontà della parte o anche la mancanza di data della procura speciale non possono tradursi in una pronuncia di inammissibilità del ricorso per mancanza di procura speciale, in ragione della volontà della parte, comunque espressa, di voler proporre ricorso per cassazione, secondo il principio di conservazione degli atti (art. 1367 c.c. e art. 159 c.p.c.), rimanendo assorbito il requisito della specialità dal contesto documentale unitario, derivante direttamente dalla relazione fisica tra la delega, ancorchè genericamente formulata, e il ricorso.

2. Rigettate le eccezioni pregiudiziali relative all’ammissibilità del ricorso si procede all’esame dei singoli motivi di impugnazione.

2.1. Con il primo motivo – nullità della sentenza impugnata per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 352 c.p.c., violazione del diritto al contraddittorio orale e del diritto di difesa in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4 – i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per non aver consentito la loro partecipazione all’udienza pubblica di discussione della causa, iniziando l’udienza alle ore 12 ed essendo la causa posta al 29 posto del numero d’ordine, sicchè non avrebbe potuto essere chiamata prima delle 12,15 orario in cui venne dichiarata chiusa la discussione, per poi riaprire il verbale alle 12,25 al fine di dare atto della presenza di tutti i difensori. Ad avviso dei ricorrenti la Corte d’Appello avrebbe sostanzialmente impedito alla difesa degli appellanti di discutere oralmente la causa.

1.1 Il motivo è palesemente infondato. Dopo il deposito di conclusionali e repliche i signori I. e M. chiesero di discutere oralmente la causa e, con apposita ordinanza notificata alle parti, fu fissata l’udienza di discussione per il giorno 20/11/2017 alle ore 11,30. Al momento di chiamata della causa, alle ore 11,40, il difensore degli attuali ricorrenti non era presente ed il Presidente decise di attendere le 11,50 prima di invitare i difensori ad una succinta discussione. Il difensore degli appellanti si presentò solo alle ore 12.20 quando la causa era stata già trattata, dovendo invece, il medesimo essere a conoscenza della convocazione per un orario antecedente quello dell’udienza ordinaria. La sentenza non ha affatto violato l’art. 352 c.p.c., ma è del tutto conforme alle previsioni delle disposizioni ivi contenute e ai principi di tutela del contraddittorio orale e del diritto di difesa. Ne consegue l’assoluta infondatezza della censura.

2.Con il secondo motivo di ricorso gli impugnanti censurano la sentenza per omessa pronuncia sulla richiesta di cancellazione delle frasi offensive, per violazione dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 2043 c.c., artt. 6 e 10 c.c., art. 595 c.p.c., comma 3, del principio relativo al diritto alla rettifica o cancellazione di notizie infondate, pubblicate a mezzo stampa, delle norme in materia di privacy, della giurisprudenza sul diritto all’oblio, il tutto con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3, 4 e 5. Contestano, in sostanza, che la Corte territoriale avrebbe violato tutte le disposizioni indicate in epigrafe non consentendo la cancellazione delle frasi offensive contenute nell’atto pubblico.

3. Con il terzo motivo i ricorrenti sollevano un vizio di omessa pronuncia sul carattere offensivo e diffamatorio delle frasi contenute nell’atto pubblico, la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., art. 2043 c.c., artt. 6 e 10 c.c., con riguardo alla violazione del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c., il tutto in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4. In sostanza i ricorrenti ribadiscono le medesime censure formulate nel precedente motivo, essendo incontestato tra le parti che quelle espressioni avessero contenuto offensivo e diffamatorio.

4. Con il quarto motivo censurano la sentenza per omessa pronuncia sul motivo di appello con il quale si contestava che le frasi ingiuriose provenissero solo da I.S. e sulle ragioni che avevano indotto gli originari attori ad evocare in giudizio l’avvocato Marcello Spagna, difensore di S.I. e padre delle acquirenti dell’immobile. Violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

2-3-4. Il secondo, terzo e quarto motivo possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e sono tutti inammissibili per plurimi e distinti profili. Innanzitutto per difetto di autosufficienza in quanto, in violazione dell’art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, non pongono questa Corte in condizioni di comprendere il contenuto delle censure, come appare evidente, a titolo esemplificativo, dall’esame della pretesa violazione del principio di non contestazione o dell’omessa pronuncia sulle ragioni per le quali fu citata in giudizio, oltre che I.S., anche il suo difensore avvocato Spagna. In secondo luogo i motivi sono inammissibili in quanto tutti sostanzialmente volti a sollecitare questa Corte ad un riesame del merito, relativo alla natura non offensiva delle espressioni contenute nell’atto pubblico, alla luce della contestualizzazione delle medesime rispetto ad un ampio contenzioso giudiziario intercorso tra le parti, di cui la Corte d’Appello dà ampio e motivato riscontro. Ugualmente dicasi per le pretese ragioni per le quali, pur comparendo nell’atto pubblico la sola I.S., il giudizio era stato intrapreso anche nei confronti dell’avvocato Spagna, padre delle beneficiarie dell’atto pubblico di vendita, e della pretesa violazione del principio di non contestazione. In terzo luogo le censure volte a sindacare la motivazione sono tutte inammissibili per violazione dell’art. 348 ter c.p.c., comma 4, applicabile ratione temporis, per impossibilità di proporre il ricorso ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, in presenza di una cd. “doppia conforme”. 5. Con il quinto motivo gli impugnanti sollevano il vizio di pretesa violazione di giudicato esterno sull’esistenza di un danno risarcibile di cui alla sentenza n. 556 del 1998 del Tribunale di Siracusa che attesterebbe il danno arrecato ai signori M. dalle conciliazioni del 1/9/1987 e 9/9/1987; censurano altresì la violazione degli artt. 2056 e 1126 c.c., artt. 2043 e 2059 c.c., la mancanza assoluta di motivazione in ordine alla sollevata esistenza di un giudicato esterno. I ricorrenti, in sostanza, si dolgono del fatto che la Corte d’Appello non avrebbe pronunciato sui danni derivanti dai verbali di conciliazione sottoscritti tra le parti, effetto di una dolosa macchinazione ai propri danni ispirata da I.S..

5.1 Il motivo è palesemente inammissibile perchè la sentenza citata dai ricorrenti, contrariamente alla loro prospettazione, non contiene alcun accertamento di responsabilità per danni a carico di I.S. e di S.M., sicchè non vi è alcun giudicato che la sentenza impugnata abbia violato, nè vi è alcun vizio di omessa motivazione, peraltro inammissibile ai sensi dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, in quanto la Corte d’Appello, esaminando i corrispondenti motivi terzo e sesto del gravame, li ha rigettati ritenendoli infondati a motivo del fatto che la sentenza citata dagli appellanti aveva rigettato la domanda di annullamento dei verbali di conciliazione dai quali sarebbe derivato in tesi un danno risarcibile, con ciò escludendo il presupposto del diritto al preteso risarcimento.

6. Con il sesto motivo gli impugnanti censurano la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1261 c.c., l’omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c., sulla sussistenza dei presupposti di cui alla medesima disposizione, e sulla nullità dell’atto di compravendita nonostante la presenza di un sequestro giudiziario a carico dei due immobili oggetto di trasferimento immobiliare.

7. Con il settimo motivo – violazione e falsa applicazione degli artt. 100,683 c.p.c., artt. 2688, 2888 e 2882 c.c., artt. 113 e 113 ter disp. att. c.c. – i ricorrenti censurano la sentenza per aver rigettato il motivo di appello relativo al capo della pronuncia di primo grado che aveva accolto la domanda riconvenzionale di I.S. e conseguentemente disposto la cancellazione della trascrizione del sequestro a suo tempo apposto sui beni, senza avvedersi che sulla cancellazione non vi era stata una specifica contestazione e che la controparte non aveva percorso i normali rimedi amministrativi e non contenziosi previsti dall’ordinamento.

6-7 I motivi sesto e settimo possono essere trattati congiuntamente per ragioni di connessione, avendo ad oggetto entrambi la pretesa omessa pronuncia in ordine al sequestro conservativo apposto sui beni oggetto di compravendita, e sono entrambi inammissibili. Premesso che sull’inefficacia del sequestro conservativo sugli immobili si era formato il giudicato, tanto che si procedette alla trascrizione della cancellazione della suddetta misura cautelare, le censure sono di merito in quanto volte non a sollevare una violazione di legge ma a rimettere in discussione l’accertamento, già svolto dal giudice di merito, circa l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 1261 c.c., per l’annullamento dell’atto di compravendita e circa la cancellazione della trascrizione del sequestro disposta dal giudice all’esito del passaggio in giudicato della sentenza che ne aveva dichiarato l’inefficacia. Nè può dirsi sussistere una omessa pronuncia sui motivi di cui al punto 8 dell’atto di appello – con cui si censurava la sentenza per aver accolto la domanda di cancellazione del sequestro non potendo la medesima essere avanzata in via autonoma in un giudizio di cognizione, non essendo stato chiesto l’assenso degli appellanti e consentendo le pronunce la cancellazione senza ulteriore intervento giudiziale – in quanto la Corte d’Appello ha diffusamente motivato sul punto, argomentando nel senso della perdurante sussistenza dell’interesse a chiedere, in un autonomo giudizio, la cancellazione della trascrizione dell’ipoteca.

8. Con l’ottavo motivo i ricorrenti sollevano la violazione e falsa applicazione degli artt. 232 c.p.c. e del diritto alla prova per non avere il giudice di primo grado e poi dell’appello dato per ammessi i capitoli di prova di interrogatorio formale deferiti ai convenuti, per aver negato tutte le richieste istruttorie e per aver omesso ogni motivazione sul punto, il tutto con riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5.

9. Con il nono motivo gli impugnanti denunciano l’omessa pronuncia sul diniego totale di mezzi istruttori, la violazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 nn. 3 e 4.

8-9 L’ottavo ed il nono motivo possono essere trattati congiuntamente per evidenti ragioni di connessione e sono entrambi inammissibili perchè privi di decisività. Premesso che il potere di disposizione delle prove rientra nell’insindacabile perimetro del giudizio di merito e non può essere sindacato da questa Corte se, come nel caso, congruamente motivato, la Corte territoriale ha ritenuto infondata la censura di cui al punto 11 del gravame, relativo all’ammissione dei mezzi di prova con particolare riguardo agli interrogatori formali, “in quanto risulta dal verbale del giudizio di primo grado che la questione dell’ammissibilità degli interrogatori formali è stata a lungo dibattuta tra le parti ed oggetto di più ordinanze, l’ultima delle quali, del 24/9/2012, ha revocato l’ammissione di siffatto mezzo istruttorio e rinviato la causa per la precisazione delle conclusioni.”

10. Con il decimo motivo i ricorrenti sollevano la violazione dell’art. 92 e 96 c.p.c., per non avere il giudice d’appello compensato le spese in considerazione della soccombenza reciproca, avendo controparte rinunciato alla domanda di risarcimento e ad altre domande riconvenzionali, essendo stata accolta la sola domanda riconvenzionale di I.S. in ordine alla cancellazione della trascrizione del sequestro.

10.1 Il motivo è infondato perchè la sentenza ha correttamente motivato sul regime delle spese in ragione della soccombenza piena degli attuali ricorrenti, in applicazione dell’art. 91 c.p.c., comma 1, nè sussisteva alcuna eccezionale o grave ragione per compensare, neppure in parte, le medesime spese.

11. Con l’undicesimo motivo i ricorrenti sollevano la violazione del giudicato interno attinente alla quantificazione delle spese liquidate dal giudice di primo grado in favore di B.F. e S.A.. Il giudice d’appello avrebbe illegittimamente modificato il regime delle spese senza avvedersi che, nei confronti delle due richiamate parti, si sarebbe formato il giudicato.

11.1 Il motivo è radicalmente inammissibile in quanto, avendo B.F. e S.A. proposto appello incidentale in punto di quantificazione delle spese in loro favore liquidate dal giudice di primo grado, è chiaro che non si era formato sul punto alcun giudicato.

12. Con l’ultimo motivo i ricorrenti censurano la sentenza per non aver disposto la compensazione delle spese del grado di appello in ragione della pretesa reciproca soccombenza derivante dal rigetto della domanda ex art. 96 c.p.c., formulata dalle controparti.

12.1 Il motivo è inammissibile per contrasto con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo la quale il rigetto, in sede di gravame, della domanda, meramente accessoria, ex art. 96 c.p.c., a fronte dell’integrale accoglimento di quella di merito proposta dalla stessa parte, in riforma della sentenza di primo grado, non configura un’ipotesi di parziale e reciproca soccombenza, nè in primo grado nè in appello, sicchè non può giustificare la compensazione delle spese di lite ai sensi dell’art. 92 c.p.c. (Cass., 6-3, n. 9532 del 12/4/2017; Cass., 6-3, n. 11792 del 15/5/2018).

13. Conclusivamente il ricorso va rigettato ed i ricorrenti condannati a pagare, a ciascun gruppo di parti resistenti, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo. Si dà atto della sussistenza dei presupposti per il cd. “raddoppio” del contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare sia in favore di I.S., sia in favore di S.F., S.A. e S.M., le spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascun gruppo di parti in Euro 3.200 (oltre Euro 200 per esborsi), più accessori di legge e spese generali al 15%. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 17 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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