Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11304 del 23/05/2011
Cassazione civile sez. III, 23/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 23/05/2011), n.11304
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –
Dott. SPIRITO Angelo – Consigliere –
Dott. D’AMICO Paolo – rel. Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
S.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA COLA DI RIENZO 92, presso lo studio dell’avvocato
CARLINO PIETRO, rappresentato e difeso dall’avvocato RENDINA
FILIBERTO giusta delega a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
C.P.M.M. (OMISSIS), elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA FERDINANDO DI SAVOIA 3, presso lo studio
dell’avvocato SGROMO BRUNO, rappresentato e difeso dall’avvocato DE
SARNO SALVATORE giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3134/2005 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, 3
Sezione Civile, emessa il 27/10/2005, depositata il 11/11/2005;
R.G.N. 1095/2003.
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
06/04/2011 dal Consigliere Dott. PAOLO D’AMICO;
udito l’Avvocato RENDINA FILIBERTO; udito l’Avvocato DE SARNO
SALVATORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
FUCCI Costantino che ha concluso per rigetto ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con scrittura del 18 dicembre 1996, l’imprenditore agrario S. S. stipulò, con la proprietaria coltivatrice diretta C. P.M.M. un contratto preliminare con il quale quest’ultima, nella predetta qualità, promise in vendita il proprio fondo rustico, da lei stessa coltivato.
A seguito del presunto inadempimento dello S., C.P. M. convenne quest’ultimo dinanzi al Tribunale ordinario di Nola chiedendo la risoluzione del contratto preliminare inter partes, di trattenere la caparra di L. 80.000.000 e di condannare lo stesso S. al rilascio del fondo.
Il convenuto chiedeva il rigetto della domanda attrice e spiegava domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere la condanna della C.P., oltre che alla restituzione del doppio della caparra e al correlativo risarcimento dei danni, anche al contestuale pagamento dell’indennizzo per le migliorie apportate nella coltivazione del fondo. Il Tribunale ordinario di Nola dichiarava risoluto il contratto preliminare e sussistente il diritto della C. a ritenere la caparra di L. 80.000.000 versata dallo S.; condannava quindi quest’ultimo al rilascio del fondo e la C. alla restituzione della somma di Euro 36.151,00, percepita a titolo di anticipo sul prezzo, oltre accessori; rigettava la domanda riconvenzionale per assoluta carenza di prova in ordine all’asserita necessità di lavori per un normale utilizzo del fondo e condannava il convenuto al pagamento delle spese del giudizio.
Proponeva appello lo S..
La Corte distrettuale rigettava l’appello e condannava l’appellante alla rifusione in favore della C. delle spese del grado.
Propone ricorso per cassazione S.A. con tre motivi.
Resiste con controricorso C.P.M.M..
Diritto
MOTIVI DELLA DECISIONE
Parte controricorrente eccepisce preliminarmente l’inammissibilità e improcedibilità del ricorso proposto da S.A. che non è stato parte nè del giudizio di primo grado nè del giudizio di secondo grado: le parti in giudizio erano infatti S.S. e C.P.M.M..
L’eccezione è infondata in quanto i nomi dello S. sono S. e A..
C.P.M.M. chiede altresì la condanna dello S. al pagamento delle spese processuali in considerazione del fatto che il ricorrente ha proposto un incauto ricorso con colpa grave e la condanna dello stesso ex art. 385 c.p.c..
La domanda è infondata.
Poichè l’impugnata sentenza è stata depositata in cancelleria l’11 novembre 2005 al presente giudizio non si applica infatti il D.Lgs. n. 40 del 2006 e quindi l’art. 385 c.p.c., u.c., introdotto con tale decreto entrato in vigore il 2 marzo 2006.
Per la medesima ragione non devono essere presi in esame tutti i quesiti formulati nel ricorso principale. Con il primo motivo parte ricorrente denuncia “Violazione da errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 37-38 c.p.c.; dell’art. 12 disp. gen., nonchè L. 3 maggio 1982, n. 203, art. 47; L. 14 febbraio 1990, n. 29, art. 9; L. 26 maggio 1965 n. 580, art. 8; ed infine L. 14 agosto 1971, n. 817, art. 7, in relazione alle censure di legittimità ipotizzate ai n.ri sub 2), sub 3) e sub 4) dell’art. 360 c.p.c.”.
Secondo lo S. i Giudici di merito, hanno omesso di dichiarare la nullità assoluta dell’intero procedimento per incompetenza funzionale e per materia del Giudice ordinario, trattandosi di controversia di natura agraria e, come tale, riservata, ope legis, alla competenza esclusiva e funzionale del Giudice specializzato agrario, costituito nella specie dalla Sezione Specializzata Agraria del Tribunale di Nola.
Il motivo è inammissibile.
L’incompetenza per materia, da qualunque causa dipenda ed al pari di quella per valore e per territorio nei casi previsti dall’art. 28 cod. proc. civ., deve essere eccepita o rilevata, anche d’ufficio, ai sensi dell’art. 38 cod. proc. civ., comma 1, (nel testo introdotto dalla L. n. 353 del 1990, art. 4, in vigore dal 30 aprile 1995), non oltre la prima udienza di trattazione; ne consegue che, in difetto, diviene insindacabile e irretrattabile la competenza del giudice dinanzi a cui l’incompetenza non sia stata eccepita o rilevata (Cass., 19 febbraio 2009, n. 4007).
Nel caso in esame l’incompetenza per materia è stata dedotta per la prima volta in cassazione.
Si deve altresì rilevare che la competenza della Sezione specializzata agraria postula che non risulti ictu oculi l’estraneità del rapporto in contestazione all’ambito di quelli agrari, sicchè deve escludersi quando il rapporto dedotto in giudizio sia, come nella fattispecie di cui ci si occupa, la compravendita di un fondo rustico (Cass., 25 febbraio 1982, n. 1191).
Con il secondo motivo si denuncia “in subordine, violazione da errata interpretazione e falsa applicazione degli artt. 1350, 2725 c.c., L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8; L. 14 maggio 1971, n. 817, art. 7;
artt. 112-113-115-116 c.p.c. in relazione alla censura di legittimità ipotizzate all’art. 360 c.p.c., n.ri sub 3), 4), 5) per avere i pregressi giudici della Corte territoriale mancato di ritenere e dichiarare la preliminare, e pur eccepita, inammissibilità della domanda attorea, per omissione totale della preventiva essenziale comunicazione scritta, ovvero notifica, da parte della proprietaria C.P.M.M. della “denuntiatio” oltre che ai confinanti aventi diritto a prelazione agraria, anche e specialmente agli identificati coltivatori diretti M.W., S.G. e R.R., quali proprietari delle finitime particelle di fondi agricoli (…)”.
E’ noto, afferma parte ricorrente, che la denuntiatio deve rivestire necessariamente la forma scritta per esigenze di tutela e di certezza, rendendo indubbia l’effettiva esistenza di un terzo acquirente, evitando che la prelazione possa essere utilizzata per fini speculativi in danno del titolare del diritto e assicurando al terzo acquirente la certezza della compravendita con il proprietario.
Anche tale motivo è inammissibile.
L’eccezione non è stata infatti sollevata nè nel giudizio di primo grado nè nel giudizio di gravame e deve perciò considerarsi nuova ai sensi dell’art. 345 c.p.c. per cui non possono proporsi nuove eccezioni e, se proposte, devono essere dichiarate inammissibili d’ufficio.
Con il terzo motivo si deduce “violazione da falsa interpretazione e da errata applicazione degli artt. 1372-1373-1453-2932 c.c., comma 2, nonchè degli artt. 112-113-115-116 c.p.c., in relazione alle censure di legittimità, ipotizzate ai n.ri sub 3) e 5) dell’art. 360 c.p.c.”. Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello non ha rilevato: 1) la già avvenuta risoluzione ope legis, del contratto preliminare; 2) l’omessa integrazione, ovvero offerta di integrazione del rapporto sinallagmatico contrattuale, in quanto la C., promittente venditrice, non aveva ancora eseguito la sua prestazione o fatto offerta di esecuzione nei modi e termini di legge.
Il motivo è inammissibile. Da un lato perchè la violazione dell’art. 112 c.p.c. deve essere eccepita come nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non ai sensi dell’art. 360, nn. 3 e 5; dall’altro perchè è privo di autosufficienza.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo e con attribuzione delle stesse all’Avv. Salvatore De Sarno.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in Euro 10.200,00, di cui Euro 10.000,00 per onorario, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.
Dispone la distrazione delle spese a favore dell’Avv. Salvatore De Sarno.
Così deciso in Roma, il 6 aprile 2011.
Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011