Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11302 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. III, 23/05/2011, (ud. 14/03/2011, dep. 23/05/2011), n.11302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SEGRETO Antonio – Presidente –

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere –

Dott. ARMANO Uliana – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. BARRECA Giuseppina Luciana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso gli

Uffici dell’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, da cui è difeso per

legge.

– ricorrente –

contro

F.V., (OMISSIS), selettivamente domiciliato in

ROMA, VIA EMILIO DE’ CAVALIERI 11, presso lo studio dell’avvocato

LANA MARIO, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

MELILLO MARIO, LANA ANTON GIULIO giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 429/2005 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

Sezione prima civile, emessa il 12/01/2005, depositata il 31/01/2005;

R.G.N. 10144/2002.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

14/03/2011 dal Consigliere Dott. ULIANA ARMANO;

udito l’Avvocato MELILLO MARIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo che ha concluso per l’accoglimento del 4^ motivo,

rigetto del resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 15-3-2000 F.V. conveniva dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della Sanità, oggi Ministero della Salute, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni subiti a causa di trasfusioni con sangue infetto effettuate nel maggio 1984 che le avevano procurato l’infezione da epatite HCV. Il Ministero dalla Sanità si costituiva chiedendo il rigetto della domanda perchè prescritta ed infondata.

Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda e la decisione veniva confermata successivamente dalla Corte di Appello di Roma con sentenza del 31-1-2005.

La Corte di Appello,per quello che ancora interessa, ha ritenuto che i diritto al risarcimento non era prescritto in quanto nella specie si applicava il più lungo termine di prescrizione decennale, ravvisando nel comportamento del Ministero della Salute il reato di epidemia colposa, ed individuando il dies a quo da cui fare decorrere la prescrizione dal giorno in cui la F. aveva ottenuto la certificazione della Commissioni Mediche Ospedaliere, con il riconoscimento della sua patologia e soprattutto della rapportabilità causale alle trasfusioni.

Ha riconosciuto la responsabilità del Ministero della Salute anche per l’epoca in cui furono praticate le trasfusioni Ritenendo che già vi erano sufficienti conoscenze scientifiche idonee a contrastare la diffusione del virus.

Avverso detta sentenza presentava ricorso per Cassazione il Ministero della Salute sorretto da quattro motivi.

Resisteva con controricorso F.V., eccependo l’inammissibilità del ricorso per tardività e la infondatezza dello stesso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminare è l’esame dell’eccezione di inammissibilità proposta dalla resistente per essere stato il ricorso asseritamene proposto quando era ormai scaduto il termine lungo per l’impugnazione.

L’eccezione è infondata.

Infatti la sentenza impugnata è stata depositata in data 31-1-2005 ed il termine lungo per l’impugnazione(un anno + 46 gg ) scadeva il 18-3-2006.

Poichè il ricorso è stato consegnato all’Ufficiale Giudiziario per la notifica il 18-3-2006 deve considerarsi tempestivo.

Si ricorda che in tema di computo dei termini processuali, qualora la legge non preveda espressamente che si tratta di “termine libero”, con esclusione cioè dal computo stesso sia del giorno iniziale che di quello finale, opera il criterio generale di cui all’art. 155 c.p.c., secondo il quale non vanno conteggiati il giorno e l’ora iniziali, computandosi invece quelli finali (Cass., civ., 21/01/1984, n. 526; Cass. civ., Sez. 3^, 04/11/1997, n. 10797).

1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2727, 2729, 2934, 2935, 2946, 2947 c.c., e art. 112 c.p.c., omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5).

Il ricorrente lamenta che la Corte di Appello ha ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione, non tenendo conto che i comportamenti asseritamene lesivi posti in essere dall’amministrazione ed il conseguente danno si erano verificati nel 1984 e che l’atto di citazione era stato notificato nel 2000, quando il diritto al risarcimento era ormai prescritto, erroneamente individuando il termine a quo in quello del rilascio delle certificazioni mediche ai fini dell’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992.

Inoltre la Corte di Appello aveva ritenuto applicabile termine di prescrizione decennale, affermando che ricorreva nella specie il reato di epidemia colposa, senza il concreto accertamento degli elementi costitutivi concretandosi così anche il vizio di omessa motivazione. 1.1.Il motivo è parzialmente fondato.

In ordine al dies a quo la Corte di Appello ha affermato che, ai sensi dell’art. 2935 c.c., il diritto al risarcimento si prescrive nel termine previsto dalla legge che inizia a decorrere da quando il diritto stesso può essere fatto valere , cioè dal momento in cui la condotta illecita abbia inciso nella sfera giuridica del danneggiato con effetti esteriorizzanti e conoscibili dal medesimo; con la conseguenza che nella fattispecie l’attrice, avendo conosciuto della rapportabilità eziologia della sua affezione alle emotrasfusioni soltanto quando, approvata la L 25-2-92 n. 210, ha ottenuto le certificazione della Commissioni Mediche Ospedaliere con il riconoscimento della sua patologia e soprattutto della rapportabilità causale alle trasfusioni,da tale momento doveva calcolarsi il decorso della prescrizione.

1.2.Questa Corte ritiene che: “Il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma dell’art. 2935 c.c. e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione che produce il danno altrui o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, ma dal momento in cui viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento doloso o colposo di un terzo, usando l’ordinaria oggettiva diligenza e tenuto conto della diffusione delle conoscenze scientifiche” Sez. U, Sentenza n. 576, del 11/01/2008.

Di conseguenza è infondato il motivo di ricorso con cui si chiede di individuare il dies a quo del decorso della prescrizione nel giorno in cui è stata praticata la trasfusione , causa della successiva malattia , poichè in tale momento la malattia non si era ancora manifestata all’esterno, con la conseguente impossibilità per il danneggiato di percepirla come danno ingiusto a seguito di comportamento doloso o colposo del terzo.

1.3.Il motivo è invece fondato in relazione alla ritenuta coincidenza del termine di inizio della prescrizione con il momento del rilascio delle certificazioni da parte della Commissione Medica Ospedaliera ai fini del riconoscimento dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992.

Tale soluzione porterebbe il creditore a dilatare a suo piacere il corso “-” della prescrizione; potrebbe portare ad affermare che il dies a quo inizi anche a decorrere a causa già iniziata, negando l’effetto interattivo connaturato alla proposizione dell’azione;

rischierebbe di enfatizzare il ruolo della consulenza medico – legale, avrebbe la illogica conseguenza di ritenere che il decorso del termine di prescrizione possa iniziare dopo che la parte si è comunque attivata per chiedere un indennizzo per lo stesso fatto lesivo, essendo ragionevole ipotizzare che dal momento della proposizione della domanda amministrativa la vittima del contagio deve comunque aver avuto una sufficiente percezione sia della malattia, sia del tipo di malattia che delle possibili conseguenze dannose. Sez. U, Sentenza n. 576 del 11/01/2008.

Di conseguenza è da tale momento che deve farsi iniziare il decorso della prescrizione.

1.4.In ordine alla ritenuta applicabilità della prescrizione decennale configurando la fattispecie, secondo i giudici di merito , il reato di epidemia colposa, si osserva che nel caso di specie è da escludere il reato di epidemia colposa , in quanto tale fattispecie presupponente la volontaria diffusione di germi patogeni, sia pure per negligenza, imprudenza o imperizia, con conseguente incontrollabilità dell’eventuale patologia in un dato territorio e su un numero indeterminabile di soggetti, non appare conciliarsi con l’addebito di responsabilità a carico del Ministero, prospettato in termini di omessa sorveglianza sulla distribuzione del sangue e dei suoi derivati.

Mancano gli elementi connotanti tale reato: a) la sua diffusività incontrollabile all’interno di un numero rilevante di soggetti, mentre nel caso dell’HCV e dell’HBV non si è al cospetto di malattie a sviluppo rapido ed autonomo verso un numero indeterminato di soggetti; b) l’assenza di un fattore umano imputabile per il trasferimento da soggetto a soggetto, mentre nella fattispecie è necessaria l’attività di emotrasfusione con sangue infetto; c) il carattere contagioso e diffuso del morbo, la durata cronologicamente limitata del fenomeno Sez. U, Sentenza n. 581 dei 2008 1.5.Di conseguenza nel caso di specie deve ritenersi applicabile la prescrizione quinquennale di cui all’art. 2947, n. 1,non essendo possibile godere del termine più lungo di cui all’art. 2947, n. 3, previsto quando il – fatto è considerato dalla legge come reato con una più lunga prescrizione, (nella specie si tratta di reato di lesione colposa con preserzione quinquennale).

Pertanto il primo motivo deve essere parzialmente accolto nei sensi di cui in motivazione ed il giudice del rinvio dovrà liberamente valutare la fattispecie alla luce dei principi sopra espressi, ricordando anche che in tema di prescrizione del diritto al risarcimento dei danno resta a carico di chi eccepisce la prescrizione l’onere di provarne la decorrenza Sez. Un. n. 2249 del 1988.

2. Come secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2056 c.c., e omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in quanto erroneamente la Corte di appello aveva ritenuto sussistente la responsabilità del Ministero della Salute per il periodo antecedente 1988, non tenendo conto che all’epoca era difficile individuare la malattia ,conoscere le modalità di trasmissione ed i metodi per prevenirla ; sia per il periodo successivo, con la conseguente mancanza dell’elemento soggettivo del dolo e della colpa; vizio di motivazione si ravvisava secondo il Ministero ricorrente, anche il relazione all’accertamento del nesso di causalità tra il comportamento dell’Amministrazione e l’evento , stante l’impossibilità di controllare ex ante le conseguenza dannose delle trasfusioni.

2.1. Il secondo motivo è infondato. La Corte di Appello sul punto ha affermato che la gravità delle omissioni e dei ritardi dei Ministero nella prevenzione delle infezioni conosciute nei diversi tempi, l’utilità che i mezzi di contrasto conosciuti con riferimento ai virus già noti avrebbero avuto nella prevenzione dei virus identificati solo successivamente, ed il principio civilistico dell’estensione della responsabilità aquiliana ai danni non prevedibili, erano tutti elementi che concorrevano a giustificare la responsabilità del Ministero della Sanità. Il contagio era avvenuto in un periodo in cui l’Amministrazione avrebbe potuto identificare gli agenti patogeni e porre in atto le misure già note per evitare il verificarsi del danno, con conseguente affermazione di responsabilità dell’Amministrazione che, omettendo di controllare l’origine del sangue destinato a trasfusione, aveva cagionato alla parte attrice il grave danno alla salute consistente nell’epatopatia cronica attiva HCV. 2.2.Il riconoscimento in capo al Ministero dalla Salute della responsabilità per omessa vigilanza e controllo è conforme ai principi affermati da questa giurisprudenza di legittimità in base ai quali “Premesso che sul Ministero gravava un obbligo di controllo, direttive e vigilanza in materia di impiego di sangue umano per uso terapeutico (emotrasfusioni o preparazione di emoderivati) anche strumentale alle funzioni di programmazione e coordinamento in materia sanitaria, affinchè fosse utilizzato sangue non infetto e proveniente da donatori conformi agli standars di esclusione di rischi, il giudice, accertata l’omissione di tali attività, accertata, altresì, con riferimento all’epoca di produzione del preparato, la conoscenza oggettiva ai più alti livelli scientifici della possibile veicoiazione di virus attraverso sangue infetto ed accertata – infine – l’esistenza di una patologia da virus HIV o HBV o HCV in soggetto emotrasfuso o assuntore di emoderivati, può ritenere, in assenza di altri fattori alternativi, che tale omissione sia stata causa dell’insorgenza della malattia, e che, per converso, la condotta doverosa del Ministero, se fosse stata tenuta, avrebbe impedito la versificazione dell’evento”.

3.Come terzo motivo di ricorso il Ministero deduceva violazione e falsa applicazione degli artt. 2043 e 2059 c.c. e omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in quanto era stato disposto il risarcimento del danno non patrimoniale senza il concreto accertamento della commissione di un fatto reato da parte dell’amministrazione.

3.1. Il motivo è infondato in quanto secondo il nuovo orientamento interpretativo dell’art. 2059 c.c., adottato da questa Corte con le sentenze 31.5.2003 n. 8827 ed 8828, ed ormai consolidato (cfr. Cass. 27.6.2007, n. 14846), il danno non patrimoniale conseguente all’ingiusta lesione di un interesse inerente alla persona, costituzionalmente garantito, non è soggetto, ai fini della risarcibilità, ai limite derivante dalla riserva di legge correlata all’art. 185 c.p., e non presuppone, pertanto, la qualificabilità del fatto illecito come reato, giacchè il rinvio ai casi in cui la legge consente la riparazione del danno non patrimoniale ben può essere riferito, dopo l’entrata in vigore della Costituzione, anche alle previsioni della legge fondamentale, ove siconsideri che il riconoscimento, nella Costituzione, dei diritti inviolabili inerenti alla persona non aventi natura economica implicitamente, ma necessariamente, ne esige la tutela, ed in tal modo configura un caso determinato dalla legge, al massimo livello, di riparazione del danno non patrimoniale. Sez. U, Sentenza n. 581 del 2008.

4. Con il quarto motivo di ricorso viene denunziata violazione e falsa applicazione degli artt. 2056, 1223 e 2041 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per non aver applicato il principio della compensatio lucri cum danno e disposto il cumulo di indennizzo ex L. n. 210 del 1992 conseguito dall’attrice e risarcimento.

4.1.Tale motivo è fondato in quanto il diritto al risarcimento del danno conseguente al contagio da virus HBV, HIV o HCV a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto ha natura diversa rispetto all’attribuzione indennitaria regolata dalla legge n. 210 del 1992;

tuttavia, nel giudizio risarcitorio promosso contro il Ministero della salute per omessa adozione delle dovute cautele, l’indennizzo eventualmente già corrisposto al danneggiato può essere interamente scomputato dalle somme liquidabili a titolo di risarcimento del danno (“compensatio lucri cum damno”), venendo altrimenti la vittima a godere di un ingiustificato arricchimento consistente nel porre a carico di un medesimo soggetto (il Ministero) due diverse attribuzioni patrimoniali in relazione al medesimo fatto lesivo.

Cass. S. Unite, 11/01/2008, n. 584.

La sentenza va cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione per un nuovo giudizio anche per le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo parzialmente, nonchè il quarto motivo di ricorso e rigetta i restanti. Cassa, in relazione, e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione per un nuovo giudizio anche per le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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