Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11302 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. III, 12/06/2020, (ud. 16/12/2019, dep. 12/06/2020), n.11302

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – rel. Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 21887/2018 proposto da:

Ecoambiente S.r.l., in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliato in Roma Viale Bastioni Michelangelo n.

5/a, presso lo studio dell’avvocato Savoni Monica, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Marino Luigi;

– ricorrente –

contro

Provincia Latina, in persona del legale rappresentante in carica,

elettivamente domiciliato in Roma alla via Silvio Pellico, n. 44,

presso lo studio dell’avvocato Bartolini Baldelli Francesco, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Avallone Pierluigi;

– controricorrente –

e contro

Agenzia delle Entrate;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2199/2018 della CORTE d’APPELLO di ROMA,

depositata il 06/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

16/12/2019 da Dott. Cristiano Valle.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Ecoambiente S.r.l. impugna con due motivi di ricorso la sentenza della Corte di Appello di Roma, n. 02199 del 06/04/2018, di rigetto dell’appello avverso sentenza del Tribunale di Latina, che aveva a sua volta rigettato l’opposizione della Ecoambiente S.r.l. avverso opposizione a cartella di pagamento per oltre Euro settecentomila conseguente ad ordinanza ingiunzione a titolo di sanzione amministrativa per violazioni in materia ambientale.

Resiste con controricorso la Provincia di Roma.

L’agenzia delle Entrate è rimasta intimata.

La Ecoambiente S.r.l. ha depositato memoria per l’adunanza camerale.

Il P.G. non ha depositato conclusioni.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e nullità della sentenza, in quanto la pronuncia d’appello, nel rinviare ad altra sentenza della stessa Corte territoriale, non adeguatamente motivato in relazione alle risultanze del caso concreto, che non risultano essere prese adeguatamente in considerazione, come dimostrato anche dalla ripetizione di refusi.

Il secondo mezzo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2941,2942, 2943 e 2945 c.c., affermando che la Corte territoriale ha erroneamente equiparato il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione e quello a cartella di pagamento all’opposizione a decreto ingiuntivo, affermando che l’instaurazione del giudizio determina l’interruzione del corso della prescrizione.

Il primo mezzo è infondato.

La sentenza della Corte territoriale, pur nella sua notevole concisione, consente di individuare il percorso logico giuridico seguito dal giudice di merito nella fattispecie concreta sottoposta a al suo esame. Il mero richiamo a propri precedenti non è di per sè causa di nullità della sentenza ed è, anzi, attualmente previsto come strumento per il giudice volto ad assicurare che la motivazione sia succinta, come risulta pianamente dal testo vigente – ed applicabile alla controversia, in quanto introdotto dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 52, comma 5 – dell’art. 118 disp. att. c.p.c., comma 1 (disp. att. c.p.c.).

Sul punto del richiamo ai precedenti, di cui all’ultima parte dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 17640 del 06/09/2016 Rv. 640819 – 01) alla quale il Collegio intende dare seguito, afferma che: “La sentenza di merito può essere motivata mediante rinvio ad altro precedente dello stesso ufficio, in quanto il riferimento ai “precedenti conformi” contenuto nell’art. 118 disp. att. c.p.c., non deve intendersi limitato ai precedenti di legittimità, ma si estende anche a quelli di merito, ricercandosi per tale via il beneficio di schemi decisionali già compiuti per casi identici o per la risoluzione di identiche questioni, nell’ambito di un più ampio disegno di riduzione dei tempi del processo civile; in tal caso, la motivazione del precedente costituisce parte integrante della decisione, sicchè la parte che intenda impugnarla ha l’onere di compiere una precisa analisi anche delle argomentazioni che vi sono inserite mediante l’operazione inclusiva del precedente, alla stregua dei requisiti di specificità propri di ciascun modello di gravame, previo esame preliminare della sovrapponibilità del caso richiamato alla fattispecie in discussione. “. Nel caso all’esame la sentenza d’appello, pur richiamando soltanto per numero ed anno un proprio precedente, e pur contenendo almeno due refusi, sintomo questo di una non accorta tecnica redazionale, dimostra di avere preso in considerazione la censura specificamente mossa avverso la sentenza di primo grado, disattendendola sulla base della stessa motivazione, condivisa, del giudice di prime cure. Il testo del provvedimento, inoltre, contiene specifici riferimenti all’importo monetario portato dalla cartella di pagamento per sanzione amministrativa “per violazioni in materia ambientale”, il che induce ad escludere che il giudice di merito non abbia avuto cognizione esatta della controversia esaminata. L’orientamento di legittimità (Cass. n. 21037 del 23/08/2018 Rv. 650138-01)) pure afferma: “La sentenza pronunziata in sede di gravame è legittimamente motivata per relationem ove contenga espliciti riferimenti alla pronuncia di primo grado, facendone proprie le argomentazioni in punto di diritto, e fornisca, pur sinteticamente, una risposta alle censure formulate, nell’atto di appello e nelle conclusioni, dalla parte soccombente, risultando così appagante e corretto il percorso argomentativo desumibile attraverso l’integrazione della parte motiva delle due sentenze”.

Deve, pertanto, ritenersi infondato il primo motivo, risultando, dal testo del provvedimento impugnabile, enucleabile il ragionamento decisorio del giudice di merito.

Il secondo mezzo è parimenti infondato.

L’istaurazione del giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione, o comunque di pagamento, comporta l’interruzione del termine prescrizionale fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. In particolare la costituzione in giudizio dell’opposto vale ad interrompere il corso della prescrizione con effetti permanenti, ossia fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio” come ribadito da questa Corte (Cass. n. 05369 del 22 02 2019 Rv. 652775-01): “Nel procedimento di opposizione a ordinanza-ingiunzione, la resistenza in giudizio dell’ente creditore ha efficacia interruttiva della prescrizione ai sensi dell’art. 2943 c.c., comma 2 e produce gli effetti permanenti di cui all’art. 2945 c.c., comma 2, che si estendono anche nei confronti dell’eventuale coobbligato solidale rimasto estraneo al giudizio”.

Il ricorso è, pertanto, rigettato.

Le spese di lite restano regolate dal principio della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 10.400,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario al 15% oltre CA ed IVA per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, Sezione Terza Civile, il 16 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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