Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1130 del 18/01/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 18/01/2017, (ud. 12/12/2016, dep.18/01/2017),  n. 1130

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. CARBONE Enrica – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6778/2012, proposto da:

C.D., elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Benedetto Torti 25, presso l’avv. Ivano Fiorentino, rappresentato e

difeso dall’avv. Eustachio Agricola, con procura speciale a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle entrate, elett.te domic. in Roma, alla via dei

Portoghesi 12, rappres. e difesa dall’avvocatura generale dello

Stato come per legge;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8/27/11 della commissione tributaria della

Puglia, depositata il 27/01/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/12/2016 dal Consigliere dott. Rosario Caiazzo;

udito per l’avvocatura dello Stato l’avv. Meloncelli;

udito il P.M. in persona del Sostituto procuratore generale dott.ssa

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Preliminarmente, il collegio delibera di redigere la sentenza in forma semplificata.

C.D. impugnò l’avviso d’accertamento emesso dall’agenzia delle entrate di S. Severo, notificato il 19.5.07, fondato su una verifica eseguita dalla g.d.f. di Rodi Garganico nei confronti di D.M. da cui erano emerse operazioni oggettivamente inesistenti consistenti in descritte cessioni di beni allo stesso C. che gli avevano permesso illegittimamente di abbattere costi e di detrarre l’Iva.

Al riguardo, a sostegno dell’accertamento, l’ufficio aveva valorizzato vari elementi, quali: la cessazione dell’impresa del D. nel 2001; l’omessa presentazione, da parte della suddetta impresa, della dichiarazione dei redditi per gli anni 2002 e 2003; la mancanza dell’autorizzazione relativa allo sfruttamento delle acque del lago di (OMISSIS) finalizzato all’allevamento di mitili; il fatto che la stessa impresa del D. fosse risultata titolare di una piccola imbarcazione non idonea al trasporto di ingenti quantitativi di mitili come riportato nelle fatture contestate.

La CTP rigettò il ricorso con sentenza appellata dal C. il quale dedusse il vizio di motivazione dell’atto impugnato avendo il giudice recepito acriticamente quanto accertato dalla g.d.f.

La CTR della Puglia accolse l’appello limitatamente all’omessa pronuncia circa la richiesta di sospensione del procedimento nella pendenza del giudizio penale, confermando la sentenza appellata per il resto.

Il C. ha proposto ricorso per cassazione, formulando due motivi.

Con il primo motivo, il ricorrente ha denunciato l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, avendo la sentenza impugnata recepito gli accertamenti eseguiti dalla g.d.f., senza effettuare ulteriori accertamenti, adombrando il difetto di “competenza funzionale” dell’agenzia delle entrate.

Con il secondo motivo, il ricorrente ha lamentato l’errata e/o omessa valutazione degli elementi probatori forniti e la violazione di legge in ordine alla valutazione delle prove e al mancato esame della sentenza penale.

Resiste l’agenzia delle entrate con controricorso, eccependo l’inammissibilità dei due motivi e l’infondatezza del ricorso.

Preliminarmente, va respinta l’eccezione d’inammissibilità dei motivi del ricorso, in quanto essi sono muniti del requisito dell’autosufficienza, esponendo i fatti rilevanti, l’oggetto dell’accertamento compiuto dalla g.d.f. e indicando le norme che s’assumono violate.

Il ricorso è infondato.

Il primo motivo non merita accoglimento, in quanto la CTR ha correttamente motivato, recependo i rilievi e le conclusioni formulate dalla g.d.f. nei confronti di D.M., che hanno costituito un quadro indiziario grave, preciso e concordante, come analiticamente esposto dai giudici d’appello.

Al riguardo, il ricorrente non ha formulato una critica seria ai suddetti indizi riscontrati dalla polizia tributaria, e recepiti nella sentenza impugnata, ma ha sostanzialmente inteso contestare le legittimità dell’utilizzazione degli accertamenti eseguiti dalla g.d.f., eccependo un asserito “difetto di competenza funzionale” ascritto all’agenzia delle entrate per aver essa “rinunciato alla valutazione critica degli elementi posti a fondamento dell’atto impositivo, limitandosi a richiamare gli esiti delle verifiche contenuti nel P.V.C. della g.d.f.”.

Occorre confermare l’orientamento consolidato della Corte per cui, nel regime introdotto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche “per relationem”, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il contenuto del provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., ord. n. 903213).

Parimenti infondato è il secondo motivo, poichè il giudice d’appello non ha violato alcuna norma di giudizio, alla luce delle suddette argomentazioni.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso, condannando il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 4000,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 18 gennaio 2017

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