Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11290 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. III, 23/05/2011, (ud. 09/12/2010, dep. 23/05/2011), n.11290

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETTI Giovanni Battista – Presidente –

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Consigliere –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17040/2006 proposto da:

N.P. (OMISSIS), titolare della ditta TUTTO PER LA CASA

– THE WORK, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE FORNACI 38,

presso lo studio dell’avvocato ALBERICI Raffaele, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocatò VIGLIONE ANTONIO giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

L.B.B. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. PISANELLI 4, presso lo studio dell’avvocato GIGLI

Giuseppe, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BOVETTI GIANCARLO giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 580/2005 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

Sezione Terza Civile, emessa il 19/11/2004, depositata il 12/04/2005,

r.g.n. 585/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

09/12/2010 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito l’Avvocato GIUSEPPE GIGLI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

IN FATTO

L.B., nel convenire in giudizio N.P. dinanzi al tribunale di Mondovì, chiese la revoca del decreto con il quale gli era stato ingiunto il pagamento, in favore dell’opposta, della somma di oltre L. 25 milioni quale corrispettivo di alcuni materiali forniti e posti in opera dalla ditta della N. in un appezzamento di terreno di proprietà della moglie dell’opponente.

Il giudice di primo grado respinse l’opposizione.

La sentenza fu impugnata dal L. dinanzi alla corte di appello di Torino, la quale ne accolse integralmente il gravame.

N.P. ha impugnato la sentenza di appello con ricorso per cassazione sorretto da 4 motivi.

Resiste con controricorso L.B..

Diritto

IN DIRITTO

Il ricorso è nel suo complesso fondato.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 184 c.p.c. (ante riforma), art. 246 c.p.c.; artt. 2721 e 2726 c.c..

Il motivo (che si conclude, al pari di quelli successivi, con un quesito di diritto non necessario ratione temporis, la cui formulazione ne avrebbe comportato, in caso contrario, una inevitabile declaratoria di inammissibilità per assoluta genericità) lamenta la erroneità della sentenza di appello nella parte in cui, ritenendo inidonee le prove testimoniali dedotte dalla ricorrente onde fornire una adeguata giustificazione alla pretesa creditoria azionata con il decreto ingiuntivo poi revocato, adotta, sul piano motivazionale, concetti privi di pregio giuridico quale “la propensione” del teste, una sua “attendibilità non certa e tranquillante” frutto di una “affermazione vaga e non coerente”.

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1321, 1337 e 1338 c.c..

Lamenta la ricorrente la erronea assimilazione, da parte del giudice territoriale, della fase delle trattative – di carattere preparatorio e strumentale rispetto alla stipulazione del contratto – con quella della conclusione del contratto stesso, trattandosi, viceversa, di due fasi assolutamente distinte (tanto da generare due diversi tipi di responsabilità), onde la presenza della teste P. all’incontro tra la N. e il L., funzionale al perfezionamento delle pattuizioni negoziali, non poteva in alcun modo dirsi, sic et simpliciter, incoerente con l’affermazione (della medesima teste) secondo cui “delle trattative inerenti la vendita si occupò in seguito direttamente la N.”, senza che potesse, ancora, legittimamente inferirsi la ulteriore conclusione secondo la quale le pattuzioni de quibus erano state “molto probabilmente” riferite alla teste dalla titolare dell’esercizio e non presenziate da lei direttamente.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1350 c.c..

Lamenta la ricorrente la falsa applicazione, sotto il profilo della illegittimità della motivazione, della norma sopra citata, avendo la corte di appello subalpina del tutto immotivatamente ritenuto necessaria la predisposizione scritta, all’esito della fase delle trattative, di un atto consacrante gli accordi intervenuti inter partes in vista della stipula del futuro contratto di fornitura, non rientrando il contratto in parola tra quelli di cui la legge richiede la forma scritta, nè ad substantiam nè ad probationem.

Con il quarto motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 184 e 345 c.p.c., D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21.

Lamenta, infine, la ricorrente la illegittimità dell’ammissione della produzione documentale da parte del L. in appello, pur trattandosi di prova precostituita. Premesso che l’ultima censura è meritevole di piano e pacifico accoglimento, alla luce della giurisprudenza delle sezioni unite di questa corte in tema di produzione di nuove prove in appello (Cass. 8202-3/2005), il ricorso è complessivamente fondato, avendo il giudice territoriale motivato il proprio convincimento in spregio al principio di diritto, affermato ancora dalle sezioni unite di questa corte con la sentenza n. 13533 del 2001, secondo il quale in tema di prova dell’inadempimento di una obbligazione, il creditore che agisca per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve soltanto provare la fonte (negoziale o legale) del suo diritto ed il relativo termine di scadenza, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre il debitore convenuto è gravato dell’onere della prova del fatto estintivo dell’altrui pretesa.

Imprescindibile corollario di tale principio risulta quello per cui il debitore è altresì gravato dell’onere di dimostrare, in modo completo ed esaustivo, il mancato perfezionamento del vincolo negoziale fonte del rapporto generatore dell’obbligo di pagamento così come allegato dal creditore, onde, all’esito dell’accoglimento del quarto motivo dell’odierno ricorso – e della conseguente inammissibilità delle prove documentali prodotte dall’odierno resistente -, del tutto illogica e non conforme a diritto si appalesa la sentenza impugnata nel suo iter motivazionale improntato tout court alla (s)valutazione della prova positiva del credito offerta dall’odierna ricorrente e mancata analisi della (in)efficacia della prova negativa offerta dal debitore. Il ricorso è pertanto accolto, la sentenza della corte torinese cassata, il procedimento rinviato ad altra sezione delle medesima corte di appello, che provvedere anche per le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte di appello di Torino in altra composizione.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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