Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11287 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. II, 10/05/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 10/05/2010), n.11287

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MALZONE Ennio – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. BUCCIANTE Ettore – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato PARISI ANTONINO;

– ricorrente –

contro

COND VIA (OMISSIS) (OMISSIS), in persona

dell’Amministratore pro tempore Sig. V.S.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 5, presso lo studio

dell’avvocato PAGANO MARIA LUISA, rappresentato e difeso

dall’avvocato ROMANO PATRIZIA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 380/2004 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 19/10/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. BUCCIANTE Ettore;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CENICCOLA Raffaele, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 15 dicembre 2001 il Tribunale di Messina – adito da L.A. nei confronti del condominio del palazzo (OMISSIS) in quella citta’ – dichiaro’ il diritto dell’attore a trasformare in porta una finestra aperta su uno spazio comune, per poter dotare della necessaria uscita di sicurezza i locali ad uso commerciale di sua proprieta’ ubicati nel fabbricato.

Impugnata dal condominio, la decisione e’ stata riformata dalla Corte d’appello di Messina, che con sentenza del 19 ottobre 2004 ha respinto la domanda proposta da L.A., essenzialmente rilevando che “dalla consulenza esperita in primo grado e dagli allegati disegni si ricava che al fine di realizzare un’uscita di sicurezza il L. dovrebbe trasformare una finestra lucifera in porta nonche’, stante la differenza di livello tra lo spazio condominiale e il soffitto del piano seminterrato (che e’ posto a una quota di soli m. 1,2 dal piano di calpestio della proprieta’ condominiale), porre in opera una scala, previo scavo, nella parte prossima alla luce, del cortile condominiale per una larghezza di m.

1,2 (come di evince dai grafici), parte che sarebbe quindi permanentemente destinata al servizio del seminterrato” e che “per quanto riguarda la consegna delle chiavi dello spazio condominiale non viene contestato dal L. che cio’ e’ avvenuto in corso di giudizio, come accertato dal giudice di primo grado (vedi udienza del 12.12.94)”. Le spese di entrambi i gradi di giudizio sono state poste a carico del soccombente.

Contro tale sentenza L.A. ha proposto ricorso per Cassazione, in base a sette motivi. Il condominio si e’ costituito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con i primi cinque motivi di ricorso – tra loro strettamente connessi e da prendere pertanto in esame congiuntamente – L.A. lamenta che erroneamente e ingiustificatamente la Corte d’appello ha disconosciuto il suo diritto a realizzare l’opera oggetto della controversia, la cui liceita’ deriva: sia dalla natura dell’area in questione, non compresa tra le parti comuni elencate nell’art. 1117 c.c. e consistente non in un cortile, bensi’ in un distacco di isolamento non utilizzato; sia dalla assenza di impedimenti per gli altri condomini all’uso dell’esigua superficie da occupare con la scala; sia dall’ininfluenza di tale manufatto sulla funzionalita’ dello spazio di cui si tratta; sia dalla tollerabilita’ del sacrificio eventualmente sofferto dagli altri condomini; sia dalla mancanza per loro di apprezzabili pregiudizi, trattandosi di un’utilizzazione soltanto piu’ intensa del bene, che ai proprietari delle singole unita’ immobiliari di un edificio e’ comunque permessa.

La doglianza non e’ fondata.

L’assunto del ricorrente presuppone che si verta in tema di uso di una cosa comune, per trame una utilita’ bensi’ particolare, ma che non e’ diversa da quella derivante dalla destinazione propria della cosa stessa e non impedisce agli altri partecipanti di fruirne parimenti. Ma in sede di merito si e’ accertato che il proposito di L.A. e’ di occupare permanentemente una porzione di terreno mediante una scala a servizio esclusivo dei locali di sua proprieta’, con conseguente definitiva esclusione di ogni possibilita’ di godimento di quel sedime da parte degli altri condomini. Una siffatta completa appropriazione di una sia pur ridotta parte di un bene comune non rientra tra le facolta’ consentite dall’art. 1102 c.c., il quale “vieta al singolo partecipante di attrarre la cosa comune nell’orbita della propria disponibilita’ esclusiva mediante un uso particolare e l’occupazione totale e stabile, e di sottrarlo in tal modo alle possibilita’ attuali e future di godimento degli altri contitolari” (Cass. 6 novembre 2008 n. 26737). Non sono dunque pertinenti i diffusi richiami del ricorrente ai principi enunciati dalla giurisprudenza di questa Corte in relazione alla disposizione citata, che si riferiscono a fattispecie diverse da quella qui in considerazione.

Con il sesto motivo di ricorso L.A. si’ duole del mancato accoglimento della sua domanda, intesa ad ottenere la condanna del condominio alla consegna delle chiavi del cancello apposto nella recinzione esterna dello spazio in contestazione:

domanda che a suo dire avrebbe dovuto essere accolta, non essendo vero che la consegna stessa fosse avvenuta o gli fosse stata offerta.

Neppure questa censura puo’ essere accolta, poiche’ si risolve nella negazione di quanto sul punto e’ stato motivatamente ritenuto in fatto con la sentenza impugnata.

Con il settimo motivo di ricorso L.A. deduce che la Corte d’appello lo ha condannato alle spese del primo grado di giudizio in misura tripla rispetto a quella in cui esse erano state liquidate in suo favore dal Tribunale, “senza nulla dire del grado di responsabilita’ del ricorrente” e “senza tenere in considerazione alcun criterio di contemperamento e valutazione della proposizione della domanda in relazione alla pronuncia”, nonche’ violando “il principio secondo il quale i diritti di procuratore devono essere considerati al momento in cui questi sono maturati”.

Anche questa censura va disattesa: la “responsabilita’” della parte rileva soltanto nell’ipotesi di condanna al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96 c.p.c.; un “contemperamento e valutazione”, come quelli di cui il ricorrente lamenta l’omissione, possono consentire una pronuncia di compensazione, nell’esercizio di un potere discrezionale la cui mancata utilizzazione non puo’ formare oggetto di sindacato in sede di legittimita’; la violazione della tariffa professionale, per consentire la cassazione sul punto della sentenza impugnata, avrebbe dovuto essere dedotta mediante la precisa e specifica indicazione e quantificazione delle singole voci da applicare.

Il ricorso viene pertanto rigettato, con conseguente condanna del ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, che si liquidano in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

P.Q.M.

LA CORTE Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al resistente le spese del giudizio di cassazione, liquidate in 200,00 Euro, oltre a 2.000,00 Euro per onorari, con gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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