Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11283 del 23/05/2011

Cassazione civile sez. I, 23/05/2011, (ud. 27/04/2011, dep. 23/05/2011), n.11283

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITRONE Ugo – rel. Presidente –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.D.L., quale erede di S.S.F.

e cessionaria dei diritti ereditari dei coeredi S.M.

V., S.I., S.B. e S.D.,

elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio, n. 20, presso

l’avv. TRALICCI Gina che la rappresenta e difende per procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro in carica,

elettivamente domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi, presso

l’Avvocatura Generale dello Stato che lo rappresenta e difende per

legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della Corte d’Appello di Perugia n. 10, pubblicato

il 14 gennaio 2008;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 27

aprile 2011 dal Relatore Pres. Dott. Ugo VITRONE;

udito l’avvocato dello Stato Francesco SCLAFANI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA Aurelio, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con decreto del 12 novembre 2007 – 14 gennaio 2008 la Corte d’Appello di Perugia rigettava il ricorso proposto da S.D.L. per il riconoscimento di un’equa riparazione per la non ragionevole durata del processo promosso dinanzi alla Pretura di Roma con ricorso del 24 giugno 1997 da S.S.F. – dante causa a titolo uni versale di S.D.L. a seguito di decesso nel corso del giudizio di appello – e definito con sentenza della Corte di Cassazione 22 giugno 2006. Osservava la Corte che i tre gradi di giudizio avevano avuto rispettivamente la durata di undici mesi in pretura, di quattro anni e otto mesi in tribunale e di un anno e sei mesi in cassazione e, detratti i rinvii ingiustificati richiesti dalle parti, per complessivi sei mesi, l’eccedenza rispetto alla durata ragionevole del processo nei tre gradi risultava di soli sei mesi sicchè, tenuto conto del fatto che per le impugnazioni erano sempre stati utilizzati i termini lunghi, doveva dedursene che non sussisteva nella specie una particolare ansia per il protrarsi della vicenda giudiziale che giustificasse il riconoscimento dell’equa riparazio ne richiesta dalla ricorrente.

Contro il decreto ricorre per cassazione S.D.L. con un unico motivo.

Resiste con controricorso il Ministero della Giustizia.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

La ricorrente si duole che il giudice del meri pur avendo riscontrato un’eccedenza di sei mesi rispetto alla ragionevole durata del processo presupposto abbia poi escluso il diritto all’equa riparazione addebitando alla ricorrente i rinvii ingiustificati richiesti dalla controparte ed il ricorso ai termini lunghi di impugnazione nel passaggio dall’una all’altra fase del processo.

La censura non può trovare accoglimento e il provvedimento impugnato va confermato previa correzione e integrazione della motivazione.

Va considerato, infatti, che la ricorrente è succeduta alla attrice originaria, deceduta nel corso del giudizio di appello, ma non ha fornito alcuna indicazione della data del decesso e, quindi, non è possibile accertare se in suo favore fosse maturato il diritto ad un’equa riparazione trasmissibile agli eredi.

Da ciò consegue che la durata del processo presupposto non consente di riscontrare alcuna violazione del temine di ragionevole durata che possa giustificare il riconoscimento della pretesa dedotta in giudizio da S.D.L. nella esclusiva qualità di erede di S.S.F. e cessionaria della quote ereditarie degli altri coeredi.

Le considerazioni che precedono assorbono l’esame delle censure ricolte contro il computo dei rinvii ingiustificati che la ricorrente assume non imputabili.

In conclusione il ricorso non può trovare accoglimento e deve essere respinto con la conferma del decreto impugnato previa doverosa correzione della motivazione nella parte in cui non rileva la assenza di ogni pregiudizio iure hereditario per mancanza di prova.

Le spese giudiziali seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrere al pagamento delle spese giudiziali che liquida in complessivi Euro 800,00 per onorari oltre al rimborso delle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 27 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 23 maggio 2011

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