Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11280 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. II, 09/05/2017, (ud. 10/01/2017, dep.09/05/2017),  n. 11280

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIGLIUCCI Emilio – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SABATO Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22486/2012 proposto da:

L.S.F., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIALE GERMANICO 184, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

LUIGI GROSSI, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

C.M., C.F. (OMISSIS), A.M.A. C.F.

(OMISSIS), D.M.L.M. C.F. (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 67, presso lo studio

dell’avvocato ALFREDO BARBIERI, che le rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RENZO TOSTI;

– controricorrenti –

nonchè da:

CONDOMINIO (OMISSIS) (OMISSIS), IN PERSONA DELL’AMM.RE P.T.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA LUCREZIO CARO 67, presso lo

studio dell’avvocato ALFREDO BARBIERI, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato RENZO TOSTI;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.A., T.A., LA.NA., E.S.,

M.R., FO.IS., AX.CH.PA. – QUALE

EREDE DI G.I.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3680/2011 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 14/09/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2017 dal Consigliere Dott. RAFFAELE SABATO;

udito l’Avvocato Indaco Gianluca con delega depositata in udienza

dell’Avv. Grossi Antonio Luigi difensore della ricorrente che si

riporta cagli atti depositati;

udito l’Avv. Rizzo Carla con delega orale che si riporta agli atti

depositati e deposita nota spese;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso

principale, e l’accoglimento del ricorso incidentale.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il tribunale di Roma, ordinata l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini, ha rigettato la domanda proposta da L.S.F. originariamente nei confronti del solo condominio del complesso in (OMISSIS) (nell’ambito del quale essa attrice è proprietaria dell’appartamento ai piani terreno e primo, int. (OMISSIS), tesa a far accertare la proprietà esclusiva del muro di cinta alto circa due metri che recinge il giardino annesso al proprio appartamento.

2. Pronunciando sull’appello proposto da L.S.F., la corte d’appello di Roma lo ha rigettato, ritenendo che il muro, in quanto delimitante l’area esterna circostante le due palazzine che compongono il complesso, rivendicato dalla condomina per il tratto delimitante il suo giardino, fosse assimilabile per l’altezza di circa due metri a un muro di cinta idoneo a tutelare la sicurezza collettiva e avesse connotazioni costruttive e di colore tali da concorrere a configurare le caratteristiche estetiche dell’insieme condominiale. La corte ha considerato che si applicasse dunque la presunzione dell’art. 1117 c.c., non sussistendo un titolo in contrario, non individuabile in base nè al regolamento condominiale, contenente una elencazione non tassativa di parti comuni, nè al contratto di assegnazione all’originaria proprietaria F.A., ove la menzione della recinzione (“giardino… delimitato con recizione”) indicherebbe meramente che essa funge da delimitazione.

3. Avverso tale decisione ricorre per cassazione L.S.F. proponendo due motivi illustrati da memoria, ai quali resistono i condomini A.M.A., D.M.L.M. e C.M. con controricorso, nonchè il condominio del complesso con altro controricorso contenente ricorso incidentale su un motivo, anch’esso illustrato da memoria; gli altri intimati non svolgono difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale L.S.F. denuncia “omesso esame su fatto decisivo, oggetto di discussione”, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deducendo che, a fronte dell’allegazione da essa formulata secondo la quale il muro in discussione recingerebbe esclusivamente il giardino della stessa ricorrente (p. 3 e 4 della comparsa conclusionale di primo grado e p. 4 dell’atto di appello, oltre conclusionale e replica in appello), mentre altro muro recingerebbe solo l’altro giardino, la sentenza impugnata avesse ignorato tale dato decisivo, ignorando parimenti la prova documentale costituita dalla planimetria allegata al regolamento di condominio, ove il tratteggio ciò evidenzierebbe; ugualmente sarebbero state ignorate le altre argomentazioni secondo cui, se era esclusivo l’ingresso secondario su (OMISSIS) – che quindi essa ricorrente avrebbe potuto tenere permanentemente aperto in contrasto con la ritenuta utilità comune, parimenti esclusiva avrebbe dovuto essere la proprietà del muro.

2. Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione di norme giuridiche sostanziali indicate nell’art. 1117 c.c. (in tema di parti comuni del condominio), artt. 1362, 1363 e 1365 c.c., nonchè dell’art. 12 preleggi (in tema di interpretazione del contratto e della legge). Privilegiando l’art. 1117 c.c., il titolo rispetto alla presunzione di condominialità, la corte d’appello avrebbe errato nel non considerare che l’atto di assegnazione all’originaria proprietaria F.A. precisava che l’appartamento comprendeva “oltre agli spazi in condominio come da relativo regolamento… giardino al piano terreno delimitato con recinzione e con ingresso sulla (OMISSIS)”; da ciò si desumerebbe che, a differenza dell’appartamento avente accessori “spazi in condominio”, il giardino non ne avrebbe (tanto che la recinzione non veniva definita “condominiale”). Rileverebbero inoltre a fini interpretativi l’art. 2, lett. e) del regolamento di condominio, che nell’indicare come comuni “le recinzioni di zone comuni”, escluderebbe dunque le recinzioni dei giardini esclusivi, nonchè la menzione sempre nell’art. 2 della planimetria allegato A come indicante, con tratteggio in rosa, “l’area su cui sorgono i due corpi di fabbrica ed i relativi accessi”, dichiarata comune, su cui non giace il muro in questione.

3. Con il motivo di ricorso incidentale, il condominio – costituito nel giudizio di appello benchè la sentenza lo indicasse originariamente come contumace, tanto che con ordinanza del 21/11/2011 veniva disposta correzione di errore materiale – lamentava l’assenza in dispositivo di un provvedimento sulle spese, pur dopo la correzione, essendo evidente che la condanna ivi contenuta fosse a favore dei condomini A. e altri, originariamente risultanti come unici costituiti, e quindi la violazione delle norme processuali degli artt. 91 e 112 c.p.c..

4. In ordine al primo motivo può notarsi preliminarmente come, a fronte di sentenza impugnata depositata il 14.9.2011, la parte ricorrente deduca la doglianza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, rifacendosi al testo di tale disposizione, prevedente la possibilità di censura per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, applicabile ratione temporis alle sentenze pubblicate dopo l’11.9.2012 (precedentemente essendo possibile il ricorso secondo il più ampio parametro della “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio”).

A prescindere da ciò, il motivo è inammissibile. Il motivo di ricorso ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non conferisce alla corte di cassazione il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo quello di controllare, sul piano della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito, al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e la concludenza nonchè scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti in discussione, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge.

Inoltre la riforma del giudizio di cassazione operata con la L. n. 40 del 2006, ha sostituito, all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il concetto di “punto decisivo della controversia” con quello di “fatto controverso e decisivo”, per cui il motivo di ricorso con il quale si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purchè controverso e decisivo.

Tale essendo il contesto, va notato che la parte ricorrente, lungi dal denunciare una totale obliterazione di fatti decisivi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero una manifesta illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune od ancora un difetto di coerenza tra le ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti e insanabile contrasto tra gli stessi, si limita a far valere che la corte territoriale non abbia valutato la deduzione secondo cui si sarebbe trattato di muri separati, delimitanti i due giardini accosti tra loro, anche in relazione a risultanze interpretative della documentazione. Avendo la corte d’appello, nella sentenza, espressamente statuito la propria diversa valutazione (trattarsi di un muro unitario per funzione e struttura, essendo esemplificativi di forzature interpretative gli argomenti giuridici fondati su regolamento e titolo di provenienza), il motivo si traduce in una deduzione di non rispondenza della valutazione in diritto, operata dal giudice di merito, al diverso convincimento soggettivo patrocinato dalla parte, proponendo questa un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti. Tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi dell’iter formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sicchè il motivo in esame si traduce nell’invocata revisione delle valutazioni e dei convincimenti espressi dal giudice di merito, tesa a conseguire una nuova pronuncia sul fatto, non concessa perchè estranea alla natura ed alla finalità del giudizio di legittimità.

Inoltre, trattandosi di elementi valutativi (essere il muro un manufatto unitario ovvero costituito da due recinzioni separate), non è oggetto della doglianza l’esame di un fatto principale o secondario, ma la ricostruzione delle conseguenze giuridiche su esso fondate, ciò che concorre nel senso dell’inammissibilità del motivo.

Quanto affermato consente di non esaminare la questione, sollevata dalle parti controricorrenti, relativa alla circostanza che, come la stessa ricorrente indica, l’allegazione da essa prospettata secondo la quale il muro in discussione recingerebbe esclusivamente il giardino della ricorrente fu formulata per la prima volta nella comparsa conclusionale di primo grado, seguita dall’atto di appello.

5. Il secondo motivo del ricorso principale è infondato. Dalla lettura della sentenza impugnata emerge che, facendo buon governo del disposto dell’art. 1117 c.c. e delle norme di ermeneutica, la corte d’appello – pur senza accertare con precisione quale sia stato il titolo costitutivo del condominio, tale non essendo di per sè il regolamento, ma solo il contratto di compravendita, in cui la delimitazione (anche eventualmente unilaterale e previa, con relatio a regolamento) dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti del primo atto di vendita posto in essere dall’originario unico proprietario: v. ad es. Cass. n. 11996 del 1998 e n. 11195 del 2010) – è stata in grado di stabilire che “degli articoli… del regolamento” condominiale L.S.F. “dà un’interpretazione forzata”, ben potendo sussistere parti comuni non ricomprese nelle aree attintate in rosa nella planimetria allegata, e che sia il contratto di assegnazione dalla cooperativa ad F.A. del 1963 sia il successivo rogito del 2002 non offrono elementi contrari alla presunzione ex art. 1117 c.c.. Invero, risultano contrari alla lettera e allo spirito dell’art. 1117 c.c. e alle norme di ermeneutica, semmai, gli argomenti addotti dalla ricorrente, tutti ispirati a un criterio di tassatività delle indicazioni delle parti comuni sia nel regolamento che nei contratti, da escludersi nell’attuale assetto ordinamentale (v. ad esempio le fallaci e non condivisibili deduzioni per cui, posto che l’atto di assegnazione all’originaria proprietaria F.A. precisa che l’appartamento comprende “oltre agli spazi in condominio come da relativo regolamento… giardino al piano terreno delimitato con recinzione e con ingresso sulla (OMISSIS)”, da ciò si desumerebbe che, a differenza dell’appartamento avente accessori “spazi in condominio”, il giardino non ne avrebbe, e si suggerisce – inaccettabilmente – che in tal caso la recinzione avrebbe dovuto necessariamente essere definita “condominiale”; o l’altro argomento, parimenti erroneo, secondo cui, posto che l’art. 2, lett. e) del regolamento indica come comuni “le recinzioni di zone comuni”, escluderebbe dunque le recinzioni dei giardini esclusivi).

6. E’ invece fondato il motivo di ricorso incidentale. Effettivamente la sentenza impugnata, stante anche la sua genesi redazionale, contiene una omissione di pronuncia circa la condanna alle spese a favore del condominio. Invero, a fronte della statuizione in motivazione secondo cui “le spese di lite seguono la soccombenza”, in dispositivo è stato dato seguito al dato motivazionale con un’unica pronuncia di condanna a carico dell’appellante; unica pronuncia che, poichè originariamente il condominio – costituito nel giudizio di appello – era indicato in sentenza come contumace, è ragionevolmente riferibile come a favore dei condomini A. e altri. A seguito, poi, dell’ordinanza del 21/11/2011 con cui veniva disposta correzione di errore materiale, relativo alla eliminazione della menzione della contumacia del condominio, restava immutato il predetto dispositivo anche perchè, secondo un orientamento giurisprudenziale (v. da ultimo Cass. n. 17221 del 2014, anche per richiami), l’omissione di pronuncia in tal senso non costituisce un errore emendabile con la correzione ex art. 287 c.p.c.. S’impone dunque la cassazione sul punto della sentenza impugnata; non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può peraltro essere decisa nel merito, senza rinvio, liquidando a favore del condominio le spese processuali del giudizio di appello. Tali spese andranno liquidate ai sensi delle tariffe di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, applicabile ratione temporis, in virtù del principio secondo cui in caso di successione nel tempo di discipline dei compensi forensi, la liquidazione va effettuata in base alla disciplina vigente al momento in cui le attività professionali sono state condotte a termine in ciascun grado (v. da ultimo Cass. Sez. U. n. 17405 del 2012, che ha escluso la segmentazione quando l’opera fosse ancora in corso al momento della successione di discipline, dato insussistente nel caso in esame). Alla luce di tale criterio le spese del grado di appello possono essere liquidate, come in dispositivo, tenuto conto della nota spese come trascritta dalla parte ricorrente incidentale.

7. – Il ricorso principale va conclusivamente rigettato, mentre va accolto il ricorso incidentale, con carico delle spese del giudizio di legittimità – liquidate come in dispositivo – alla ricorrente principale soccombente nei confronti delle controparti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il ricorso incidentale e, pronunciando nel merito, condanna S.F.L. alla rifusione a favore del condominio in (OMISSIS), delle spese del giudizio di appello, che liquida in Euro 85,66 per esborsi, Euro 1.105 per diritti e Euro 2.700 per onorari, oltre spese generali nella misura del 12,5% e accessori di legge; condanna la ricorrente S.F.L. alla rifusione a favore delle controparti delle spese del giudizio di legittimità, che liquida: – per A.M.A. e altri, in Euro 200 per esborsi e Euro 3000 per compensi; – per il condominio predetto, in Euro 200 per esborsi e Euro 3000 per compensi; per tutti, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 10 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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