Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11278 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. III, 12/06/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 12/06/2020), n.11278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21980-2017 proposto da:

E.S.M., B.S., in proprio e quali genitori legali

rappresentanti dei figli minori E.S.O. e E.S.F.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA ALESSANDRO MALLADRA 31,

presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI IARIA, rappresentati e

difesi dall’avvocato TIZIANA LIONELLO;

– ricorrenti –

contro

FONDIARIA SAI, in persona del legale rappresentante pro tempore,

COMUNE MIRA in persona del Sindaco, elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA OTRANTO 36, presso lo studio dell’avvocato MARIO MASSANO,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE SARTI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1256/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

28/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FRESA Mario, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato GIOVANNI IARIA per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. E.S.M. e B.S. (in proprio, oltre che nella qualità di genitori esercenti la potestà sui figli minori E.S.O. e F.) ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 1256/17, del 13 giugno 2017, della Corte di Appello di Venezia, che – accogliendo il gravame principale esperito avverso la sentenza n. 2186/13, del 25 ottobre 2013, del Tribunale di Venezia, sezione distaccata di Dolo, dalla società Unipolsai Assicurazioni S.p.a. (d’ora in poi, “Unipolsai”), nonchè quello incidentale adesivo del Comune di Mira e, parzialmente, quello incidentale proposto, invece, dagli odierni ricorrenti – così provvedeva.

Riconosceva, nella misura del 50%, il concorso di Es.Sh.Me., figlio e fratello degli odierni ricorrenti, nella causazione del sinistro in cui il medesimo aveva perso la vita, rideterminando, però, nella maggiore misura di Euro 644.140,88 la somma dovuta a costoro – a titolo di risarcimento del danno da perdita del rapporto parentale dal Comune di Mira e, per esso, da Unipolsai, somma, per altro verso, ridotta, nella già indicata misura del 50% (e, dunque, in Euro 322.078,44), ex art. 1227 c.c., comma 1, detraendo, infine, dalla stessa l’ulteriore importo di Euro 161.400,00, già percepito dagli odierni ricorrenti quale indennizzo assicurativo, fissando, così, in Euro 160.678,44 l’entità del credito risarcitorio ai medesimi spettante.

2. Riferiscono, in punto di fatto, gli odierni ricorrenti che il tredicenne Es.Sh.Me., in data (OMISSIS), verso le 7.30, nel recarsi a scuola in sella alla propria bicicletta, percorrendo la (OMISSIS) del Comune di (OMISSIS), perdeva il controllo del velocipede e precipitava lungo la scarpata esistente a margine della strada, non protetta da guard-rail o da barriera di alcun tipo, annegando nelle acque del canale (OMISSIS).

Deducono, pertanto, i ricorrenti di aver adito la sezione di Dolo del Tribunale di Venezia, convenendo in giudizio il Comune di Mira, ex art. 2051 c.c., per il risarcimento dei danni subiti a causa della morte del ragazzo. Costituitosi in giudizio il convenuto, lo stesso oltre a resistere alla domanda, sul presupposto della propria assenza di responsabilità nella causazione dell’evento, nonchè deducendo la responsabilità esclusiva o concorrente del minore – chiedeva ed otteneva di essere autorizzata a chiamare in causa, in manleva, la propria assicuratrice, società Fondiaria SAI (divenuta nelle more del giudizio Unipolsai). Istruita la causa in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni, la società terza chiamata produceva documento attestante che la società Interpartners Sa le chiedeva – a titolo di surroga – la restituzione di Euro 161.400,00, corrisposta agli odierni ricorrenti in virtù di polizza infortuni stipulata dall’Istituto scolastico frequentato dal piccolo Me..

Il giudice di prime cure, in accoglimento della domanda, condannava il Comune di Mira e la società assicuratrice al risarcimento del danno, che liquidava in Euro 174.140,88 in favore di E.S.M., in Euro 170.000,00 in favore di B.S., nonchè in Euro 36.000,00 per ciascuno dei due fratelli della vittima del sinistro, ovvero E.S.O. e F., ritenendo, invece, tardiva la domanda proposta dalla società assicuratrice in relazione alla decurtazione, dall’importo dovuto a titolo di risarcimento, della somma pari all’indennizzo assicurativo già erogato agli eredi del ragazzo dalla società Interpartners.

La decisione del Tribunale veniva appellata in via di principalità proprio su tale questione – da Unipolsai, mentre gravame incidentale veniva esperito sia dal Comune di Mira che dagli odierni ricorrenti, censurando, l’uno, il mancato riconoscimento della responsabilità esclusiva o concorrente di Es.Sa.Me., relativamente al sinistro in cui il medesimo perse la vita, nonchè, gli altri, l’insufficiente quantificazione del risarcimento ad essi dovuto.

Il giudice di appello provvedeva sui gravami nei termini sopra meglio indicati.

3. Avverso la sentenza della Corte lagunare hanno proposto ricorso per cassazione E.S.M. e B.S., sulla base – come detto – di sette motivi.

3.1. In particolare, il primo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 183 e 189 c.p.c..

Si censura la sentenza impugnata laddove, con riferimento alla richiesta di Unipolsai di decurtazione – dall’importo riconosciuto agli odierni ricorrenti a titolo di risarcimento del danno – dell’indennizzo assicurativo dagli stessi già percepito, ne ha escluso la natura di domanda nuova, avendo la Corte territoriale ritenuto che detta somma fosse da intendere come “aliunde perceptum” e, quindi, come “contestazione dell’entità del danno preteso dai danneggiati”.

Per contro, secondo i ricorrenti, non potrebbe dubitarsi della novità di tale domanda, come tale non proponibile in sede di precisazione delle conclusioni, nè reiterabile in appello, giacchè con essa si sarebbe investito il giudice del compito “di accertare un fatto nuovo”, formulando, inoltre, una “richiesta nuova”, in ordine alla quale essi non sarebbero stati posti in condizioni di interloquire.

L’erroneità della decisione, che ha ammesso la proposizione di tale domanda senza che la terza chiamata avesse richiesto di essere rimessa in termini, risulterebbe – secondo i ricorrenti – ancora più grave, avendo il giudice di appello omesso di considerare la non rispondenza al vero della circostanza che la società Fondiaria apprese della liquidazione dell’indennizzo solo nel luglio 2012, esistendo prova documentale della sua conoscenza, invece, già nel settembre 2010 e, dunque, ben prima dell’udienza di precisazione delle conclusioni in primo grado.

3.2. Con il secondo motivo si deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 345 c.p.c..

La stessa questione di cui sopra è proposta, in questo caso, “sub specie” di violazione del divieto di “nova” in appello.

3.3. Il terzo motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) e “in relazione agli artt. 1226 e 2059 c.c.” -“erronea/contraddittoria applicazione dei criteri di liquidazione delle Tabelle di Milano”.

Si censura la sentenza impugnata, in questo caso, perchè essa dopo aver riconosciuto che, nella specie, la sofferenza patita dai congiunti del piccolo Me. era stata “massima” – avrebbe applicato, contraddittoriamente, parametri di liquidazione che non corrispondono ai massimi delle cd. “tabelle milanesi”, pure ritenute operanti nel caso di specie, in accoglimento dell’appello incidentale allora esperito dagli odierni ricorrenti.

3.4. Il quarto motivo ipotizza – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 1226, 2056 e 2059 c.c..

La censura investe la sentenza impugnata per aver liquidato nella (maggiore) misura di Euro 250.000,00, per ciascun genitore, e di Euro 70.000,00, per ognuno dei due fratelli del minore deceduto, il danno da risarcire, laddove le tabelle milanesi vigenti al momento della pronuncia della sentenza stabilivano importi massimi, per i primi, di Euro 327.990,00, nonchè di Euro 142.420,00, per i secondi.

Dalla motivazione della sentenza non sarebbe dato comprendere nè quale sia stato il massimo tabellare assunto a parametro, nè per quali ragioni siano stati stabiliti quegli importi, essendo solo certo che non è stato liquidato il massimo tabellare, sebbene “massima” fosse stata, però, qualificata la sofferenza patita dai congiunti del ragazzo deceduto.

3.5. Il quinto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – “omesso esame del fatto” e “mancata decisione su un punto decisivo della controversia” costituito dal “concorso di colpa della vittima”.

Si contesta la decisione della Corte territoriale di ascrivere al piccolo Me., nella misura del 50%, la responsabilità della causazione del sinistro, sottolineando il carattere apodittico, irragionevole e contraddittorio delle affermazioni contenute nella sentenza impugnata. Difatti, per un verso, si è affermato che “il ciclista non aveva tenuto un comportamento prudente o non aveva prestato la dovuta attenzione”, ma, per altro verso, si è evidenziato come siano “rimaste effettivamente ignote” le “ragioni per le quali il ragazzo non abbia tenuto la giusta traiettoria”.

Inoltre, la Corte lagunare avrebbe “totalmente disatteso la portata dell’art. 2051 c.c.”, norma che attribuisce la responsabilità al custode a titolo oggettivo, “salva la dimostrazione del caso fortuito”, che può consistere anche nel comportamento della vittima dell’illecito. Dello stesso, però, mancherebbe prova nel caso di specie, proprio per l’impossibilità di ricostruire con certezza la dinamica del sinistro (al netto dell’affermazione secondo cui, “se vi fosse stata una protezione, con molta probabilità il ragazzo non sarebbe finito nel canale”). Pertanto, la sentenza impugnata, in difetto di prova circa l’efficienza causale della condotta della vittima, avrebbe degradato “la cosa che cagiona il danno (la strada senza guard-rail) da causa dell’evento a mera occasione dello stesso”, disattendendo anche il principio secondo cui il comportamento del danneggiato può integrare il caso fortuito – ai sensi dell’art. 2051 c.c. – solo ove “presenti i caratteri dell’imprevedibilità e dell’eccezionalità”.

3.6. Il sesto motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione degli artt. 2051, 1910 e 1916 c.c., in relazione al cd. “principio indennitario”.

Si censura, nuovamente, la sentenza impugnata per aver decurtato dalla somma liquidata, agli odierni ricorrenti, l’importo dagli stessi percepito a titolo di indennizzo assicurativo, richiamandosi essa – senza, peraltro, alcun specifico riferimento normativo – al principio indennitario.

In particolare, non sarebbe dato comprendere se il richiamo debba intendersi riferito ad una polizza infortuni o sulla vita, ciò da cui derivano conseguenze giuridiche diverse. Difatti, mentre la polizza contro gli infortuni invalidanti rientra nell’assicurazione danni, quella contro gli infortuni mortali rientra nell’assicurazione sulla vita, che è sottratta al principio indennitario, costituendo una vera e propria misura di previdenza, e ciò in forza del rilievo che la persona umana non è una “res”, suscettibile di valutazione economica.

3.7. Infine, il settimo motivo deduce – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione dell’art. 345 c.p.c., per “omessa pronuncia” su altre voci di danno allegate dagli odierni ricorrenti, e ciò in ragione della asserita “tardività della richiesta”.

Si impugna la decisione della Corte territoriale laddove ha ritenuto tardivamente proposti profili di danno diversi da quello conseguente alla perdita del rapporto parentale, censura formulata sul rilievo che, nell’atto di citazione in primo grado, e nella comparsa di costituzione in appello recante il gravame incidentale, gli odierni ricorrenti avessero, invece, richiesto il risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e non, conseguenti al decesso del loro congiunto. Essi, inoltre, assumono di aver operato, nella comparsa conclusionale di appello, un’elencazione del danno non patrimoniale, come comprendente “le voci di danno biologico psichico, danno non patrimoniale come perdita del bene vita, danno non patrimoniale “iure hereditario” per morte del figlio”.

4. Il Comune di Mira ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità o, comunque, il rigetto.

In relazione al supposto difetto di motivazione, soprattutto in ordine alla quantificazione del danno, la controricorrente – non senza previamente rammentare come lo stesso risulti, ormai, prospettabile solo in presenza di un’irriducibile contraddittorietà delle affermazioni contenute in sentenza – sottolinea che la Corte lagunare ha qualificato come “particolarmente grave”, e non “massima”, la sofferenza patita dai congiunti dell’ucciso.

Congruamente motivata sarebbe, inoltre, la sentenza quanto alla ritenuta corresponsabilità del ragazzo nella causazione del sinistro di cui rimase vittima, mentre nessuna omessa pronuncia e/o violazione dell’art. 345 c.p.c., vi sarebbe in relazione alle altre voci di danno richieste dagli odierni ricorrenti, dei quali è stato negato il risarcimento, anche richiamando l’arresto delle Sezioni Unite di questa Corte in tema di danno tanatologico (Cass. Sez. Un., sent. 22 luglio 2015, n. 15350).

5. La società Unipolsai è rimasta solo intimata.

6. Il presente ricorso, già discusso nell’udienza pubblica del 21 marzo 2019, è stato rinviato a nuovo ruolo, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulle questioni oggetto dell’ordinanza interlocutoria di questa Sezione del 9 novembre 2018, n. 28844.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

6. Il ricorso è improcedibile.

6.1. Deve, infatti, rilevarsi che la notifica, agli odierni, ricorrenti, della sentenza della Corte di Appello di Venezia dagli stessi poi impugnata, è avvenuta telematicamente.

Agli atti vi è, per vero, l’attestazione – compiuta dal difensore della notificante Unipolsai – di conformità, all’originale digitale, della copia analogica (“id est”, cartacea) del provvedimento impugnato, ma non pure della relata di notificazione e del messaggio “PEC”, duplice attestazione, anche questa, richiesta a pena di improcedibilità, essendo “necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la cd. “prova di resistenza” – ovvero, l’accertamento che la notifica del ricorso sia avvenuta almeno sessanta giorni prima della pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) – è negativa, dal momento che la sentenza risulta pubblicata il 13 giugno 2017, mentre la notifica del ricorso risale al 18 settembre 2017.

6.2. Il principio testè indicato, che postula l’improcedibilità del ricorso in difetto della descritta attestazione, sebbene progressivamente consolidatosi nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le altre, Cass. Sez. 6-2, ord. 15 marzo 2017, n. 6657, non massimata; Cass. Sez. 3, sent. 14 luglio 2017, n. 17450, Rv. 64496801; Cass. Sez. 2, ord. 16 ottobre 2017, n. 24347, non massimata; Cass. Sez. 3, ord. 26 ottobre 2017, n. 25429, non massimata), ha formato oggetto di ulteriori precisazioni (e parziali temperamenti), anche a fini nomofilattici.

Difatti, il Presidente della Sesta Sezione di questa Corte, innanzi alla quale la questione “de qua” si è ripetutamente riproposta nell’ambito di procedimenti fissati ex art. 380-bis c.p.c., ha ritenuto di rimettere un approfondimento della stessa al particolare collegio previsto dal punto 41.2. delle tabelle di organizzazione di questo Ufficio.

Si è, infatti, ritenuta opportuna – data la natura processuale della questione, nonchè il suo rilievo – una composizione del collegio giudicante attraverso “consiglieri delle diverse sottosezioni”.

L’esito di tale iniziativa è stato, come detto, un’ulteriore conferma del principio (la già citata Cass. Sez. 6, ord. n. 30765 del 2017), al quale, peraltro, un indiretto avallo è stato fornito dalle Sezioni Unite di questa Corte, avendo esse affermato che “nel giudizio di cassazione, cui – ad eccezione delle comunicazioni e notificazioni a cura della cancelleria del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, ex art. 16, convertito con modificazioni in L. 17 dicembre 2012, n. 221 non è stato ancora esteso il processo telematico, è necessario estrarre copie analogiche degli atti digitali ed attestarne la conformità, in virtù del potere appositamente conferito al difensore della L. n. 53 del 1994, art. 6 e art. 9, commi 1-bis e 1-ter” (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 27 aprile 2018, n. 10266, Rv. 648132-01; in senso conforme anche Cass. Sez. 3, ord. 15 maggio 2018, n. 11739, Rv. 648609-01).

6.3. Nondimeno, un parziale ripensamento dell’intera tematica – o meglio, come si diceva un “temperamento” del principio dell’improcedibilità del ricorso – è stato compiuto dalle Sezioni Unite di questa Corte (investite specificamente della questione, in base ad ordinanza interlocutoria di questa Terza Sezione, la n. 28844 del 25 ottobre 2018), senza, però, che le precisazioni da esse operata escludano, nel presente caso, il descritto esito dell’improcedibilità.

Esse, infatti, hanno affermato che il “deposito in cancelleria, nel termine di venti giorni dall’ultima notificazione, di copia analogica della decisione impugnata, sottoscritta con firma autografa e inserita nel fascicolo informatico, priva di attestazione di conformità del difensore, oppure con attestazione priva di sottoscrizione autografa, non determina l’improcedibilità del ricorso per cassazione laddove il controricorrente (o uno dei controricorrenti), nel costituirsi (anche tardivamente), depositi a sua volta copia analogica della decisione ritualmente autenticata, ovvero non disconosca la conformità della copia informale all’originale; nell’ipotesi in cui, invece, la controparte (o una delle controparti) sia rimasta soltanto intimata” (che è il caso che qui rileva), “ovvero abbia effettuato il suddetto disconoscimento, per evitare di incorrere nella dichiarazione di improcedibilità il ricorrente ha l’onere di depositare l’asseverazione di conformità all’originale della copia analogica, entro l’udienza di discussione o l’adunanza in Camera di consiglio” (così, Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, Rv. 653597-03).

Tali principi, inoltre, si è precisato applicarsi “con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica della decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2 della citata sentenza delle Sezioni Unite), ovvero proprio con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

6.4. Orbene, la circostanza – come sopra rilevato – che la società Unipolsai, nei cui confronti la notificazione del ricorso pure è stata compiuta, sia rimasta (solo) intimata, comporta, dunque, l’improcedibilità del ricorso.

E ciò perchè, nè il controricorrente Comune, nel costituirsi, risulta aver depositato tale asseverazione riguardante la relata, nè il legale dei ricorrenti ha provveduto a depositarla entro l’udienza di discussione; evenienze, entrambe, che sarebbero valse a determinare il superamento dell’improcedibilità (cfr. Cass. Sez. Un., sent. n. 8312 del 2019, cit.).

6.5. Il ricorso, in conclusione, è improcedibile.

7. L’alterno esito delle fasi di merito, nonchè la peculiarità della presente vicenda, connotata dalla tragica morte di un ragazzo di appena tredici anni, vittima di un sinistro stradale verificatosi mentre si recava presso la scuola frequentata, costituisce taluna di quelle “gravi ed eccezionali ragioni” per la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Trova, infatti, qui applicazione, “ratione temporis”, il testo dell’art. 92 c.p.c., comma 2, come modificato, in particolare, dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 45, comma 11, essendo stato il primo grado del presente giudizio instaurato con citazione del 14 marzo 2011.

8. A carico dei ricorrenti sussiste l’obbligo di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara improcedibile il ricorso, compensando integralmente tra le parti le spese del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, all’esito di pubblica udienza della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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