Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11278 del 09/05/2017


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Cassazione civile, sez. II, 09/05/2017, (ud. 25/10/2016, dep.09/05/2017),  n. 11278

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente –

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso (iscritto al N.R.G. 534/12) proposto da:

G.T. (nata a (OMISSIS)), rappresentata e difesa, in forza di

procura speciale per atto del notaio N.P. del 21.10.2016

rep. N. 436, dall’Avv.to Nicola Lucarelli del foro di Campobasso ed

elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. Decio Nicola

Mattei in Roma, via Castiglione del Lago n. 3;

– ricorrente –

contro

C.M., in nome proprio e quale procuratore speciale di

T.C. (nata a (OMISSIS)), C.E., B.A.C.,

L.L., C.U., C.C. e C.M.,

rappresentato e difeso dall’Avv.to Arturo Messere del foro di

Campobasso, in virtù di procura speciale apposta a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliato presso lo studio

dell’Avv.to Muricchio Nicola in Roma, Corso Trieste n. 82;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Campobasso n. 171

depositata il 5 settembre 2011 e notificata il 18 ottobre 2011.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 25

ottobre 2016 dal Consigliere relatore Dott.ssa Falaschi Milena;

uditi gli Avv.ti Decio Nicola Mattei (con delega dell’Avv. Nicola

Lucarelli), per parte ricorrente, e M.F. (con

delega dell’Avv. Arturo Messere), per parte resistente;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Pepe Alessandro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4 dicembre 1992 Michele CIRINO, in proprio e quale procuratore speciale di T.C. (nata a (OMISSIS)), G.E., B.A.C., L.L., C.U., C.C. e C.M., evocava, dinanzi al Tribunale di Campobasso, G.T. in Mi. (nata a (OMISSIS)) e premesso di essere proprietario, unitamente ai soggetti da lui rappresentanti, del fondo rustico sito in (OMISSIS), sul quale insisteva un fabbricato di proprietà della convenuta, che confinava con terreno di proprietà della medesima, esponeva che in attuazione della sentenza del Tribunale di Campobasso n. 196 del 1981, egli, in proprio e nella qualità di cui sopra, aveva immesso la C. nel possesso del fabbricato, con l’intesa di rilasciarle successivamente l’area attigua; che la convenuta nell’immettersi nel possesso di tale area, aveva occupato una striscia di terreno, estesa circa mq. 200, di proprietà degli attori, alterando la linea di confine e rifiutando l’apposizione di termini e la sua restituzione, per cui chiedeva che venisse regolato il confine, con l’apposizione di termini lapidei tra i terreni di proprietà degli attori e quelli contigui della convenuta, ordinando alla predetta di restituire la striscia di terreno abusivamente occupata, unitamente ai frutti percepiti e percipiendi, oltre al risarcimento dei danni.

Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, la quale eccepiva che l’area dalla stessa occupata era stata individuata all’esito di precedenti giudizi intercorsi fra le parti, in particolare, la sentenza n. 87 del 1982 della Corte di appello di Napoli – Sezione di Campobasso, pronunciata a seguito di impugnazione della sentenza del Tribunale di Campobasso n. 196 del 1981, e la sentenza n. 234 del 1989 del Tribunale di Campobasso resa in giudizio di opposizione all’esecuzione promosso dallo stesso attore, oltre a chiedere in riconvenzionale anche ella l’apposizione dei termini, il giudice adito accertava e dichiarava che il confine tra i due fondi ricadeva lungo il limite estremo della pavimentata o cortile del fabbricato di proprietà della convenuta verso il contiguo fondo rustico dell’attore e disponeva l’apposizione di termini lapidei lungo la predetta linea di confine, con compensazione delle spese di lite.

In virtù di rituale appello interposto dal C., la Corte di appello di Campobasso, nella resistenza della appellata, accoglieva l’appello e condividendo la relazione del geom. B.A. del 15.05.1997, dichiarava che il confine fra i rispettivi fondi corrispondeva al confine individuato dal predetto c.t.u., disponendo l’apposizione di termini lapidei e la compensazione integrale delle spese di lite.

A sostegno della decisione adottata la corte distrettuale evidenziava che nessuna delle pronunce poste a base delle richieste e delle corrispondenti eccezioni delle parti individuava l’esatta linea di confine fra i fondi limitrofi, ragione per cui necessariamente il giudice di prime cure aveva disposto consulenza tecnica di ufficio, affidata al geom. B.A., che si era basato sui dati catastali, in quanto non probanti le risultanze del verbale di rilascio del 15.03.1985, che erano state superate dalla sentenza del Tribunale di Campobasso n. 234 del 1989, oltre ad essere stato il tutto posseduto senza alcun preciso riferimento alle reali linee di confine, nè nel rispetto di punti prestabiliti e costantemente rispettati e incontestati.

Avverso la indicata sentenza della Corte di appello di Campobasso ha proposto ricorso per cassazione T.C., sulla base di cinque motivi, cui ha replicato C.M., in proprio e nella qualità di procuratore speciale, con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo ed il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, per non avere la corte territoriale tenuto in alcun conto la sentenza della Corte di appello di Napoli del 7.12.1956 resa tra C.A.S., dante causa di C.T., e C.U., dante causa di C.M. ed altri, da cui risulterebbe che il dante causa della stessa A.S. aveva posseduto e goduto ininterrottamente dal 1904 della piccola zonetta incolta ed attigua ai fabbricati, oltre al pacifico attraversamento di un cunicolo di presa d’acqua, nonchè gli estratti di mappa depositati all’udienza del 19.12.2006, raffiguranti la situazione dei luoghi e le opere da realizzare, elementi che avrebbero dovuto condurre ad una diversa decisione.

I due motivi sono evidentemente connessi, il che ne suggerisce l’esame contestuale.

Essi non possono essere condivisi.

Occorre tener conto, da un lato, che più propriamente i motivi di ricorso appaiono formulati ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), che concerne l’accertamento e la valutazione dei fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (cfr. Cass. SSUU 25 novembre 2008 n. 28054; Cass. 11 agosto 2004 n. 15499); dall’altro, che con gli addotti motivi la G. censura sostanzialmente il giudizio “di fatto” cui la corte territoriale ha atteso.

Più esattamente, con precipuo riferimento alla sentenza della Corte di appello di Napoli del 7 dicembre 1956 e all’estratto di mappa depositato da controparte, la Corte di Appello ha replicato desumendo gli elementi utili ai fini dell’individuazione del confine tra gli immobili delle parti sulla base degli accertamenti peritali disposti, compatibili con le precedenti sentenze richiamate dall’appellata, attuale ricorrente, in considerazione dei frazionamenti delle originarie particelle intervenuti successivamente ai giudizi invocati, come emergeva dalla ricostruzione dello stesso consulente tecnico di parte, S.F., esposta nella relazione del 27.03.2006.

A tali conclusioni la sentenza impugnata è pervenuta sulla base di una motivazione immune da vizi logici, che muove dal rilievo secondo cui la C. non aveva formulato in detto giudizio alcuna questione di usucapione, neppure in via di eccezione, come evidente dal tenore della medesima comparsa di costituzione e risposta depositata il 18.01.1993 (v. pag. 7 della sentenza impugnata).

Del resto il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nè in quello del precedente n. 4), disposizione che – per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4), – dà rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante (cfr. Cass. 10.6.2016, n. 11892).

Con il terzo mezzo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c., oltre a vizio di motivazione, per non avere chiarito il giudice di merito le ragioni del ricorso alle mappe catastali, pur prevedendo la norma il carattere del tutto residuale di detto elemento. Anche il terzo motivo non ha pregio perchè la Corte d’appello ha ritenuto sufficiente l’indagine svolta dal c.t.u. che ha individuato esattamente il confine in base alle mappe catastali, dato che le attuali particelle, in particolare la n. (OMISSIS), foglio (OMISSIS), degli attori, e le nn. (OMISSIS), dello stesso foglio, della convenuta, sono quelle provenienti dagli originari frazionamenti, fatta eccezione della (OMISSIS) (che provengono da frazionamenti delle originarie particelle (OMISSIS)), e in nessuno degli atti di acquisto si fa riferimento all’andamento originario delle linee di confine.

Ciò comporta l’infondatezza della censura relativa alla presunta violazione e falsa applicazione dell’art. 950 c.c., atteso che in tema di regolamento di confini il ricorso al sistema di accertamento sussidiario costituito dalle mappe catastali (art. 950 c.c.) è consentito al giudice non soltanto in caso di mancanza assoluta ed obbiettiva di altri elementi, ma anche nell’ipotesi in cui questi (per la loro consistenza, o per ragioni attinenti alla loro attendibilità) risultino, secondo l’incensurabile apprezzamento svolto in sede di merito, comunque inidonei alla determinazione certa del confine, con la conseguenza che la parte che eventualmente si dolga del ricorso, da parte del giudicante, a tale mezzo sussidiario di prova ha l’onere di indicare gli specifici elementi alla cui stregua andrebbe, invece, difformemente accertata la linea di confine controversa.

Nel caso specifico la ricorrente non è riuscita a provare, come da lei sostenuto, che la linea di confine del suo fondo comprendeva anche la “piccola zonetta incolta ed attigua ai fabbricati”, essendo stato tale assunto smentito dalle risultanze processuali.

Con il quarto motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione del principio del giudicato alla luce della sentenza della Corte di appello di Napoli del 1956, la quale conteneva l’indicazione del confine fra i fondi in questione, individuato dal canale di scolo delle acqua esistente in loco, a sua volta posto al limite della zona di suolo pavimentata adiacente il fabbricato della C., non coincidente con quello stabilito dal c.t.u..

Del tutto destituito di fondamento è il quarto motivo alla luce delle considerazioni svolte con riferimento ai primi due motivi di ricorso quanto all’asserito giudicato.

Con il quinto ed ultimo mezzo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c., oltre a vizio di motivazione, per avere la corte di merito nel recepire pedissequamente la c.t.u., stabilito il confine catastale anche relativamente alla zona di terreno, lontane dal fabbricato, non indicata dall’attore nella domanda e ciò senza motivare assolutamente sul punto.

E’, infine, priva di fondamento l’ultima censura, atteso che la Corte d’appello ha ritenuto gli accertamenti effettuati dal c.t.u. esaurienti, chiari e completi, in particolare ha contestato il rilievo della G. quanto alla efficacia di giudicato dei precedenti procedimenti instaurati fra le parti ed ha ravvisato compatibilità delle conclusioni del c.t.u. con le sentenze invocate e con la relazione del CTP.

Per il resto è sufficiente osservare che rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, senza che possa essere censurato in sede di legittimità, individuare gli elementi del proprio convincimento, disattendendo le tesi della parte, purchè tratti dalle risultanze probatorie già acquisite e ritenute esaurienti dal giudice, con valutazione immune da vizi logici e giuridici, come nella specie (cfr Cass. 30 dicembre 2009 n. 28103).

Il ricorso va, dunque, rigettato e la ricorrente condannata al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso del 15% delle spese forfettarie e degli accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della 2 Sezione Civile, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA