Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11275 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. III, 12/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 12/06/2020), n.11275

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 17765/2017 proposto da:

D.A.A., G.P., C.P., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA G.B. MORGAGNI 2/A, presso lo studio

dell’avvocato UMBERTO SEGARELLI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA;

– intimata –

e contro

COMUNE STRONCONE, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DELLA FARNESINA 5, presso lo studio

dell’avvocato FABIO D’AMATO, rappresentato e difeso dall’avvocato

EMANUELA ROSATI;

– resistente con procura speciale –

nonchè da:

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del Dott. CO.FA.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA EMANUELE GIANTURCO 6, presso

lo studio dell’avvocato FILIPPO SCIUTO, rappresentata e difesa dagli

avvocati PATRIZIA DIOGUARDI, LAURA GOLINI;

– ricorrente incidentale –

contro

COMUNE STRONCONE, D.A.A., C.P.,

G.P.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 713/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 24/03/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO GIAIME GUIZZI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. G.P., C.P. ed D.A.A. ricorrono, sulla base di sette motivi, per la cassazione della sentenza n. 713/17, del 24 marzo 2017, della Corte di Appello di Firenze che respingendo, per quanto qui ancora di interesse, il gravame da essi esperito contro la sentenza n. 3236/11, del 29 settembre 2011, del Tribunale di Firenze – ha rigettato l’opposizione proposta dagli odierni ricorrenti, ex art. 645 c.p.c., avverso il provvedimento monitorio, emesso dal medesimo Tribunale fiorentino, che ingiungeva loro il pagamento della somma di Euro 321.527,00, alla società Fondiaria Sai S.p.a. (oggi Unipolsai S.p.a.), surrogatasi nel diritto del Comune di Stroncone a pretendere il pagamento di spese per opere di urbanizzazione primaria.

2. Riferiscono, in punto di fatto, i ricorrenti di avere, ciascuno di essi, acquistato – da tale D.T. – un lotto di terreno, compreso in un’area oggetto di un piano di lottizzazione, in relazione alla quale, tra la loro dante causa ed il Comune di Stroncone, interveniva in data 24 marzo 2003 una convenzione. Essa prevedeva, tra l’altro, all’art. 3, nell’individuare gli oneri e le spese di urbanizzazione primaria a carico della parte lottizzante, un impegno della stessa ad eseguire, nel termine massimo di dieci anni dalla data di autorizzazione comunale, una serie di interventi specificamente individuati. A garanzia dell’adempimento degli obblighi assunti, l’art. 13 della stessa convenzione prevedeva che al Comune di Stroncone fosse rilasciata una fideiussione dalla società Fondiaria Sai, poi stipulata il 25 febbraio 2003 per l’importo suddetto di Euro 321.527,00.

Riferiscono, altresì, i ricorrenti che ciascuno degli atti di compravendita, in forza dei quali essi acquistarono il lotto di rispettiva proprietà, prevedeva un trasferimento, a carico dei singoli acquirenti, degli oneri nascenti dalla convenzione, seppure limitatamente a quanto da essi compravenduto.

Ciò premesso, alla data dell’11 marzo 2008, sebbene gran parte delle opere di urbanizzazione fossero state eseguite, il Comune di Stroncone, ben prima della scadenza del termine decennale fissato per il loro completamento, richiedeva alla Fondiaria Sai il pagamento dell’intero importo garantito con la polizza fideiussoria. Surrogatasi, pertanto, la predetta società, al Comune, nel diritto ad ottenere il pagamento delle spese relative alle opere di urbanizzazione primaria, la stessa conseguiva, nei confronti degli odierni ricorrenti, il già citato provvedimento monitorio.

Costoro proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo, deducendo, in primo luogo, l’insussistenza del vincolo solidale per gli oneri di urbanizzazione, essendo stati, a loro dire, violati l’art. 1 dei singoli contratti di compravendita e l’art. 11 della convenzione di lottizzazione. Assumevano, inoltre, la violazione dell’art. 1375 c.c., per mancata opposizione al Comune, da parte della Fondiaria Sai, della “exceptio doli”, nonchè per essere stata ritenuta, erroneamente, legittima l’avvenuta escussione della polizza. Essa, infatti, sarebbe stata effettuata in violazione del termine decennale di cui all’art. 3 della convenzione e nonostante il Comune avesse riconosciuto l’avvenuta esecuzione di gran parte delle opere di urbanizzazione. Per quanto specificamente riguardava, poi, la posizione della C., veniva eccepita la carenza di legittimazione passiva, per avere la stessa trasferito a terzi la proprietà del lotto precedentemente acquistato dall’originario lottizzante.

Rigettata l’opposizione dal Tribunale fiorentino, proposto gravame dagli odierni ricorrenti, anch’esso veniva respinto dalla Corte toscana.

3. Avverso tale ultima decisione hanno proposto ricorso per cassazione la G., la C. e il D.A., sulla base di sette motivi.

3.1. Il primo motivo – proposto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c., in relazione al combinato disposto dell’art. 11 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 dei contratti di compravendita, per avere la sentenza impugnata ritenuto i ricorrenti obbligati, in solido con la lottizzante, nei confronti del Comune di Stroncone, per gli oneri di urbanizzazione a loro non trasferiti.

La sentenza è censurata laddove afferma che gli aventi causa da D.T. “sono obbligati in solido nei confronti del Comune di Stroncone, in quanto hanno accettato con gli atti notarili la convenzione e le sue clausole”. In questo modo, tuttavia, sarebbe stato disatteso il primo e principale canone ermeneutico, ovvero quello dell’interpretazione letterale, visto che l’art. 11 della convenzione stabiliva che, qualora il lottizzante “proceda alla alienazione delle aree lottizzate potrà trasmettere agli acquirenti dei singoli lotti gli oneri di cui alla presente convenzione”, soggiungendo, altresì, che in “caso diverso e nel caso di trasferimento parziale la lottizzante, i suoi successori e aventi causa, restano solidalmente responsabili verso il Comune di tutti gli obblighi non trasferiti agli acquirenti dei lotti”. Nel caso di specie, l’art. 1 di ciascun contratto di acquisto concluso dagli odierni ricorrenti stabiliva che la “parte acquirente subentra, il luogo della parte venditrice, limitatamente a quanto compravenduto in tutti i diritti, obblighi ed oneri derivanti dalla detta Convenzione che dichiara di conoscere ed accettare”. Essi, pertanto, sarebbero rimasti obbligati nei confronti del Comune solo per gli oneri di urbanizzazione trasferiti, vale a dire quelli proporzionali allo “ius edificandi” del lotto acquistato.

3.2. Il secondo motivo – proposto anch’esso ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c., in relazione al combinato disposto dell’art. 11 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 dei contratti di compravendita, e l’art. 1 della polizza fideiussoria.

Si censura la sentenza impugnata per avere interpretato l’art. 11 della convenzione alla stregua di quanto previsto nell’art. 1 della polizza fideiussoria (menzionata dall’art. 13 della convenzione), essendo il primo, e non certo il secondo, ad individuare i soggetti obbligati in solido verso il Comune per gli oneri di urbanizzazione. Invero, suddetta polizza non è stata accettata dai ricorrenti, nè direttamente nè indirettamente, non solo perchè essa non reca la loro sottoscrizione, ma anche perchè neppure integra il contenuto della convenzione, visto che il citato art. 13 si limita a dare atto che la parte lottizzante, a garanzia delle obbligazioni assunte con la convenzione, consegna al rappresentante del Comune una fideiussione assicurativa, ciò che non rende affatto detta fideiussione, nè quindi le sue condizioni, parti integranti della convenzione.

3.3. Il terzo motivo – proposto, nuovamente, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c., in relazione al combinato disposto dell’art. 11 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 della polizza fideiussoria, per avere la sentenza impugnata ritenuto le obbligazioni degli odierni ricorrenti coperte dalla garanzia fideiussoria oggetto della polizza.

Si rileva come l’obbligazione di garanzia, oggetto della fideiussione, “pur essendo riferita ad oneri di urbanizzazione (“propter rem”), resta una tipica obbligazione personale: essa, quindi, non circola automaticamente insieme al bene immobile cui afferisce l’obbligazione garantita, ma resta in capo al contraente della fideiussione e si trasmette solo ai soggetti indicati nella polizza stessa secondo le regole “contrattuali” in essa previste”.

Rispetto, dunque, agli aventi causa dalla lottizzante la polizza costituirebbe una “res inter alios acta”.

3.4. Il quarto motivo – proposto, al pari degli altri, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – ipotizza violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c., in relazione al combinato disposto dell’art. 11 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 di compravendita, per avere la Corte d’Appello ritenuto che la limitazione degli oneri, contenuta nei singoli contratti di compravendita, fosse inopponibile al Comune in assenza di uno specifico accordo, in tal senso, con il medesimo.

Si rileva come dalla lettura dell’art. 11 della convenzione non si ricavi affatto che la volontà negoziale delle parti, ovvero il Comune e D.T., fosse quella di sottoporre l’efficacia dei trasferimenti parziali degli oneri ad un successivo consenso da parte del Comune.

3.5. Il quinto motivo – formulato, non diversamente dagli altri, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c., in relazione al combinato disposto degli artt. 3, 7 e 14 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 di compravendita, per avere la sentenza impugnata ritenuto che le opere di lottizzazione dovessero obbligatoriamente essere seguite di pari passo con i fabbricati costruiti, donde la violazione anche degli artt. 1183, 1184 e 1185 c.c..

Si censura la decisione della Corte fiorentina per avere ritenuto, in particolare, che il termine decennale di cui all’art. 3 della convenzione non fosse perentorio, trattandosi solo di un termine per l’esecuzione delle opere, ovvero di un limite temporale per l’ultimazione delle stesse, pervenendo a tale esito sulla base di una interpretazione che pone detto articolo in correlazione con gli artt. 7 e 14 della convenzione medesima, dai quali si ricaverebbe che il Comune potesse esigere anticipatamente l’esecuzione delle opere dalla parte lottizzante, essendo obbligatorio che le stesse andassero di pari passo con l’edificazione.

Questa interpretazione, però, contrasterebbe – ad avviso dei ricorrenti – con la lettera dell’art. 7, secondo cui, verificandosi l’attuazione del piano di lottizzazione in tempi successivi, la costruzione delle strade e delle altre opere potrà” (e non dovrà, sottolineano i ricorrenti) “essere effettuata anche gradatamente”.

D’altra parte, poi, neppure sarebbe corretta l’interpretazione dell’art. 14 della convenzione fornita dal giudice di appello, visto che detto articolo si limita ad attribuire al Comune la possibilità di provvedere direttamente all’esecuzione delle opere di urbanizzazione, quando la lottizzante non vi abbia provveduto tempestivamente, sicchè il presupposto di questo intervento diretto è costituito, appunto, dalla violazione del termine per l’esecuzione delle opere, ovvero quello decennale.

Da quanto precede, pertanto, deriverebbe anche la violazione degli artt. 1184 e 1185 c.c., atteso che, in pendenza del termine per l’adempimento fissato convenzionalmente, il creditore non avrebbe potuto esigere la prestazione prima della scadenza del termine stesso.

3.6. Con il sesto motivo è dedotta – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1362,1363,1367, 1370 e 1371 c.c. e dei principi in tema di obbligazioni “propter rem”, in relazione al combinato disposto dell’art. 11 della convenzione di lottizzazione con l’art. 1 di compravendita D. – C., nonchè del contratto di compravendita C. – B., per avere il giudice d’appello affermato la sussistenza della legittimazione passiva della C..

Si censura la sentenza impugnata in quanto, pur qualificando come un’obbligazione “propter rem” l’assunzione, a carico del proprietario del terreno, degli oneri relativi alle opere di urbanizzazione, essa ha, nondimeno, rigettato l’eccezione di difetto di legittimazione passiva della C., quantunque la stessa avesse trasferito a terzi la proprietà del lotto acquistato da D.T..

Conclusione, questa, alla quale la Corte territoriale è pervenuta sul rilievo che, “nel caso in cui sia stata prestata a garanzia per il pagamento in favore del Comune degli oneri di urbanizzazione da parte del soggetto intestatario della concessione edilizia e l’attività sia stata poi effettuata da un soggetto diverso, avente causa dalla titolare della concessione, i diritti e le azioni di cui godeva il Comune si trasferiscono in surrogazione al garante anche nei confronti dell’avente causa del concessionario, con questi solidalmente obbligato al pagamento degli oneri”.

Nondimeno, siffatto esito, oltre a porsi in contrasto, per le ragioni già illustrate, con l’art. 11 della convenzione e con la volontà negoziale dei contraenti di escludere dal vincolo solidale nei confronti del Comune gli aventi causa “pro quota” della lottizzazione, non terrebbe conto del fatto che la C. neppure ha edificato in virtù della concessione edilizia rilasciata alla D., avendo conseguito un autonomo titolo edilizio, espressamente indicato e menzionato nell’atto di compravendita con cui ha trasferito, successivamente, il lotto a terzi.

3.7. Infine, il settimo motivo ipotizza – a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) – violazione e falsa applicazione degli artt. 1375 e 1325 c.c., in relazione alla causa della fideiussione, nonchè degli artt. 1362,1366, 1370 e 1371 c.c..

Si censura la sentenza impugnata per la mancata e/o falsa applicazione dell’art. 1375 c.c., per aver disatteso il motivo di censura con il quale i ricorrenti avevano evidenziato che, nel dare esecuzione al contratto, il garante deve rispettare il principio generale di buona fede, potendo, anzi dovendo, opporre al creditore garantito la cosiddetta “exceptio doli”, qualora l’escussione della garanzia sia manifestamente illegittima, come sarebbe avvenuto nel caso di specie, considerato che il termine decennale per la esecuzione delle opere di urbanizzazione non era ancora scaduto, ed inoltre che la maggior parte delle stesse risultava realizzata.

Pertanto, concludono i ricorrenti, stando alle evidenze documentali richiamate, risulterebbe incontrovertibile che la richiesta di escussione della fideiussione fosse passibile di eccezione da parte della società Fondiaria Sai.

4. La società Unipolsai S.p.a. ha resistito, con controricorso, all’avversaria impugnazione, chiedendone la declaratoria di inammissibilità ovvero, in subordine, di infondatezza, e proponendo, altresì, ricorso incidentale, sulla base di un unico motivo.

4.1. La controricorrente assume che il ricorso sarebbe inammissibile, ex art. 360 bis c.p.c., comma 1, n. 1), essendo stata la presente controversia decisa in applicazione dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di obbligazioni “propter rem”. Del tutto corretta, poi, sarebbe l’interpretazione che il giudice di appello ha fornito delle clausole contrattuali, mentre per ciò che concerne il motivo, il settimo, relativo alla mancata proposizione della cosiddetta “exceptio doli”, si rileva come quello concluso fra il Comune e la società di assicurazione fosse non una semplice fideiussione, bensì un contratto autonomo di garanzia. Di conseguenza, l’eccezione suddetta poteva essere sollevata solo alla condizione – non ipotizzabile nella specie – che la richiesta di pagamento immediato fosse risulta manifestamente, ovvero “prima facie”, abusiva.

4.2. Quanto al ricorso incidentale, con l’unico motivo si censura la sentenza impugnata laddove ha confermato la compensazione delle spese del primo grado di giudizio ed ha disposto, altresì, compensarsi anche quelle del giudizio di appello. La Corte fiorentina, infatti, ha ritenuto che “le peculiarità della fattispecie e delle questioni esaminate in ragione delle diverse clausole negoziali di non chiara formulazione”, unitamente alla “reciproca soccombenza di tutte le parti”, consentissero l’integrale compensazione ex art. 92 c.p.c.. Rileva, per contro, la ricorrente incidentale di essere risultata totalmente vittoriosa, sia in primo che in secondo grado, non potendo la compensazione neppure giustificarsi con riferimento alla peculiarità o complessità della fattispecie, atteso che le questioni di diritto esaminate sono state decise conformemente all’indirizzo della giurisprudenza di legittimità sia in punto di obbligazioni “propter rem”, oltre che di surroga della garante nei crediti spettanti al soggetto garantito.

5. Anche il Comune di Stroncone è intervenuto in giudizio.

6. La controricorrente Unipolsai ha depositato memoria, insistendo nelle proprie argomentazioni.

7. I presenti ricorsi, già discussi nell’adunanza camerale del 12 dicembre 2018, sono stati rinviato a nuovo ruolo, con ordinanza del 28 febbraio 2019, in attesa della decisione delle Sezioni Unite di questa Corte sulle questioni oggetto dell’ordinanza interlocutoria di questa Sezione del 9 novembre 2018, n. 28844.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. In via preliminare, deve darsi atto del superamento dei dubbi in ordine alla procedibilità del ricorso principale, già alla base del rinvio a nuovo ruolo, disposto con la citata ordinanza del 28 febbraio 2019.

8.1. Invero, la notifica, al ricorrente D.A., della sentenza poi impugnata anche dalla G. e dalla Caroti è avvenuta telematicamente, sicchè costoro, nel proporre la presente impugnazione – quantunque il difensore della controparte avesse attestato la conformità all’originale “digitale” della copia “analogica” notificata – avrebbero dovuto compiere analoga attestazione, pena l’improcedibilità del ricorso, anche per la relata di notificazione ed il messaggio “PEC”, formalità, quest’ultima, “necessaria, perchè solo di lì si evince il giorno e ora in cui si è perfezionata la notifica per il destinatario” (così, in motivazione, Cass. Sez. 6, ord. 22 dicembre 2017, n. 30765, Rv. 647029-01).

Anche la prova di resistenza – ovvero, l’accertamento che la notifica del ricorso si sia perfezionata, per il ricorrente, entro il sessantesimo giorno dalla pubblicazione della sentenza (Cass. Sez. 3, sent. 10 luglio 2013, n. 17066) – è negativa, giacchè la sentenza risulta pubblicata il 24 marzo 2017, mentre la data in cui è stata richiesta la notificazione del ricorso per cassazione è il 4 luglio 2017.

Nè rileva il fatto che la notifica della sentenza risulta avvenuta nei confronti di uno solo dei già appellanti ed odierni ricorrenti, visto il principio, ancora di recente ribadito da questa Corte, secondo cui, nei “processi con pluralità di parti”, non solo quando si configuri l’ipotesi di litisconsorzio necessario, ma anche quella del “litisconsorzio processuale (cd. litisconsorzio “unitario o quasi necessario”), è applicabile la regola, propria delle cause inscindibili, dell’unitarietà del termine per proporre impugnazione, con la conseguenza che la notifica della sentenza eseguita da una delle parti segna, nei confronti della stessa e della parte destinataria della notificazione, l’inizio del termine breve per impugnare contro tutte le altre parti, sicchè la decadenza dall’impugnazione per scadenza del termine esplica effetto nei confronti di tutte le parti” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, ord. 7 giugno 2018, n. 14722, Rv. 649046-02; in senso analogo Cass. Sez. Lav., sent. 20 gennaio 2016, n. 986, Rv. 638865-01).

8.2. Nondimeno, sul punto, trova applicazione – fugando ogni dubbio – quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 25 marzo 2019, n. 8312, in particolare il punto “sub” b) del p. 34)), ovvero che in caso di “sentenza impugnata sottoscritta con firma autografa ed inserita nel fascicolo informatico” vale il principio secondo cui “l’equiparazione della copia all’originale consegue comunque dalla non contestazione o dall’asseverazione” (che intervenga entro l’udienza pubblica o l’adunanza camerale).

Il citato arresto delle. Sezioni Unite ha, inoltre chiarito che l’applicazione dei “suindicati principi” vale, “a maggior ragione, con riguardo al requisito del deposito della relata attestante la notificazione telematica decisione impugnata” (fr. p. 35, punto 2), ovvero con riferimento alla fattispecie che viene qui in rilievo.

Nella specie, nessuna contestazione risulta formulata dalla Fondiaria Sai e dal Comune di Stroncone, donde il superamento di ogni dubbio sulla procedibilità.

9. Ciò detto, il ricorso principale va rigettato.

9.1. I motivi primo e secondo – suscettibili di trattazione unitaria, giacchè attinenti ai rapporti tra l’art. 11 della convenzione di lottizzazione e l’art. 1 dei singoli contratti di compravendita, conclusi da ciascuno degli odierni ricorrenti con la lottizzante – non sono fondati.

9.1.1. Ponendo entrambi i motivi censure di violazione delle regole dell’ermeneutica contrattuale appare necessario muovere dalla constatazione, di carattere generale, secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale, non può limitarsi a richiamare le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo invece l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione tra l’interpretazione del ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, poichè quest’ultima non deve essere l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni, sicchè, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto l’interpretazione poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che fosse stata privilegiata l’altra” (così, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 28 novembre 2017, n. 28319, Rv. 646649-01; in senso conforme anche Cass. sez. 3, ord. 10 maggio 2018, n. 11254, Rv. 648602-01).

Nel caso di specie, le censure formulate ipotizzano, essenzialmente, la violazione di quello che viene definito come “il primo e principale canone” dell’ermeneutica contrattuale, ovvero quello dell’interpretazione letterale.

In questa prospettiva, pertanto, non sembra inutile rammentare che, “sebbene i criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., siano governati da un principio di gerarchia interna in forza del quale i canoni strettamente interpretativi prevalgono su quelli interpretativi-integrativi, tanto da escluderne la concreta operatività quando l’applicazione dei primi risulti da sola sufficiente a rendere palese la “comune intenzione delle parti stipulanti”, la necessità di ricostruire quest’ultima senza “limitarsi al senso letterale delle parole”, ma avendo riguardo al “comportamento complessivo” dei contraenti comporta che il dato testuale del contratto, pur rivestendo un rilievo centrale, non sia necessariamente decisivo ai fini della ricostruzione dell’accordo, giacchè il significato delle dichiarazioni negoziali non è un “prius”, ma l’esito di un processo interpretativo che non può arrestarsi al tenore letterale delle parole, ma deve considerare tutti gli ulteriori elementi, testuali ed extratestuali, indicati dal legislatore” (Cass. Sez. 3, sent. 15 luglio 2016, n. 14432, Rv. 640528-01). Pertanto, lo stesso principio “in claris non fit interpretatio” comunque operante solo quando “la comune intenzione delle parti risulti in modo certo ed immediato dalla dizione letterale del contratto”, ma pur sempre “attraverso una valutazione di merito che consideri il grado di chiarezza della clausola contrattuale mediante l’impiego articolato dei vari canoni ermeneutici”, in quanto essi risultano “legati da un rapporto di implicazione necessario” (Cass. Sez. Lav., sent. 3 giugno 2014, n. 12360, Rv. 631051-01) – “non trova applicazione nel caso in cui il testo negoziale sia chiaro, ma non coerente con ulteriori ed esterni indici rivelatori della volontà dei contraenti” (Cass. Sez. 3, sent. 9 dicembre 2014, n. 25840, Rv. 633421-01).

Orbene, proprio alla luce di questa applicazione “integrata” dei diversi canoni ermeneutici previsti dagli artt. 1362 a 1371 c.c., deve escludersi la fondatezza dei motivi in esame.

9.1.2. Punto di partenza per giungere a tale esito è la constatazione che l’art. 11 della convenzione di lottizzazione stabiliva che “qualora il lottizzante proceda alla alienazione delle aree lottizzate potrà trasmettere agli acquirenti dei singoli lotti gli oneri di cui alla presente convenzione”, prevedendosi, inoltre, che, tanto nel “caso diverso” (ovvero quello in cui il lottizzante non si fosse avvalso di tale possibilità), come in quello “di trasferimento solo parziale” (vale a dire non comprensivo di tutti gli oneri di cui alla convenzione), “di tutti gli obblighi non trasferiti agli acquirenti”, il lottizzante, e con esso i suoi successori ed aventi causa, restassero “solidalmente responsabili verso il Comune”. Orbene, della prevista possibilità di trasmettere gli oneri della convenzione, la parte lottizzante, D.T., ha fatto uso, e ciò in quanto, nei contratti di compravendita dei singoli lotti conclusi con ciascuno dei tre odierni ricorrenti, è stata inserita – all’art. 1 – la previsione secondo cui “la parte acquirente subentra, in luogo della parte venditrice, limitatamente a quanto compravenduto in tutti (il corsivo è di chi qui scrive) i diritti, obblighi ed oneri derivanti dalla detta Convenzione che dichiara di conoscere ed accettare”.

Invero, proprio dal raccordo delle previsioni di cui all’art. 11 della convenzione e dell’art. 1 dei contratti di compravendita emerge che quello da quest’ultimo contemplato non era certo il caso del “trasferimento solo parziale”, ad integrare il quale sarebbe occorsa la precisazione che esso avveniva “nei limiti” di taluni obblighi e/o oneri, peraltro, da individuarsi specificamente, e ciò anche al fine di chiarire non solo quali fossero quelli trasferiti, ma pure quegli “obblighi non trasferiti agli acquirenti” che, sempre in base all’art. 11 della convenzione, sarebbero rimasti a carico del lottizzante (e con esso dei suoi successori ed aventi causa). Nè, d’altra parte, una diversa conclusione potrebbe giustificarsi – come assumono i ricorrenti valorizzando l’espressione “limitatamente a quanto compravenduto”, presente nel citato art. 1, la quale vale solo a stabilire che il subentro in “tutti” i diritti obblighi ed oneri non può che avvenire “nei limiti” del lotto trasferito.

9.2. Anche il terzo motivo del ricorso principale non è fondato.

9.2.1. A prescindere, infatti, dal rilievo – suscettibile di integrare una ragione di inammissibilità del motivo in esame – che i ricorrenti neppure specificano, in questo caso, quali siano, in ipotesi, i canoni ermeneutici violati dal giudice di appello, deve osservarsi che non coglie nel segno il rilievo secondo cui, rispetto agli aventi causa dalla lottizzante, la fideiussione si porrebbe come una “res inter alios acta”.

Invero, a fronte del tenore letterale dell’art. 1 delle condizioni generali della polizza fideiussoria (secondo cui “la contraente stipula per sè, per i propri successori ed aventi causa con vincolo solidale ed indivisibile a favore dell’ente garantito”), ritenere che gli “aventi causa” da D.T., ad esso subentrati “in tutti” gli “obblighi ed oneri derivanti dalla detta Convenzione” (richiamante espressamente, a propria volta, all’art. 13, la suddetta polizza fideiussoria), siano, invece, rimasti estranei agli effetti di quella pattuizione, equivarrebbe a negare ad essa efficacia “in parte qua”, ovvero, rispetto agli “aventi causa” dallo stipulante, e ciò in contrasto, a tacer d’altro, con il canone ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., visto che “il principio di conservazione del contratto non comporta solo che esso (o le sue singole clausole) venga interpretato nel senso in cui possa avere un qualche effetto ma richiede che il contratto non risulti neppure in parte frustrato e che la sua efficacia potenziale non subisca alcuna limitazione” (Cass. Sez. 3, sent. 1 settembre 1997, n. 8301, Rv. 507397-01).

9.3. I motivi quarto, quinto e sesto del ricorso principale sono, invece, inammissibili.

9.3.1. La loro formulazione, infatti, esaurendosi nella mera indicazione di talune norme del Capo IV del Titolo II del Libro IV del codice civile che sarebbero state violate, non si conforma al principio secondo cui “la parte che, con il ricorso per cassazione, intenda denunciare un errore di diritto o un vizio di ragionamento nell’interpretazione di una clausola contrattuale (…), non può limitarsi a richiamare genericamente le regole di cui agli artt. 1362 c.c. e segg., avendo l’onere di specificare i canoni che in concreto assuma violati ed il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato” (Cass. Sez. Lav., sent. 15 novembre 2013, n. 25728, Rv. 628585-01), dovendo, pertanto, il motivo “essere formulato attraverso la puntuale e precisa enunciazione delle ragioni per le quali un dato criterio sarebbe stato erroneamente applicato” (Cass. Sez. 3., ord. 21 giugno 2017, n. 15350, Rv. 644814-01).

Quanto, poi, in particolare al quarto motivo, deve aggiuntivamente rilevarsi che esso non coglie neppure l’effettiva “ratio decidendi” della sentenza impugnata, che non è consistita nell’affermare che il trasferimento parziale degli oneri presupponga il consenso del Comune, bensì che gli aventi causa dalla lottizzante sono “obbligati in solido nei confronti del Comune di Stroncone in quanto hanno accettato con gli atti notarili la convenzione (e le sue clausole) precedentemente stipulata da D.T.”.

Di conseguenza, deve farsi applicazione – in questo caso – anche del principio secondo cui la “proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall’art. 366 c.p.c., n. 4), con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio” (Cass. Sez. 6-1, ord. 7 settembre 2017, Rv. 645744-01).

9.4. Infine, il settimo motivo del ricorso principale è anch’esso inammissibile.

9.4.1. Nell’affermare che, nella specie, il giudice di appello avrebbe dovuto riconoscere i presupposti per l’operatività della “exceptio doli”, i ricorrenti solo in apparenza denunciano un vizio riconducibile al paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

Infatti, “il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa” – che è quanto avviene nel caso di specie, dal momento che i ricorrenti pretenderebbero di riportarsi alle “evidenze documentali richiamate”, evidenze, però, tutt’altro che incontroverse, dal momento che la sentenza ha escluso che la maggior parte delle opere di urbanizzazione fossero state completate, come, invece, sostengono gli odierni ricorrenti – “è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità” (da ultimo, “ex multis”, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03, nonchè Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).

D’altra parte, poi, proprio il carattere non incontroverso della circostanza – addotta dai ricorrenti – dell’avvenuta esecuzione della maggior parte delle opere di urbanizzazione comporta, come ha rilevato la controricorrente Unipolsai, l’assenza di quella “prova liquida” del carattere “abusivo” della richiesta di escussione della garanzia, che si pone come condizione indispensabile per l’opponibilità della “exceptio doli” (cfr., da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 22 novembre 2019, n. 30509, Rv. 655839-02),

10. Per parte propria, anche il ricorso incidentale non è fondato.

10.1. Invero, la disposta compensazione delle spese – che ai sensi dell’art. 92 c.p.c., come sostituito dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), (applicabile “ratione temporis”, essendo stato il giudizio di primo grado incardinato nel 2008), richiedeva, nel presente caso, soltanto l’esplicitazione in sentenza dei “giusti motivi” – si sottrae alla censura formulata, giacchè, a prescindere dal riferimento (erroneo) alla soccombenza reciproca, la sentenza impugnata ha posto a fondamento della decisione sulle spese la peculiarità e complessità della fattispecie esaminata.

Ciò comporta, dunque, il rigetto del motivo.

Occorre, infatti, sottolineare che “in tema di spese processuali, il sindacato della Corte di cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le stesse non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa, per cui vi esula, rientrando nel potere discrezionale del giudice di merito, la valutazione dell’opportunità di compensarle in tutto o in parte, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca che in quella di concorso di altri giusti motivi” (“ex multis”, Cass. Sez. 5, ord. 31 marzo 2017, n. 8421, Rv. 64347702)

Orbene, quella dei “giusti motivi” è l’ipotesi, come detto, alla quale ha dato rilievo la sentenza impugnata.

11. Le spese del presente giudizio vanno integralmente compensate tra le parti, in ragione della reciproca soccombenza.

12. A carico sia dei ricorrenti principali, che della ricorrente incidentale, sussiste l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale, compensando integralmente tra le parti le spese di del presente giudizio.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti principali e di quello incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, all’esito di adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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