Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11274 del 12/06/2020

Cassazione civile sez. III, 12/06/2020, (ud. 27/11/2019, dep. 12/06/2020), n.11274

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29355/2018 proposto da:

D.C.A., M.R., domiciliati ex lege in ROMA,

presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati e

difesi dall’avvocato CLAUDIO DEFILIPPI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, (OMISSIS), in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende;

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del suo procuratore speciale e

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA CAIO MARIO

27, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO ALESSANDRO MAGNI, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELO IANNACCONE;

COMUNE MILANO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio dell’avvocato

GIUSEPPE LEPORE, che lo rappresenta e difende unitamente agli

avvocati ANTONELLO MANDARANO, ANGELA BARTOLOMEO, ELISABETTA D’AURIA;

– controricorrenti –

e contro

ASSOCIAZIONE IL FRASSINO ONLUS, MILANO ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1011/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/02/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/11/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

da quello che è dato evincere dal contenuto della sentenza impugnata e dai controricorsi, con atto di citazione del 13 novembre 2013, M.R. e D.C.A., in proprio e quali esercenti la responsabilità genitoriale sul figlio minore D.C.R. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, il Ministero della Giustizia, il Comune di Milano e il Centro accoglienza “Associazione il Frassino Onlus” chiedendo il risarcimento dei danni, patrimoniali e non patrimoniali, subiti dal minore e dagli attori a titolo di responsabilità extracontrattuale, assumendo la lesività dei provvedimenti adottati dal Tribunale dei Minorenni di Milano per le modalità di collocamento del minore da parte del Comune in una struttura inadeguata e per la violazione, da parte della medesima struttura, degli obblighi assunti. Deducevano che il minore era stato affidato dal Tribunale dei Minorenni ad una struttura a valenza terapeutica, individuata dai servizi sociali del Comune di Milano, denominata (OMISSIS); aggiungendo che il ragazzo sarebbe stato allontanato dalla comunità in data (OMISSIS) e condotto alla Stazione ferroviaria di Genova per raggiungere in treno (OMISSIS). Sede presso cui il minore non giungeva, ma veniva rintracciato in (OMISSIS) solo il (OMISSIS) e condotto in ospedale dove gli veniva diagnosticata una bronchite.

Sulla base di tali elementi riteneva che il centro di accoglienza e l’ente affidatario del minore avessero tenuto una condotta negligente e deducevano la violazione del diritto dei genitori a mantenere il rapporto affettivo con il figlio, posto che l’unione familiare era stata compromessa senza un valido motivo a seguito del Decreto 20 febbraio 2011, del Tribunale dei Minorenni, con il quale il ragazzo era stato collocato in una struttura inadeguata.

Si costituivano le parti convenute. Il Comune di Milano chiamava in causa la Milano Assicurazioni per essere garantito nell’ipotesi di accoglimento delle domande. Contestava ogni responsabilità essendosi limitato a dare esecuzione al provvedimento giurisdizionale che aveva individuato la struttura (OMISSIS) per l’accoglimento, in via provvisoria, quella (OMISSIS).

Si costituiva l’associazione il Frassino che rilevava che il minore, dal primo momento dell’affidamento, aveva manifestato la volontà di non rimanere presso la comunità e che per tale motivo era stato accompagnato alla stazione di Genova per prendere il treno diretto per (OMISSIS) dove la madre avrebbe dovuto prelevarlo al momento dell’arrivo.

Si costituiva la compagnia Milano Assicurazioni chiedendo il rigetto delle domande. Spiegava intervento volontario la Carige Assicurazioni, che garantiva la comunità gestita dalla Associazione il Frassino, chiedendo il rigetto.

Il Tribunale di Milano con sentenza n. 628 del 2016 riteneva inammissibile la pretesa azionata nei confronti del Ministero poichè, presupponendo l’accertamento della responsabilità del Ministero per l’attività posta in essere dal Tribunale per i Minorenni di Milano, avrebbe dovuto essere proposta nelle forme e davanti al giudice competente sensi della L. n. 117 del 1988.

Riguardo alla posizione dell’amministrazione comunale, questa si era limitata a dare esecuzione al decreto del Tribunale, mentre l’associazione non aveva tenuto una condotta negligente e non era stata fornita la prova dell’effettiva sparizione del minore.

Avverso tale decisione M.R. e D.C.A. proponevano appello ritenendo che il primo giudice avesse errato nella ricostruzione dei fatti, così respingendo le domande e condannando gli attori al pagamento delle spese processuali, senza motivazione sul punto. Alla prima udienza si costituivano gli appellati (Unipol Sai Assicurazioni S.p.A., già Milano Assicurazioni) e, successivamente alla rinnovazione della notifica, anche l’associazione Il Frassino Onlus.

La Corte d’Appello di Milano con sentenza del 22 febbraio 2018 riteneva inammissibile l’appello nei confronti del Ministero per difetto di critiche specifiche e infondate le doglianze nei confronti del Comune di Milano, essendo pacifico che la struttura presso cui era stato affidato il minore costituiva una collocazione provvisoria, in quanto la comunità terapeutica individuata dal Comune non avrebbe potuto accoglierlo prima della data del 17 marzo 2011. L’adeguatezza della struttura sarebbe stata valutata dal genitore del ragazzo e la scelta di allontanarsi era stata presa dal minore sin dal primo momento e pertanto prescindeva dalle caratteristiche della struttura. Secondo la Corte anche le doglianze nei confronti della associazione sarebbero inoltre molto generiche, mentre i profili di responsabilità prospettati con riferimento all’accompagnamento del minore alla stazione ferroviaria di (OMISSIS) sarebbero infondati, perchè solo in data (OMISSIS) i genitori avrebbero denunziato al Commissariato la scomparsa del ragazzo, pur essendo a conoscenza di tale circostanza dal (OMISSIS).

Avverso tale decisione propongono ricorso per cassazione M.R. e D.C.A. affidandosi a tre motivi illustrati da memoria, inviata a mezzo pec e pervenuta tardivamente il 26 novembre 2016. Resistono con separati controricorsi il Ministero della Giustizia, Amissima Assicurazioni, già Carige Assicurazioni S.p.A., il Comune di Milano e Unipol Assicurazioni S.p.A. Amissima ed il Comune depositano memorie ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce la violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, dell’art. 112 c.p.c., riguardo alla richiesta di risarcimento dei danni. La Corte territoriale avrebbe omesso di affrontare le questioni relative alla quantificazione dei danni per avere ritenuto l’atto di appello, in parte inammissibile e in parte infondato, riguardo alla prova della responsabilità dei convenuti. Nel fare ciò la Corte territoriale avrebbe del omesso del tutto di esaminare la questione relativa al risarcimento del danno.

Con il secondo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, il vizio di motivazione alla luce della sentenza delle Sezioni Unite n. 19881 del 22 settembre 2014, con riferimento all’art. 2043 c.c.. Il giudice di appello avrebbe esaminato in maniera approssimativa le doglianze proposte dai ricorrenti in grado di appello, omettendo di approfondire la ricostruzione fattuale e adottando una decisione non motivata sotto il profilo della coerenza e della logicità.

Con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 91 c.p.c., in tema di spese processuali. La decisione di appello sarebbe errata nella parte in cui ha confermato la condanna alle spese disposta dal Tribunale in virtù del principio della soccombenza. Al contrario, vigendo il criterio dell’esito finale della lite, le spese di primo grado avrebbero dovuto essere poste a carico dei convenuti.

Preliminarmente va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per tardività sollevata dai controricorrenti. L’eccezione è fondata.

La sentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 18 gennaio 2016, è stata notificata da Unipol Sai alle parti appellate e ai ricorrenti, a mezzo pec, in data 22 marzo 2018, come documentato dalla compagnia con asseverazione del 7 novembre 2019 e dal Ministero.

La notifica è stata eseguita all’indirizzo PEC estratto dall’indice INI PEC corrispondente a quello indicato dal difensore dei ricorrenti nel ricorso per cassazione ed è stata effettuata ai fini della decorrenza del termine breve d’impugnazione.

Il ricorso per cassazione è stato notificato il 29 settembre 2018, ben oltre il termine breve previsto all’art. 325 c.p.c..

A prescindere da ciò il ricorso è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3. Infatti, non rispetta il requisito della esposizione sommaria dei fatti, prescritto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, che, essendo considerato dalla norma come uno specifico requisito di contenuto-forma del ricorso, deve consistere in una esposizione che deve garantire alla Corte di cassazione, di avere una chiara e completa cognizione del fatto sostanziale che ha originato la controversia e del fatto processuale, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass. sez. un. 11653 del 2006). La prescrizione del requisito risponde non ad un’esigenza di mero formalismo, ma a quella di consentire una conoscenza chiara e completa dei fatti di causa, sostanziali e o processuali, che permetta di bene intendere il significato e la portata delle censure rivolte al provvedimento impugnato (Cass. sez. un. 2602 del 2003).

Stante tale funzione, per soddisfare il requisito imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, è necessario che il ricorso per cassazione contenga, sia pure in modo non analitico o particolareggiato, l’indicazione sommaria delle reciproche pretese delle parti, con i presupposti di fatto e le ragioni di diritto che le hanno giustificate, delle eccezioni, delle difese e delle deduzioni di ciascuna parte in relazione alla posizione avversaria, dello svolgersi della vicenda processuale nelle sue articolazioni e, dunque, delle argomentazioni essenziali, in fatto e in diritto, su cui si è fondata la sentenza di primo grado, delle difese svolte dalle parti in appello, ed in fine del tenore della sentenza impugnata.

I ricorrenti si limitano a riportare il dispositivo della sentenza del Tribunale di Milano del 18 gennaio 2016 e le conclusioni dell’atto di citazione, l’elencazione delle date delle udienze di merito e il dispositivo della sentenza della Corte d’Appello di Milano.

In effetti il tenore dell’esposizione dl fatto risulta omettere: a) l’indicazione dei fatti costituivi della domanda; b) le ragioni della domanda, che sono indicate in modo assolutamente generico; c) le modalità di svolgimento del giudizio di primo grado; d) le ragioni della decisione di primo grado; e) i motivi di appello; f) le ragioni della sentenza impugnata. Lo scrutinio dei tre motivi risulta impossibile in ragione delle dette macroscopiche lacune.

Oltre a ciò, i motivi sono, in parte, manifestamente infondati e, in parte, inammissibili.

Quanto alla prima doglianza, oltre al richiamo irrituale all’art. 360 c.p.c., n. 3 e art. 112 c.p.c. (in luogo della fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4), la decisione la Corte territoriale è stata adottata esaminando prima il profilo dell’an rispetto a quello della sussistenza del danno, avendo, il giudice di appello, ritenuto preliminare la valutazione della prova della sussistenza di profili di responsabilità in capo alle parti convenute e l’esistenza o meno della circostanza fattuale della “sparizione” del minore al suo rientro a Milano. E’ evidente che, esclusa la fondatezza del gravame, in parte perchè ritenuto inammissibile per profili processuali (le doglianze relative alla posizione del Ministero) e in parte per difetto di prova dei fatti costitutivi della pretesa, correttamente la Corte territoriale ha precisato che “per le ragioni che precedono l’appello proposto ha respinto, senza necessità di affrontare le ulteriori questioni prospettate in giudizio circa la esistenza dei danni prospettati dagli appellanti e la legittimazione ad ottenerne il ristoro”.

Quanto al secondo motivo, la doglianza è inammissibile poichè non prospetta vizi argomentativi della decisione, ma sollecita un inammissibile riesame nel merito delle circostanze fattuali al fine di pervenire ad una conclusione diversa e più appagante rispetto a quella adottata dai giudici di merito. Si tratta, sostanzialmente, di un vizio di violazione di legge, strutturato, in realtà, come censura sulla congruità della motivazione, inammissibile, sia poichè non consentito dal testo vigente dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia perchè si tratta di doppia conforme e tale censura non è permessa dall’art. 348 ter c.p.c., comma 5;

il terzo motivo è inammissibile in quanto riferito alla parte della decisione riguardante la condanna al pagamento delle spese di lite adottata in primo grado e non consiste in una censura alla decisione impugnata. Peraltro, i rilievi risultano scarsamente comprensibili perchè le domande svolte dai ricorrenti sono state totalmente rigettate, sia in primo grado che in appello, con conseguente corretta applicazione dell’art. 91 c.p.c., da parte dei giudici di merito, risultando inconferenti i richiami al principio della unitarietà del procedimento e della rilevanza della decisione finale, trattandosi di profili che convergono, nel caso di specie, in un’unica direzione.

In sostanza non è dato comprendere per quale aspetto della controversia e dei precedenti gradi di giudizio i ricorrenti possono dichiararsi vittoriosi atteso il rigetto di tutte le domande e la corretta applicazione del principio di soccombenza.

Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Sussiste altresì la responsabilità aggravata dei ricorrente ex art. 96 c.p.c., comma 3, che hanno agito – tramite il legale – senza la exacta diligentia esigibile in relazione ad una prestazione professionale altamente qualificata come è quella dell’avvocato, in particolare se cassazionista (in proposito, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20732 del 14/10/2016, Rv. 642925-01): infatti, nel caso non viene in rilievo, ai fini dell’applicazione della citata disposizione, la mera inammissibilità del ricorso, bensì la palese violazione dell’art. 366 c.p.c. – che si traduce in errore grossolano – di regole di redazione dell’atto introduttivo che non possono essere ignorate da un difensore (a riguardo, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 18960 dell’8/6/2017 e Cass. Sez. 6-3, n. 29812 del 18/11/2019). Deriva da quanto ora esposto la condanna dei ricorrenti al pagamento della ulteriore somma di Euro 2.000,00 in favore dei controricorrenti.

Va affermata la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore di ciascuno dei controricorrenti, liquidandole in Euro 3.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge ed alle spese ex art. 96 c.p.c., pari ad Euro 2000,00 in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 27 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 giugno 2020

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