Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11271 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. II, 10/05/2010, (ud. 30/11/2009, dep. 10/05/2010), n.11271

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – rel. Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

P.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MERCALLI

11, presso lo studio dell’avvocato TAGLIALATELA FRANCESCO, che lo

rappresenta e difende, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.

ORESTANO 21, presso lo studio dell’avvocato PONTESILLI MARIO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4 04/2007 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

del 21/2/07, depositata il 05/06/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. D’ASCOLA Pasquale;

udito per il ricorrente l’Avvocato Tagliatatela Francesco, che si

riporta agli scritti insistendo per l’accoglimento del ricorso ed in

subordine per la trattazione in Pubblica Udienza;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. SORRENTINO Federico, che

nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte d’appello di L’Aquila con sentenza 5 giugno 2007 rigettava il gravame proposto da P.G. avverso C. T., per la riforma della sentenza emessa dal tribunale di Sulmona il 28 maggio 2004. Negava che fosse necessario integrare il contraddittorio con tutti i condomini, trattandosi di causa mirante a far dichiarare la condominialita’ di una parte dell’edificio nei confronti del condomino convenuto. Confermava, sulla base delle risultanze analizzate, che il locale soffitta oggetto di controversia era stato venduto all’appellato. P.G. ha proposto ricorso per Cassazione, notificato il 21 luglio 2008 e illustrato da memoria. C.T. ha resistito con controricorso.

Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Ha rilevato, come dedotto anche in controricorso, l’inammissibilita’ del ricorso a causa della mancata o inadeguata formulazione del quesito di diritto e, per quanto concerne la denuncia di vizi di motivazione, della omessa indicazione del fatto controverso secondo i canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c..

Il ricorso si articola in quattro motivi, tutti relativi a violazioni di legge, ma l’ultimo contenente anche un profilo di censura della motivazione.

Secondo terzo e quarto motivo sono privi della formulazione del quesito di diritto con cui, a norma dell’art. 366 bis c.p.c. si deve concludere, a pena di inammissibilita’, l’illustrazione di ciascun motivo nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3), e 4). Erroneamente parte ricorrente sostiene che “le censure relative ad errores in procedendo non sono assistite dallo obbligo del quesito di diritto”, poiche’ la norma riportata include specificamente l’art. 360 c.p.c., n. 4 che si riferisce proprio ai vizi del procedimento. La giurisprudenza ha ammesso che si puo’ omettere tale formulazione ove l’inosservanza delle regole processuali dia luogo ad un mero errore di fatto, ditalche’ alla Corte di cassazione si chiede soltanto di riscontrare, attraverso l’esame degli atti di quel processo, la correttezza dell’attivita’’ compiuta (Cass. 16941/08; 19558/09). Tuttavia la stessa giurisprudenza, che ha dato luogo a contrasto tra le sezioni semplici, ha tenuto a precisare che il quesito e’ indispensabile se la violazione denunciata comporta necessariamente la soluzione di una questione di diritto. Cio’ si verifica nella specie con riguardo al secondo motivo, che attiene ai presupposti per integrare il contraddittorio con altri soggetti, questione di cui non sono stati sintetizzati con il quesito di diritto i profili giuridici rilevanti.

Quanto al quarto motivo, che denuncia, sempre in riferimento all’art 360 c.p.c., n. 4, violazione dell’art. 112 c.p.c. per “omessa statuizione sulla domanda di riforma in relazione allo abusivo fatto di installazione nel sottotetto del bruciatore”, il Collegio deve rilevarne l’inammissibilita’ anche per difetto di autosufficienza. E’ stato infatti osservato (Cass. 26693/06) che “Non rispetta il principio di autosufficienza il ricorso per Cassazione che, denunciando l’omessa pronuncia da parte del giudice di secondo grado, sulle doglianze mosse in appello “per relationem” alle ragioni esposte davanti al Tribunale, non espone quelle specifiche circostanze di merito che avrebbero portato all’accoglimento del gravame, e cosi’ impedisce al giudice di legittimita’ una completa cognizione dell’oggetto, sul quale, peraltro, ove non fossero necessari ulteriori accertamenti, potrebbe decidere nel merito, pur trattandosi di “error in procedendo”; ne’ al principio di autosufficienza puo’ ottemperarsi “per relationem”, mediante il richiamo ad altri atti o scritti difensivi presentati nei precedenti gradi di giudizio. Successivamente proprio questa Sezione ha cosi’ avuto modo di precisare (Cass 6361/07): “Perche’ possa utilmente dedursi in sede di legittimita’ un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., e’ necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione” dovendo essere controllata la decisivita’ delle questioni prospettatevi. Ove, infatti, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 c.p.c.,riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione e’ giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere – dovere del giudice di legittimita’ di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilita’, all’adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito, dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi. Parte ricorrente non ha adempiuto a tale onere, avendo solo molto riassuntivamente indicato le doglianze su cui il giudice di appello non avrebbe pronunciato, rinviando a pag. 7 e a pag. 11 del proprio atto di appello e omettendo di spiegare in qual modo le deduzioni in parola potessero costituire motivo di gravame, posto che esse non risultavano dalle sue conclusioni, riportate nell’epigrafe della sentenza impugnata. Quest’ultima notazione assume particolare rilievo in considerazione del fatto che la sentenza impugnata, dopo aver esaminato i motivi di appello, ha espressamente dichiarato:”ogni altra questione rimane superata”, lasciando cosi’ intendere che eventuali altre questioni (tra le quali potrebbero annoverarsi quelle di cui al quarto motivo) erano comunque dipendenti dalla decisione adottata. Anche tale punto della motivazione doveva quindi essere affrontato per dimostrare la decisivita’ della censura.

Il secondo profilo del quarto motivo e’ inammissibile perche’ carente della specifica indicazione del fatto controverso. Le Sezioni Unite (SU n. 20603/07; Cass. 4309/08; 16528/08) hanno infatti chiarito che la censura ex art 360 c.p.c., n. 5 deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Allorche’ nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto ovvero le ragioni per le quali la motivazione e’ insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve pertanto essere adempiuto non gia’ e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso, ma anche formulando, al termine di esso, una indicazione riassuntiva e sintetica, che costituisca un “quid pluris” rispetto all’illustrazione del motivo, e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilita’ del ricorso (Cass. 8897/08;

16002/07). Tale formulazione non si rinviene nella deduzione del motivo di ricorso, svolta con narrazione complessa, senza concentrare in un punto riassuntivo la censura specificamente dedotta.

Quanto al primo motivo (violazione dell’art. 1117 c.c., n. 1), il quesito e’ cosi’ formulato: “Se costituisca la formazione di detta proprieta’ pluralistica causa di applicazione dell’art. 1117 c.c., n. 1, al fine di ritenersi costituita per presunzione di legge comunione pro indiviso di detto locale sottotetto e di non essere piu’ tangibile dall’assegnante IACP tale assetto proprietario con lo insorgere quindi di causa di nullita’ di ogni successivo atto in contrasto con tale presunzione”. Trattasi di quesito palesemente inammissibile, come risulta dalla ardua lettura del testo, che non consente di individuare quale fosse il profilo controverso, quale sia stata la ratio decidendi, ne’ quale sia la critica condotta dal ricorrente. Vi e’ poi da rilevare la mancanza di concreto aggancio alla fattispecie ed, in definitiva va rilevata la totale carenza rispetto all’insegnamento delle SU (19444/09), secondo il quale la peculiarita’ del disposto di cui all’art. 366 bis c.p.c. consiste proprio nell’imposizione di una sintesi originale ed autosufficiente della violazione, funzionalizzata alla formazione immediata e diretta del principio di diritto e, quindi, al miglior esercizio della funzione nomofilattica della corte di legittimita’.”.

Mette conto aggiungere: a) che il quesito di diritto prescritto dal nuovo art. 366 bis c.p.c. non puo’’ essere unico per l’intero ricorso, ma dev’essere formulato separatamente rispetto a ciascuna censura formulata, come si evince sia dall’indicazione separata nella norma dei singoli motivi di ricorso, sia dall’espressione “ciascun motivo”, che si legge nel suo comma 2 (Cass. 27130/06; 16275/07).

B) che non possono assumere rilievo riformulazioni o chiarimenti integrativi del quesito esposti nella memoria depositata ex art. 380 bis c.p.c. (Cass. 22390/08; 4443/09), ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione con la presentazione del (primo) ricorso (SU 19444/09).

Discende da quanto esposto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso e la condanna alla refusione delle spese di lite, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla refusione a controparte delle spese di lite liquidate in Euro 2.000,00 per onorari, 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 30 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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