Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11264 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. II, 10/05/2010, (ud. 12/11/2009, dep. 10/05/2010), n.11264

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – rel. Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

I.A.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DUILIO

13, presso lo studio dell’avvocato Valenti Ettore, che la rappresenta

e difende, giusta procura speciale per atto Notaio Francesco Riccio

in Roma del 3/11/09, rep. n. 51258, allegata in atti;

– ricorrente –

contro

B.A.M., elettivamente domiciliata in ROMA, CORSO

TRIESTE 185, presso lo studio dell’avvocato RAFFAELE VERSACE, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FIORELLA SAVI, giusta

procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

E.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE G.

MAZZINI 88, presso lo studio dell’avvocato ERMINI RUFO, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1276/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

31/01/07, depositata il 15/03/2007;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

12/11/2009 dal Consigliere Relatore Dott. PARZIALE Ippolisto;

udito l’Avvocato Ettore Valenti, difensore della ricorrente (con

procura speciale notarile, in sostituzione dell’Avvocato Petrelli,

depositata il 4/11/09) che si riporta agli scritti insistendo per

l’accoglimento del ricorso;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. PRATIS Pierfelice che

conferma la relazione scritta.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

Viene impugnata la sentenza n. 1276/2007 della CORTE D’APPELLO di ROMA del 31/01/07, depositata il 15/03/2007. Resiste con controricorso la parte intimata.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c., il consigliere relatore delegato ha depositato relazione con la quale ritiene che il ricorso possa essere dichiarato inammissibile per mancanza o inidoneita’ dei quesiti di cui all’art. 366 bis c.p.c.. La relazione e’ stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata ai difensori delle parti. Parte ricorrente ha depositato memoria.

All’udienza fissata per la camera di consiglio, il Procuratore Generale ha concluso concordando con le conclusioni del consigliere relatore. Il ricorso va dichiarato inammissibile.

Infatti, il ricorso, tenuto conto delle sopra indicate date di pronunzia e pubblicazione della sentenza impugnata, e’ soggetto “ratione temporis” (vedi D.Lgs. n 40 del 2006, art. 27, comma 2) alle nuove disposizioni regolanti il processo di cassazione, tra cui segnatamente per quel che rileva, l’art. 366 bis c.p.c. (inserito dal D.Lgs. n 40 del 2006, art. 6) a termini del quale nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn.1, 2, 3, 4 l’illustrazione di ciascun motivo “si deve concludere a pena di inammissibilita’ con la formulazione di un quesito di diritto” e nel caso di cui al 5 con la “chiara indicazione del fatto controverso”.

L’impugnazione in esame, deduce nel primo motivo una non meglio determinata violazione di legge e non contiene la formulazione di alcun quesito di diritto, che deve essere esplicita, non potendosi essa ricavare dal contesto del mezzo ricorso (Cass. SU 2007 n. 7258).

Inoltre, nello stesso contesto non e’ ravvisabile una specifica imputazione d’errori in diritto alla sentenza impugnata — che, nel quesito, avrebbero dovuto rappresentare l’antitesi alla diversa tesi della quale si sarebbe dovuta chiedere l’affermazione — ed e’ insegnamento costante che, ex art. 366 c.p.c., n. 4, nei motivi posti a fondamento dell’invocata cassazione della decisione impugnata ex art. 360 c.p.c., n. 3 i vizi di violazione di legge vengano dedotti, a pena d’inammissibilita’, mediante la specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita’ e/o dalla prevalente dottrina, diversamente non ponendosi la Corte regolatrice in condizione d’adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione; ond’e’ che risulta inidoneamente formulata, ai fini dell’ammissibilita’ del motivo ex art. 360 c.p.c., n. 3, la critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito, nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata dal ricorrente non mediante puntuali contestazioni delle soluzioni stesse nell’ambito d’una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo, bensi’ mediante la mera apodittica contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.

Quanto alle carenze o ai vizi della motivazione, dedotti con il secondo motivo, le argomentazioni non vanno al di la’ della mera doglianza assertiva, non specificando, in particolare, quali fossero stati i fatti controversi non adeguatamente considerati o accertati dai giudici del merito; si risolvono, d’altra parte, in palesi censure di fatto, dirette a prospettare una diversa valutazione delle risultante processuali rispetto a quella fornita dai giudici del merito, insuscettibili di valutazione in sede di legittimita’.

E cio’ a fronte di un apparato argomentativo della sentenza, che ha dato conto degli elementi riscontrati e che non presenta alcuna deficienza o illogicita’.

La memoria, implicitamente riconoscendone la mancanza, contiene un’estrapolazione dei quesiti di diritto, quanto al primo motivo, e del fatto controverso, quanto al secondo motivo, dal contesto dell’originario ricorso, cosi’ effettuando quell’operazione che la richiamata giurisprudenza ha ritenuto inibita a questa Corte proprio perche’ l’art. 366 bis c.p.c. e’ stato formulato in guisa che quegli elementi venissero espressamente evidenziati dalla parte interessata sin dall’atto introduttivo.

Cio’, tuttavia, non puo’ giovare al ricorrente, in quanto questa Corte ha gia’ avuto occasione di rilevare (Cass. SS.UU. 10.9.09 n. 19444, 5.9.08 n. 22390) che il ricorso per Cassazione privo della formulazione dei quesiti di diritto di cui all’art. 366 bis c.p.c. non puo’ essere successivamente integrato, ancorche’ non sia scaduto il termine per l’impugnazione.

Evidenzia, infatti, Cass. 22390/08 cit. che “se il fondamento dell’art. 366 bis c.p.c. sta nella duplice esigenza, da un lato, di consentire alla parte stessa un’adeguata identificazione e consequenziale prospettazione delle proprie ragioni e, dall’altra, di agevolare la valutazione delle dette ragioni da parte della Corte nella prospettiva d’una decisione rapida ed efficace, non attardata od, al limite, impedita dalla ricerca degli aspetti critici della decisione impugnata che la parte interessata abbia diffusamente illustrato ma non conclusivamente definito, resta esclusa ogni possibilita’ di sanatoria, essendo irrilevante la correzione tardiva di carenze tali da impedire all’atto di raggiungere lo scopo della norma, che e’ quello d’invocare ritualmente il giudizio di legittimita’ sulla questione controversa.

D’altra parte, poiche’ la sanzione dell’inammissibilita’ e’ prevista quale conseguenza dell’omessa formulazione dei quesiti e/o dell’omessa articolazione di un momento di sintesi che, come detto, deve circoscrivere puntualmente i limiti delle censure svolte ex art. 360 c.p.c., n. 5, un’integrazione tardiva del ricorso, effettuata nella memoria depositata ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 3, risulterebbe comunque priva d’effetti sananti, dacche’ la causa d’inammissibilita’ opera ab origine.

Il che rappresenta, d’altronde, un’applicazione del ripetutamele affermato principio per cui alle carenze riscontrate nel ricorso non possano supplire ne’ rimediare, in quanto non possono essere prese in considerazione indipendentemente dalla loro pertinenza e/o fondatezza o meno, le argomentazioni aggiuntive, nelle quali puo’ pur ravvisarsi maggiore approfondimento degli argomenti, sviluppate in fatto ed in diritto dai ricorrenti con le memorie difensive, prima ex art. 375 c.p.c. e poi ex art. 378 c.p.c., queste potendo essere utilizzate esclusivamente per illustrare e chiarire i motivi gia’ compiutamente svolti con il ricorso od a confutare le tesi avversarie, ma non per dedurre nuove censure, o sollevare nuove questioni salvo siano rilevabili anche d’ufficio ed in tal caso altresi’ solo ove gli elementi di giudizio gia’ risultino dagli atti ne’, soprattutto, per specificare od integrare od ampliare il contenuto dei motivi originari d’impugnazione i quali non fossero stati adeguatamente prospettati o sviluppati nel ricorso, diversamente violandosi il diritto di difesa della controparte in considerazione dell’esigenza per quest’ultima di valersi di un congruo termine per esercitare la facolta’ di replica (e pluribus, recentemente, Cass. SS.UU. 15.5.06 n. 11097, Cass. 29.3.06 n. 7237, magia Cass. 29.12.05 n. 28855 sino a Cass. SS.UU. 19.5.97 n. 4445 ed altre)”.

Il ricorso va, quindi, dichiarato inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

LA CORTE Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 1.000,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge in favore di ciascuno dei controricorrenti.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

 

 

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