Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11262 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. II, 20/05/2011, (ud. 06/04/2011, dep. 20/05/2011), n.11262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele – Presidente –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. MANNA Felice – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

P.G.B., rappresentato e difeso, in virtù di

procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. GRASSI Paolo ed

Emma Cotticelli, elettivamente domiciliato nello studio del primo in

Roma, Via Giuseppe Avezzana, n. 8;

– ricorrente –

contro

P.F., P.S. e P.

F.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Catania n. 1114

depositata il 10 novembre 2007.

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 6

aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l’Avv. Paolo Grassi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. – P.G.B. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Ragusa P.G.. Assumendo che il convenuto, proprietario di un fondo limitrofo, aveva occupato una porzione di terreno ubicato in (OMISSIS), contrada (OMISSIS), appartenente ad esso attore, ed aveva recintato il fondo di sua proprietà, impedendogli l’esercizio di una servitù di passaggio per accedere ad una cabina, dove era installata una motopompa, ed all’annessa vasca di raccolta delle acque irrigue, chiese la condanna del convenuto al rilascio della porzione di terreno abusivamente occupata, alla restituzione dei frutti ed al ristoro dei danni provocati dalla distruzione della condotta di distribuzione dell’acqua.

Il convenuto si costituì, resistendo.

Il Tribunale di Ragusa, in parziale accoglimento della domanda, condannò il convenuto a pagare a titolo di risarcimento del danno all’attore la somma di L. 737.401, oltre accessori, compensando le spese del giudizio.

2. – Con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 novembre 2007, la Corte d’appello di Catania ha accolto in parte il gravame, dichiarando che la striscia di terreno di mq. 477, individuata dai c.t.u. nelle loro relazioni, ubicata al confine tra la particella n. 15 e la particella n. 48, appartiene al P.G. B., ordinando agli eredi del defunto P.G. – P.F., S. e Fr. – di rilasciare detta porzione, ove da essi ancora detenuta. Determinato poi il risarcimento del danno in favore dell’attore in Euro 444,31, la Corte d’appello ha confermato nel resto la sentenza impugnata.

2.1. – Per quanto qui ancora rileva, la Corte territoriale:

con riguardo all’indennizzo per il mancato godimento della striscia di terreno abusivamente occupata dal convenuto, ha escluso che possa essere considerato tutto il periodo fino alla pronuncia del Tribunale, in quanto successivamente all’eliminazione della recinzione l’attore aveva avuto la possibilità di accedere nel tratto di terreno contestato ed il convenuto, dopo le iniziali contestazioni, aveva ammesso di avere sconfinato in buona fede;

mentre ha individuato l’errore del primo giudice nel fatto che l’indennizzo era stato calcolato per dodici annate agrarie anzichè per quattordici;

ha ritenuto contraddittoria la critica mossa alla c.t.u. con riguardo alla individuazione della linea di confine tra la particella del P.G.B. e quella del P., giacchè l’appellante, pur avendo contestato le risultanze peritali, non aveva poi indicato una linea di confine tra le due particelle alternativa a quella indicata dal consulente; – ha escluso la sussistenza di elementi per attribuire al convenuto la responsabilità della rottura della condotta e della mancata irrigazione del fondo dell’attore.

3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello propone ricorso il P.G.B., con atto notificato il 19 dicembre 2008, sulla base di due motivi.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

4. – Il Collegio ha deliberato di

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Il primo motivo denuncia insufficiente motivazione della sentenza impugnata (art. 360 cod. proc. civ., n. 5). Il c.t.u. – lamenta il ricorrente – non avrebbe individuato con precisione l’esatto confine e la Corte d’appello avrebbe emesso sentenza di riconoscimento del diritto di proprietà e di condanna al rilascio del fondo senza che il bene sia stato individuato con certezza, richiamando solo le risultanze processuali. Di qui il quesito “se può emettersi sentenza di riconoscimento di proprietà senza la propedeutica e precisa individuazione del bene oggetto di causa e se può ordinarsi la restituzione di un bene che non è stato individuato con certezza”.

1.1. – La censura è inammissibile.

La Corte d’appello ha accertato che la superficie abusivamente occupata dall’originario convenuto era di mq. 477 e, anche nel dispositivo, ha fatto riferimento – per la precisa individuazione di questa striscia di terreno, ubicata al confine tra la particella n. 15 e la particella n. 48 – alle relazioni depositate dai c.t.u. ing. O. e Dott. Pi..

Il ricorrente deduce che la c.t.u. non individuerebbe con precisione l’esatto confine tra le due proprietà; ma si tratta di una asserzione apodittica, non dimostrata attraverso la puntuale critica della soluzione adottata, e prospettata senza neppure la trascrizione delle pertinenti parti della relazione peritale che si assumono manchevoli od insufficienti nel profilo considerato.

2. – Sotto la rubrica “assoluta contraddittorietà della sentenza impugnata”, il secondo motivo pone il quesito “se il proprietario che non ha il possesso del proprio fondo può, in pendenza di giudizio, volto ad accertare, tra l’altro, l’avvenuto spossessamento, ed in mancanza di una pronuncia che riconosca il suo diritto di proprietà ed imponga al possessore di rilasciare il suo bene, agire liberamente come proprietario accedendo al proprio fondo, sfruttandolo e provvedendo alla manutenzione sia ordinaria che straordinaria o se, piuttosto, tale comportamento avrebbe costituito un illecito civilmente perseguibile”.

2.1. – Il motivo è infondato.

La Corte ha rigettato la domanda di risarcimento del danno per la mancata manutenzione dell’impianto idrico, per i mancati raccolti sulla striscia spossessata e per l’impossibilità di coltivazione dei rimanenti ettari di fondo irriguo, con una motivazione adeguata, priva di vizi logici e giuridici: evidenziando, alla luce della disposta c.t.u., che l’attore aveva la possibilità di accedere nel fondo limitrofo per provvedere all’eventuale manutenzione della condotta; sottolineando che – come riferito da alcuni testi – il terreno dell’attore era da lungo tempo in stato di abbandono.

Le critiche del ricorrente – oltre a risolversi nella prospettazione di una diversa valutazione del merito della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del giudice del merito – non tengono conto del fatto che il sindacato di legittimità ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5, è limitato al riscontro estrinseco della presenza di una congrua ed esaustiva motivazione che consenta di individuare le ragioni della decisione e l’iter argomentativo seguito nella sentenza impugnata.

Anche il quesito che correda il motivo è inidoneo, perchè non coglie affatto la ratio che è alla base del provvedimento impugnato, sicchè non è affatto chiaro come l’auspicata applicazione, ad opera della Corte, del principio enunciato dal ricorrente possa condurre ad una decisione di segno inverso rispetto a quella impugnata.

3. – Il ricorso è rigettato.

Nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 6 aprile 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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