Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11262 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11262

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

METRO ITALIA CASH AND CARRY S.P.A. – FILIALE DI VERONA (Società

incorporante la METRO SELF SERVICE ALL’INGROSSO ADIGE S.P.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in ROMA, PIAZZA DELLA LIBERTA’ 20, presso lo studio

dell’avvocato CAROLEO FRANCESCO, che lo rappresenta e difende

unitamente agli avvocati TULLIO TRANQUILLO, ALBE’ GIORGIO, giusta

mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati CORRERA

FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, MARITATO LELIO, giusta mandato in calce

al controricorso;

– controricorrente –

e contro

ESATRI ESAZIONI TRIBUTI S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 162/2006 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

depositata il 06/07/2006 r.g.n. 195/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito l’Avvocato ALBE’ GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Verona depositato il 31.05.2001 la Metro Italia Cash and Carry s.p.a. (già Metro Service all’Ingrosso Adige s.p.s.) proponeva opposizione alla cartella di pagamento notificata il 22.04.2001 con la quale il concessionario per la riscossione aveva intimato il pagamento all’Inps della complessiva somma di L. 765.823.375 (di cui L. 321.897.000 per contributi e L. 443.926.375 per sanzioni civili) sulla base del verbale ispettivo del 7.11.1997.

A sostegno dell’opposizione la società rilevava che il preteso credito era relativo a due inadempienze: a) la prima (n. 504), di L. 31.021.000 per contributi dovuti per il periodo da 1.11.1991 al 30.06.1997 e di L. 52.936.913 per somme aggiuntive calcolate alla data del 17.02.2000, era relativa al mancato assoggettamento a contribuzione delle somme corrisposte ai lavoratori a titolo di ferie non godute e ferie non retribuite; b) la seconda (n. 505), di L. 290.876.000 per contributi dovuti per il periodo aprile 1995/agosto 1998 e di L. 390.990.462 per somme aggiuntive, era costituita da differenze contributive dovute per il mancato versamento della contribuzione (aliquota del 2.44%) dovuta per il finanziamento dell’indennità di malattia.

La società deduceva ‘insussistenza dell’obbligazione contributiva relativa alla inadempienza sub a) in considerazione della natura risarcitoria e non retributiva di detta indennità. In ordine alla pretesa contributiva sub b) faceva presente che in data 8.2.2000 aveva versato all’Inps le somme pretese dall’Istituto per l’indennità di malattia e relative sanzioni. Sosteneva inoltre che la contribuzione non era dovuta in quanto l’aliquota non era stata versata perchè ai dipendenti in malattia, in forza di contratto aziendale, era stata assicurata l’intera retribuzione durante i periodi di assenza.

Nella resistenza dell’Inps il Tribunale di Verona con sentenza in data 15.11.2002, rigettava l’opposizione.

A seguito di impugnazione della società, la Corte di Appello di Venezia, con sentenza depositata il 6 luglio 2006, in parziale riforma della decisione di primo grado, condannava la società al pagamento delle sole somme dovute per l’inadempienza contributiva contestata a n. 504, rilevando l’avvenuto pagamento da parte dell’appellante delle somme richieste per l’inadempienza contestata a n. 505.

Per la cassazione di tale sentenza la società ha proposto ricorso con due motivi, ciascuno articolato su più censure, ed ha depositato memoria. L’Inps ha resistito con controricorso. La Esatri s.p.a. non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, in ordine ai contributi dovuti per l’indennità di malattia, la ricorrente denuncia violazione della L. 11 gennaio 1943, n. 138, art. 6 comma 2 e art. 9, sulla base delle seguenti considerazioni. Premesso che in base al contratto collettivo aziendale del 12.10.1993 la società si è impegnata a corrispondere a tutti i dipendenti, in caso di malattia non professionale e non dipendente da infortunio sul lavoro, l’intera retribuzione, la società rileva che la L. n. 138 del 1943, art. 6, comma 2, non abrogato dalla successiva legislazione, dispone che l’indennità non è dovuta quando il trattamento economico di malattia è corrisposto per legge o per contratto collettivo dal datore di lavoro in misura pari o superiore a quella fissata. Ne consegue che poichè l’Inps è esonerato dal pagamento dell’indennità di malattia, in forza del richiamato contratto collettivo aziendale, il datore di lavoro è sollevato dall’obbligo di pagamento dei contributi relativi a tale indennità.

In subordine la società solleva questione di illegittimità costituzionale della L. n. 138 del 1943, artt. 6 e 9, nell’interpretazione datane dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 10232/2003, per contrasto con gli artt. 3, 41 e 53 Cost..

Con il secondo motivo, in ordine all’indennità sostitutiva per ferie non godute, la ricorrente denuncia violazione della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, nella formulazione precedente il D.Lgs. 2 settembre 1997, n. 314; la società sostiene che non essendo consentita la scelta tra la concessione delle ferie e la corresponsione del compenso sostitutivo, dato il carattere irrinunciabile del diritto alle ferie, l’indennità sostitutiva rappresenta un emolumento risarcitorio derivante dall’inadempimento del datore di lavoro, e non un compenso di natura retributiva, con la conseguenza che le somme corrisposte a tale titolo dal datore di lavoro ai propri dipendenti non sono assoggettabili a contribuzione previdenziale.

Con una ulteriore censura compresa nel secondo motivo di ricorso la società denuncia violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18 e sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice di appello, per i crediti contributivi “in essere” e “accertati al 30 settembre 2000” la nuova e più favorevole disciplina introdotta dalla norma citata si applica anche ai fatti avvenuti sotto il vigore della vecchia legge e accertati al 30 settembre 2000, ma non ancora esauriti, come quelli per i quali pende controversia avanti all’autorità giudiziaria.

Il primo motivo di ricorso è inammissibile.

Come risulta dal ricorso per cassazione (pag. 3) la società, nell’opporsi alla cartella esattoriale, ha dedotto quale prima ragione di opposizione “l’insussistenza del credito vantato dall’ente previdenziale in ordine ai contributi dovuti per l’indennità di malattia per il periodo 1^ aprile 1995/31 agosto 1997 (sia con riferimento all’assenza dei requisiti previsti dalla legge per la sussistenza dell’obbligo contributivo, sia in relazione alla circostanza dell’avvenuto pagamento dell’importo richiesto per contributi e per sanzioni)”. La Corte di Appello di Venezia ha accolto sul punto l’opposizione ed ha riformato la decisione di primo grado, dando atto dell’intervenuto pagamento estintivo dell’inadempienza contributiva n. 505. La società quindi non aveva più interesse ad impugnare detta sentenza nella parte in questione, che aveva accolto in modo pieno la prima delle ragioni poste a fondamento dell’opposizione.

La sentenza di appello ha così definito la vertenza di cui al n. 505 della cartella esattoriale ed ha reso pertanto irrilevante lo ius superveniens rappresentato dal D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 20, comma 1, convertito dalla L. 6 agosto 2008 n. 133, invocato dalla società nella memoria ex art. 378 c.p.c..

Il primo profilo del secondo motivo di ricorso è infondato.

La giurisprudenza di questa Corte ha precisato che l’indennità di ferie non godute è assoggettabile a contribuzione previdenziale a norma della L. 30 aprile 1969, n. 153, art. 12, sia perchè essendo in rapporto di corrispettività con le prestazioni lavorative effettuate nel periodo di tempo che avrebbe dovuto essere dedicato al riposo (in maniera simile al compenso relativo al lavoro straordinario), ha un carattere retributivo e gode della garanzia prestata dall’art. 2126 c.c., a favore delle prestazioni effettuate con violazione di norme poste a tutela del lavoratore, sia perchè un eventuale suo concorrente profilo risarcitorio non escluderebbe la riconducibilità all’ampia nozione di retribuzione imponibile delineata nella L. n. 153 del 1969, art. 12, costituendo essa comunque un’attribuzione patrimoniale riconosciuta a favore del lavoratore in dipendenza del rapporto di lavoro e non essendo ricompresa nell’elencazione tassativa delle erogazioni escluse dalla contribuzione (cfr. Cass. n. 4839/1998, n. 6607/2004, n. 16761/2005).

A diverse conclusioni nella specie non è possibile pervenire sulla scorta del sopravvenuto disposto del D.Lgs. 8 aprile 2003, n. 66, art. 10, come modificato dal D.Lgs. 19 luglio 2004 n. 213, che, dando attuazione alla Direttiva CE n. 93/104, ha disposto che il trattamento per ferie non godute non può essere più sostituito da una indennità; nè sulla scorta della natura retroattiva della norma, affermata dalla Corte di Giustizia CE con decisione C-124/05 del 6 aprile 2006.

Questa Corte ha già avuto modo di esaminare il problema ed ha affermato che il carattere risarcitorio dell’erogazione corrisposta per compensare le ferie non godute dal dipendente non è di ostacolo all’assoggettamento a contribuzione della predetta erogazione, trattandosi in ogni caso di compenso corrisposto in dipendenza del rapporto di lavoro ed in relazione a una prestazione lavorativa, non dovuta, ma comunque effettuata dal lavoratore, sicchè essa è comunque riconducibile nell’ambito di applicazione della L. n. 153 del 1969, art. 12 (Vedi Cass. n. 19023/2006).

Il Collegio non ha motivo di discostarsi dalla suddetta giurisprudenza, condividendone le argomentate ragioni che la sorreggono.

Parimenti infondato è il secondo profilo di censura del secondo motivo di ricorso.

E’ stato infatti affermato che il disposto della L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 18, non ha efficacia retroattiva e che il riferimento ai “crediti in essere ed accertati al 30 settembre 2000” esclude che vi sia stata deroga al principio di irretroattività quanto all’obbligo di immediato pagamento delle sanzioni, che restano dovute nella misura e secondo le modalità fissate dalle disposizioni di legge che in precedenza regolavano la materia, limitandosi la norma a prevedere per i suddetti crediti un meccanismo in base al quale la differenza tra quanto dovuto (secondo le leggi previgenti) e quanto calcolato ai sensi dei precedenti commi dell’art. 116 cit.

costituisce un credito contributivo da porre a conguaglio successivamente (Cass. n. 19334/2003, n. 10631/2003, n. 15136/2004, n. 23615/2004).

La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tale giurisprudenza, alla quale il Collegio intende dare continuità, sicchè la censura non è meritevole di accoglimento.

Per tutte le considerazioni sopra svolte il ricorso, dunque, deve essere respinto.

La complessità delle materie trattate giustifica la compensazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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