Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11261 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2010, (ud. 21/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11261

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – rel. Consigliere –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 33704/2006 proposto da:

SOMAC S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UBALDO DEGLI UBALDI 272

(STUDIO SELCI), presso lo studio dell’avvocato UMBERTO ILARDO,

rappresentata e difesa dall’avvocato LO GIUDICE VINCENZO, giusta

mandato a in margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del suo Presidente e legale rappresentante pro tempore avv.to

S.G.P., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. –

Società di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura

Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati COSSU

BENEDETTA, CORRERA FABRIZIO, CORETTI ANTONIETTA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1224/2005 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 09/12/2005 r.g.n 1286/03;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/04/2010 dal Consigliere Dott. GIANCARLO D’AGOSTINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI Pietro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 21.5.2002 la Somac s.r.l. chiedeva al Tribunale di Agrigento di accertare che l’avviso bonario del 18.04.2002 – con il quale l’Inps aveva chiesto il pagamento della somma di L. 47.321.000 per contributi non versati per tre lavoratori, nonchè il pagamento della somma di L. 28.832.954 per sanzioni, sulla base del verbale ispettivo n. 517 del 3.08.2001 – era nullo ed illegittimo per non avere l’Istituto considerato i versamenti effettuati il 7.11.2001 ed il 3.12.2001, ammontanti a L. 14.541.000.

L’Inps, in proprio e quale rappresentante della SCCI, si costituiva e resisteva chiedendo in via riconvenzionale la condanna della ricorrente al pagamento dei contributi e delle sanzioni dovuti, detratta la somma di Euro 7.569,71 già versata.

Il Tribunale, con sentenza del 3.06.2003, dichiarava il difetto di interesse ad agire della soc. Somac contro l’avviso bonario e in accoglimento della domanda riconvenzionale dell’Inps condannava la società al pagamento delle somme indicate nel verbale di accertamento del 3.08.2001, maggiorate dei relativi oneri accessori, detratto l’acconto già versato di Euro 7.546,71.

L’appello proposto dalla Somac s.r.l. veniva respinto dalla Corte di Appello di Palermo con sentenza depositata il 9.12.2005.

Per quanto qui ancora interessa la Corte territoriale osservava: a) che l’appellante non aveva ragione di dolersi del rigetto del ricorso per difetto di interesse ad impugnare l’avviso bonario, in quanto la sussistenza del debito contributivo era stata comunque accertata dal Tribunale, nel contraddittorio delle parti, in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dall’Inps; b) che la società nel ricorso introduttivo non aveva contestato la pretesa contributiva di cui al verbale ispettivo del 3.08.2001, essendosi limitata a dedurre l’omesso computo dell’acconto e l’errata determinazione delle sanzioni, nonchè a chiedere l’accertamento del proprio diritto al pagamento rateizzato; di conseguenza la non contestazione del debito aveva reso lo stesso non controverso, mentre l’acconto versato era stato computato e dedotto dal debito complessivo; c) che l’omessa denuncia all’Inps di lavoratori dipendenti, benchè registrati nei libri paga e matricola, configurava l’ipotesi della evasione contributiva di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 8, lett. b), e non la meno grave figura della omissione contributiva di cui alla lettera a) della norma predetta; d) che la rateizzazione del debito ai sensi della L. n. 388 del 2000, art. 116, non era una conseguenza automatica della domanda presentata dall’interessato, ma era subordinata ad un provvedimento di ammissione da parte dell’Inps a seguito della verifica della sussistenza dei requisiti richiesti dalla vigente disciplina.

Per la cassazione di tale sentenza la Somac s.r.l. ha proposto ricorso sostenuto da due motivi. L’Inps ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia violazione degli artt. 112, 434 e 437 c.p.c., nonchè violazione della L. n. 388 del 2000, art. 116, e censura la sentenza impugnata per aver affermato che la dichiarazione di difetto di interesse ad impugnare l’avviso bonario, benchè errata, fosse comunque irrilevante. In realtà la società, che aveva fatto lo domanda di rateizzazione con lettera raccomandata del 25.5.2002 (respinta dall’Inps in data 13.6.2002) e nuovamente formulato la domanda di rateizzazione con il ricorso introduttivo, aveva interesse a far accertare l’erroneità dell’avviso bonario per la mancata detrazione delle somme già versate in acconto, nonchè a far accertare il suo diritto alla rateizzazione del solo debito residuo, detratto l’acconto versato.

La società censura altresì la sentenza impugnata per aver ritenuto provato il debito contributivo di cui al verbale ispettivo del 3.08.2001, benchè l’Inps non avesse prodotto alcun documento idoneo a provare il suo credito.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia violazione della L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, e sostiene che nel caso di specie, in cui i lavoratori erano stati regolarmente registrati nei libri paga e matricola ed i libri predetti esibiti agli ispettori, si verserebbe nell’ipotesi meno grave della “omissione contributiva” di cui alla lettera a) della norma citata, essendo palese che mancava la volontà di occultare i rapporti di lavoro.

I vari profili di censura del primo motivo di ricorso sono infondati atteso che:

a) i giudici di merito, a seguito delle contrapposte domande delle parti, hanno preso in esame il problema della sussistenza del credito contributivo vantato dall’Inps e indicato nell’avviso bonario impugnato, di modo che, di fatto, la pronuncia di difetto di interesse ad impugnare l’avviso bonario è rimasta del tutto irrilevante;

b) i giudici di merito hanno ritenuto provato il predetto credito contributivo sul rilievo che la società, con il ricorso introduttivo, non ha affatto contestato la pretesa dell’Inps di cui al verbale ispettivo del 3.8.2001 – limitandosi a lamentare l’omesso computo dell’acconto versato, a contestare il criterio di determinazione delle sanzioni ed a sostenere il proprio diritto al pagamento rateizzato – sicchè la non contestazione del debito ha reso lo stesso non controverso e non bisognoso di prova; tale argomentazione del giudice di appello non è stata in alcun modo censurata dal ricorrente;

c) il giudice di appello ha affermato che il regime di rateizzazione non è una conseguenza automatica della domanda presentata dall’interessato, ma segue ad un provvedimento di ammissione da parte dell’Istituto subordinato ad una valutazione discrezionale circa la sussistenza dei requisiti richiesti dalla legge, mentre nel caso di specie la società non aveva neppure allegato i requisiti in relazione ai quali riteneva di poter essere ammessa al beneficio della rateizzazione; anche questa affermazione della Corte territoriale non ha formato oggetto di alcuna specifica censura da parte della ricorrente.

Parimenti infondato è il secondo motivo di ricorso.

L’omessa denuncia all’Inps di lavoratori, benchè registrati nei libri paga e matricola, configura l’ipotesi di “evasione contributiva” di cui alla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 116, comma 8, lett. B, e non la meno grave fattispecie di “omissione contributiva” di cui alla lettera A) della stessa norma, limitata alle sole ipotesi in cui il datore di lavoro, pur avendo provveduto a tutte le denunce e registrazioni obbligatorie, ometta di pagare i contributi. L’omessa denuncia dei lavoratori all’Inps, infatti, fa presumere l’esistenza della volontà del datore di lavoro di occultare i rapporti di lavoro al fine di non versare i contributi, restando così a carico del perseguito l’onere di provare la sua buona fede, onere nella specie non assolto dalla ricorrente. A tal fine non è certo sufficiente la registrazione dei lavoratori nei libri paga e matricola, documenti che restano nella disponibilità del datore di lavoro e che sono controllati dall’Istituto previdenziale solo in occasione di ispezioni, come è provato dalla stessa vicenda in esame, in cui il datore di lavoro ha omesso di versare i contributi dovuti benchè avesse registrato i dipendenti nei predetti libri.

In definitiva, il ricorso deve esser respinto con conseguente condanna della ricorrente al pagamento in favore dell’Inps delle spese del giudizio di cassazione, come liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 10,00, per esborsi ed in Euro duemila per onorari, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 21 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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