Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11259 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. II, 20/05/2011, (ud. 15/03/2011, dep. 20/05/2011), n.11259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.M.R. (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e

difesa, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall’Avv.

Centola Teodomiro ed elettivamente domiciliato presso studio

dell’Avv. RICCI Gligliola Mazza, in Roma, via Pietralata, n. 320;

– ricorrente –

contro

M.A.M. (C.F.: (OMISSIS)), G.

G. (C.F.: (OMISSIS)) e G.A.P.C.

(C.F.: (OMISSIS)), rappresentati e difesi dall’Avv.

Menichella Lamerico, in virtù di procura speciale a margine del

controricorso, ed elettivamente domiciliati presso lo studio

dell’Avv. Grazia Pirisi Camerlengo, in Roma, alla v. Nicola

Ricciotti, n. 11;

– controricorrenti –

Avverso la sentenza della Corte di appello di Bari n. 363 del 2005,

depositata il 14 aprile 2005;

Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 15

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. CARESTIA Antonietta, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La signora S.M.R., con citazione notificata il 14 gennaio 1994, esponeva che: – la stessa, coniugata e giudizialmente separata dal marito M.M., dopo la morte di quest’ultimo (avvenuta il (OMISSIS)), nel corso dell’inventario dei beni ereditari del defunto coniuge, aveva scoperto che la coerede A. M.M. si era dichiarata creditrice del “de cuius” (suo germano) per l’importo di L. 100.000.000, in virtù di decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del tribunale di Foggia, per la somma di L. 186.285.000, a favore di G.L., marito della stessa M.A.M. (anch’egli successivamente deceduto), che trovava fondamento in un presunto mutuo effettuato dal G. in favore dei coniugi M. – S., nonchè in alcune cambiali di eguale importo rilasciate dal M.M. allo stesso G.; – che, sulla scorta di tale titolo esecutivo era stata iscritta ipoteca per L. 200.000.000 su un immobile di cui la S. era comproprietaria, in parti uguali, con il marito M. M.; – che sia il rilascio delle cambiali che l’emissione del provvedimento monitorio erano stati frutto di collusione tra il M.M. e G.L.; tanto premesso conveniva dinanzi al Tribunale di Foggia M.A.M. nonchè G. G. e G.A. (quali eredi di G.L.) esercitando l’azione di simulazione e invocando la dichiarazione di inefficacia del decreto ingiuntivo e degli effetti cambiari posti a fondamento dello stesso. Nella costituzione dei convenuti, il Tribunale adito, con sentenza del 26 settembre 2002, respingeva la proposta domanda per difetto di prova. Interposto appello da parte della S.M. R., la Corte di appello di Bari, nella resistenza degli appellati (che proponevano anche appello incidentale), con sentenza n. 363 del 2005 (pubblicata il 14 aprile 2005), rigettava il gravame e dichiarava assorbite le questioni sollevate con l’appello incidentale, condannando l’appellante principale alla rifusione delle spese del grado.

A sostegno dell’adottata decisione, la Corte territoriale rilevava, in via pregiudiziale, che una volta emesso un decreto ingiuntivo, non sarebbe stato possibile chiedere l’inefficacia di tale provvedimento quale conseguenza dell’accertamento giudiziale della simulazione del negozio posto a base della richiesta monitoria, essendo necessario proporre l’opposizione di terzo revocatoria avverso il medesimo provvedimento nelle forme e nei termini di legge. Pertanto, in virtù di rilievo d’ufficio ritenuto possibile in appello, accertava che la domanda, così come proposta, era da qualificarsi improponibile, ravvisando, in ogni caso, l’infondatezza dell’esperita azione siccome non supportata da idonea prova.

Avverso la sentenza di appello (notificata in data 8 giugno 2005) ha proposto ricorso per cassazione (notificato il 16 settembre 2005 e depositato il 4 ottobre 2005) S.M.R., basato su tre motivi, riguardo al quale hanno resistito con controricorso tutti e tre gli intimati. Entrambi i difensori hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato – con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – la supposta violazione del principio “tantum devolutum quantum appellatum” per avere la Corte di appello territoriale rilevato d’ufficio l’inammissibilità della domanda proposta dalla ricorrente qualificata come opposizione revocatoria di terzo (in sostituzione della dedotta azione di simulazione in primo grado con correlata richiesta di inefficacia del decreto ingiuntivo e degli effetti cambiari richiamati in narrativa), senza che su tale questione si fosse svolto il contraddittorio nel giudizio di prime cure con la conseguente illegittimità della pronunciata decadenza della ricorrente (attrice in primo grado) dalle istanze probatorie addotte a sostegno dell’esercitata azione simulatoria.

1.1. Il motivo è infondato e deve, pertanto, essere rigettato.

Secondo la prospettazione della ricorrente la Corte di appello barese sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione per essersi pronunciata, in relazione alla domanda così come proposta originariamente in giudizio, oltre i limiti della pretesa e delle eccezioni fatte valere dalle parti e, comunque, su questioni non formanti oggetto del giudizio di prima istanza e da ritenersi non rilevabili d’ufficio, pronunciandosi su una diversa domanda fondata su altro titolo.

La censura non coglie nel segno poichè la Corte barese, a fonte di una domanda relativa all’accertamento di una simulazione di un contratto di mutuo assistito dal rilascio di cambiali con conseguente richiesta di inefficacia del decreto monitorio concesso sulla base di tali titoli ha, in effetti, senza immutare i fatti e senza modificare la “causa petendi” e il “petitum” della pretesa dedotta in giudizio, provveduto ammissibilmente ad una diversa qualificazione giuridica della domanda, pervenendo ad inquadrarla come opposizione revocatoria di terzo. Così ricostruendo l’azione effettivamente proposta dalla ricorrente e protesa ad ottenere la declaratoria di inefficacia di un provvedimento giurisdizionale quale effetto della presunta collusione tra il M.M. e G.L., la Corte territoriale ha correttamente incasellato la formulata azione nello schema previsto dall’art. 404 c.p.c., comma 2, richiamandosi adeguatamente ad uno specifico precedente di questa Corte (cfr. Cass. 26 marzo 1983, n. 2151), alla stregua del quale il creditore che voglia far venir meno l’efficacia di un decreto ingiuntivo ottenuto da un terzo contro il proprio debitore e della relativa iscrizione ipotecaria, per asserita simulazione del negozio e delle cambiali sulla cui base è stato emesso il decreto, non può chiedere tale inefficacia come conseguenza dell’accertamento giudiziale della simulazione del negozio, ma è tenuto a proporre l’opposizione di terzo revocatoria avverso il decreto ingiuntivo, nei modi e nei termini stabiliti dagli artt. 656, 404 (comma 2), 405, 325 e 326 c.p.c., che subordinano, tra l’altro, l’ammissibilità della opposizione di terzo revocatoria, all’osservanza di termini perentosi che decorrono dal giorno della scoperta del dolo e della collusione in danno del terzo e della relativa prova (la cui data deve essere, a tal fine, indicata nell’atto introduttivo del relativo giudizio, poichè la sua omissione ne sarebbe causa di nullità ai sensi dell’art. 156 c.p.c., comma 2: su quest’ultimo aspetto v., anche, Cass. 15 ottobre 1997, n. 10116). Avendo proceduto ad un’ammissibile riqualificazione d ufficio dell’azione effettivamente dedotta in causa il giudice di appello non è, conseguentemente, incorso in alcuna violazione dell’art. 346 c.p.c., poichè il principio stabilito da questa norma (decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte in appello) non si applica (cfr. Cass. 20 marzo 2001, n. 4009; Cass. 12 novembre 2004, n. 21506), appunto, con riferimento alle questioni rilevabili d’ufficio e va coordinato con il sistema delle preclusioni e con l’art. 342 c.p.c. (circa la specificità dei motivi d’impugnazione), in virtù dei quali la libera iniziativa del giudice con riguardo alle questioni rilevabili d’ufficio trova un limite solo nel caso in cui una di tali questioni sia stata espressamente decisa nel precedente grado di giudizio ed il relativo punto non abbia formato oggetto d’impugnazione ovvero, nel caso di parte praticamente vittoriosa, non sia stato comunque riproposto al giudice di appello.

E, nella specie, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, considerato che la questione riguardante la proponibilità della domanda esattamente qualificata non era stata nè discussa nè decisa in primo grado, ne era conseguito che non sussisteva alcun limite all’esercizio del potere di rilievo officioso in sede di gravame.

Con riferimento al ragionamento della Corte di secondo grado in ordine alla individuazione del termine utile dal quale far decorrere la proposizione della domanda di opposizione revocatoria del terzo (coincidente con quello di trenta giorni dalla data della scoperta dell’assunta collusione), il collegio rileva che la ricorrente non ha dedotto un specifico vizio di motivazione in proposito e, in ogni caso, la sentenza impugnata è esente da vizi logici e giuridici.

Infatti, la Corte barese, in virtù di un congruo percorso argomentativo, ha evidenziato che era stata la stessa ricorrente (quale attrice in via originaria) ad aver specificato nell’atto introduttivo iniziale (come, del resto, prescritto dall’art. 405 c.p.c., comma 2) di aver scoperto l’esistenza del decreto ingiuntivo (posto a fondamento dell’ipoteca iscritta sull’immobile di cui la stessa S. era comproprietario con il coniuge, poi deceduto) nel corso dell’inventario redatto nella procedura di apposizione dei sigilli sul beni ereditari, il quale era stato ultimato il 4 dicembre 1993 (per come risultante dalla stessa dichiarazione di accettazione con beneficio di inventario effettuata dalla medesima S. il 12 dicembre 1993), con la conseguenza che, all’atto della formulazione dell’opposizione revocatoria di terzo (notificata il 14 gennaio 1994), il termine di trenta giorni per la sua proposizione era già decorso (con relativa decadenza dal relativo diritto, in relazione al combinato disposto dell’art. 656 c.p.c., dell’art. 404 c.p.c., comma 2, dell’art. 325 c.p.c., comma 1, e dell’art. 326 c.p.c., comma 1).

2. Con il secondo motivo la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata – avuto riguardo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, – per violazione o falsa applicazione di norme di diritto, sostenendo che la diversa qualificazione dell’azione e la declaratoria di decadenza dalla prova testimoniale rappresentavano, di per sè, errori insanabili della sentenza impugnata.

2.1. Il motivo, così come formulato, appare inammissibile e, comunque, la valutazione dello stesso è superata dalla ravvisata improponibilità della domanda ricondotta correttamente nell’alveo di quella prevista dall’art. 404 c.p.c., comma 2. La ricorrente, infatti, nella prospettazione del motivo in discorso, non individua specificamente quali norme abbia ritenuto violate, così incorrendo nell’inosservanza del requisito, richiesto a pena di inammissibilità, dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4). Infatti, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel ricorso per cassazione, il vizio della violazione e falsa applicazione della legge di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, giusta il disposto di cui al citato art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, deve essere, sotto sanzione di inammissibilità, dedotto mediante la specifica indicazione delle norme giuridiche e delle correlate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione. In ogni caso, ritenuta l’improponibilità della domanda ex art. 404 c.p.c., comma 2, l’esame della questione relativa alla ritenuta decadenza dalla prova (in virtù della mancata citazione dei testi per l’udienza del 15 marzo 2000) era divenuto ultroneo. Peraltro, la Corte territoriale ha sufficientemente motivato anche sull’inutilità del suo esperimento, avendo stabilito – con valutazione di merito sottratta al sindacato di legittimità, siccome supportata da logica ed adeguata motivazione – che la data di ultimazione dei lavori dell’immobile (per la cui costruzione era stato concesso il mutuo dedotto in giudizio) era ricostruibile (pervenendosi alla conclusione che furono terminati nel gennaio 1991) sulla scorta di documentazione ed accertamenti della P.A. basati sulle ispezioni “in loco” nonchè in base alle stesse dichiarazioni degli interessati, oltre che di apposito attestato del Sindaco ritualmente prodotto in appello, non applicandosi il regime preclusivo poi introdotto con il novellato art. 345 c.p.c. (non estensibile alle controversie iniziate prima del 30 aprile 1995).

3. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto l’illegittimità della sentenza impugnata per manifesta contraddittorietà ed illogicità della sua motivazione (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), in ordine alla ritenuta irrilevanza o, comunque, inidoneità della documentazione relativa al suddetto riscontro probatorio circa l’epoca di ultimazione dell’indicato immobile e alla mancata possibilità di articolare una prova contraria.

3.1. Anche questo motivo è infondato.

Al di là della circostanza che, nella prospettazione di questo motivo, la ricorrente non ha posto riferimento, in modo specifico, alla decisività del fatto controverso, questo elemento è, di per sè, comunque da escludere perchè l’articolazione della doglianza è incentrata su un aspetto ormai superato dalla ritenuta inconfigurabilità dell’azione di simulazione e dalla rilevata improponibilità dell’azione prevista dal combinato disposto dell’art. 656 c.p.c. e dell’art. 404 c.p.c., comma 2, considerandosi, in ogni caso, come la Corte territoriale, nell’esplicazione del suo libero convincimento adeguatamente e logicamente motivato (nei sensi già riportati nella risposta al secondo motivo), abbia sufficientemente spiegato in base a quali elementi, qualificati idonei, la prova orale sarebbe stata superflua.

4. In definitiva, il ricorso deve essere integralmente rigettato, con la conseguente condanna della ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dei contro ricorrenti, che si liquidano nella misura di cui in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei contro ricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.600,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda civile, il 15 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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