Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11259 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.09/05/2017),  n. 11259

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23839/014 proposto da:

FATA S.R.L., (P.I. (OMISSIS)), in persona dell’Amministratore Unico e

legale rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

GIOVANNI NICOTERA 29, presso lo studio dell’avvocato MARIA DONATA

TORTORICI, che la rappresenta e difende giusta procura a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, in

proprio e quale procuratore speciale della SOCIETA’ DI

CARTOLARIZZAZIONE DEI CREDITI I.N.P.S. (S.C.C.I.) S.P.A.,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la

sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso

unitamente e disgiuntamente dagli avvocati ANTONINO SGROI, CARLA

D’ALOISIO, GIUSEPPE MATANO, LELIO MARITATO ed EMANUELE DE ROSE,

giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1187/2013 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 3/10/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata dell’8/3/2017 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

– con l’indicata sentenza pubblicata, la Corte di appello di Catanzaro, in riforma della decisione del Tribunale di Cosenza, rigettava l’opposizione proposta dalla FATA s.r.l. avverso la cartella esattoriale con la quale l’I.N.P.S. aveva richiesto il pagamento di contributi per gli anni 2004-2005 e relative sanzioni. Riteneva la Corte territoriale che la pretesa contributiva fosse fondata sulle risultanze delle denunce mensili di mano d’opera (c.d. DM10) trasmesse dallo stesso datore di lavoro e, quanto alle sanzioni, che le somme iscritte a ruolo fossero di gran lunga inferiori al limite massimo del 40% di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 4, lett. a);

– per la cassazione di tale decisione ricorre la Fata s.r.l. affidando l’impugnazione a due motivi;

– l’I.N.P.S., in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.p.A., resiste con controricorso;

– quitalia è rimasta solo intimata;

– la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in Camera di consiglio non partecipata;

– non sono state depositate memorie;

– il Collegio ha deliberato di adottare una motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

– con il primo motivo la ricorrente denuncia erronea e contraddittoria motivazione, violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., n. 3 e dell’art. 437 c.p.c., comma 2, lamentando l’esercizio dei poteri d’ufficio (con l’acquisizione dei modd. DM 10) in una ipotesi in cui la parte onerata della prova (e cioè l’I.N.P.S.) era incorsa nella decadenza;

– il motivo è inammissibile nella parte in cui, prospettando un vizio motivazionale suppone come ancora esistente il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza, essendo invece oggi denunciabile, in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, soltanto l’omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti (Cass., sez. un., n. 8053/2014, n. 8054/2014);

– per il resto il motivo è infondato;

– nel rito del lavoro e, in particolare, nella materia della previdenza e assistenza, caratterizzata dall’esigenza di contemperare il principio dispositivo con quello della ricerca della verità materiale, allorchè le risultanze di causa offrono significativi dati di indagine, occorre che il giudice, anche in grado di appello, eò art. 437 c.p.c., ove reputi insufficienti le prove già acquisite, eserciti il potere – dovere di provvedere di ufficio agli atti istruttori sollecitati da tale materiale probatorio e idonei a superare l’incertezza sui fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati nell’atto introduttivo; nè all’ammissione d’ufficio delle prove è di ostacolo il verificarsi di preclusioni o decadenze in danno delle parti interessate, atteso che il potere d’ufficio è diretto a vincere i dubbi residuati dalle risultanze istruttorie, intese come complessivo materiale probatorio (anche documentale) correttamente acquisito agli atti del giudizio di primo grado, con la conseguenza che, in tal caso, non si pone, propriamente, alcuna questione di preclusione o decadenza processuale a carico della parte, essendo la prova “nuova”, disposta d’ufficio, solo l’approfondimento, ritenuto indispensabile, di elementi probatori già obiettivamente presenti nella realtà del processo (cfr. Cass. n. 2379/2007; Cass. n. 18924/2012; Cass. n. 28021/2013);

– a tali principi si è attenuta la Corte di appello che ha disposto l’acquisizione d’ufficio dei DM10 trasmessi dalla società in via telematica rilevando che gli elementi già presenti nel processo e così quelli evincibili dagli estratti del sistema informatico prodotti dall’I.N.P.S., contenenti una sintesi di tali DM10, erano suscettibili di approfondimento;

– con il secondo motivo la società deduce omessa e contraddittoria motivazione nonchè la violazione della L. n. 388 del 2000;

– il motivo, con riguardo al denunciato vizio motivazionale, è inammissibile per quanto evidenziato al punto che precede;

– per il resto, il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza e per inconferenza rispetto al decisum;

– ed infatti la ricorrente, a fronte di una valutazione della Corte territoriale secondo la quale le somme iscritte a ruolo, comprensive delle sanzioni, erano di gran lunga inferiori al limite massimo del 40% di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 116, comma 4, lett. a), non ha offerto argomenti nè specificato elementi per ritenere erronea la ricostruzione del regime sanzionatorio applicato per pervenire alle suddette conclusioni;

– neppure è stato chiarito in quali termini sarebbe stata commessa la denunciata violazione di legge nè emerge che la questione del versamento di contributi connesso alla asserita ritardata erogazione di contributi e finanziamenti pubblici previsti per legge o convenzione (che non risulta specificamente affrontata nella decisione impugnata) sia stata mai sottoposta al giudice di merito;

– peraltro non si evince la sussistenza di una effettiva relazione causale tra l’asserita ritardata erogazione e l’omissione nel versamento di contributi;

– ricorre con ogni evidenza il presupposto dell’art. 375 c.p.c., n. 5, per la definizione camerale del processo;

– in conclusione la proposta va condivisa e il ricorso va rigettato;

– la regolamentazione delle spese nei confronti della parte costituita segue la soccombenza;

– va dato atto dell’applicabilità del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna la società ricorrente al pagamento, in favore dell’I.N.P.S., delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 2.000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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