Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11258 del 31/05/2016
Civile Sent. Sez. 1 Num. 11258 Anno 2016
Presidente: SALVAGO SALVATORE
Relatore: LAMORGESE ANTONIO PIETRO
Od. OB/03/2016
SENTENZA
PU
sul ricorso 21285-2013 proposto da:
COMUNE DI CARLENTINI (c.f. 00192920890), in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COSSERIA 2, presso l’avvocato FRANCESCA
BUCCELLATO (C/0 STUDIO LEG. AIELLO-PASTORE-AMERICO),
Data pubblicazione: 31/05/2016
rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO VILONA,
2016
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
526
contro
EREDI PATERNO’ DEL TOSCANO GUGLIELMO, COOPERATIVA
PIANO DELL’AQUILA A R.L. IN LIQUIDAZIONE COATTA
1
AMMINISTRATIVA, ESPI – COOPERATIVA EDILE STRADALE
PORTUALE ITALIANA A R.L., MAGNO ELISA, PATERNO’ DEL
TOSCANO ANNALISA, PATERNO’ DEL TOSCANO ANTONINO
ALFREDO;
–
intimati
–
MAGNO ELISA (C.F. MGNLSE35S63F499W), PATERNO’ DEL
TOSCANO ANTONINO ALFREDO (C.F. PTRNNN58ED2F499Z),
PATERNO’ DEL TOSCANO ANNALISA (C.F. PTRNLS59T47F499K),
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GERMANICO 66,
presso l’avvocato FRANCESCO CONSOLI XIBILIA, che li
rappresenta e difende, giusta procura a margine del
controricorso e ricorso incidentale;
controricorrenti
0
ricorrenti incidentali –
contro
COMUNE DI CARLENTINI (c.f. 00192920890), in persona
del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA COSSERIA 2, presso l’avvocato FRANCESCA
EUCCELLATO (C/0 STUDIO LEG. AIELLO-PASTORE-AMERICO),
rappresentato e difeso dall’avvocato MAURIZIO VILONA,
Nonché da:
giusta procura a margine del ricorso principale;
controricorrente al ricorso incidentale
–
contro
COOPERATIVA PIANO DELL’AQUILA A R.L. IN LIQUIDAZIONE
COATTA AMMINISTRATIVA, ESPI – COOPERATIVA EDILE
STRADALE PORTUALE ITALIANA A R.L.;
2
- intimate
–
avverso la sentenza n. 1063/2012 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 28/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 08/03/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO
udito, per il ricorrente, l’Avvocato MAURIZIO VILONA
che ha chiesto raccoglimento del ricorso principale,
il rigetto dell’incidentale;
udito,
per
i
controricorrenti
e
ricorrenti
incidentali, l’Avvocato FRANCESCO CONSOLI XIBILIA che
ha chiesto il rigetto del ricorso principale,
l’accoglimento dell’incidentale;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. LUISA DE RENZIS che ha concluso per il
•
rigetto di entrambi i ricorsi.
PIETRO LAMORGESE;
3
Svolgimento del processo
1.- Con quattro atti di citazione, notificati il 25 e 26
marzo 1998, Paternò Del Toscano Guglielmo ha convenuto in
giudizio il Comune di Carlentini e le Cooperative edilizie
ESPI e Piano Dell’Aquila. Premesso di essere proprietario
di diverse aree di sua proprietà, in contrada Piano Aquila,
che erano state oggetto di diverse ordinanze sindacali di
occupazione d’urgenza (n. 95 del 14 febbraio 1992, n. 67
del 24 ottobre 1988, n. 365 del 12 giugno 1992, n. 80 del
16 dicembre 1969, n.
5
del 12 gennaio 1989) per la
costruzione di alloggi di edilizia economica e popolare, di
un Poliambulatorio e di una Casa albergo per anziani, opere
realizzate pur essendosi l’occupazione protratta oltre i
termini fissati e in mancanza del decreto di esproprio,
egli ha chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento
dei danni e al pagamento dell’indennizzo per l’occupazione
legittima.
Il Comune di Carlentini e le due Cooperative, costituiti,
hanno declinato ogni responsabilità nella vicenda.
Il Tribunale di Siracusa, con sentenza 21 aprile 2004,
riuniti i giudizi, in accoglimento dell’eccezione di
prescrizione sollevata dal Comune, ha rigettato le domande.
2.- Nel giudizio di gravame, introdotto dall’attore, si
sono
costituiti
±1
commissario
liquidatore
della
Cooperativa Piano Dell’Aquila, posta in liquidazione coatta
4
amministrativa (dopo la sentenza di primo grado e prima
della notifica dell’appello) e il Comune di Carlentini; la
Cooperativa ESPI è rimasta contumace.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza 28 giugno 2012,
ha dichiarato improcedibili le domande proposte nei
confronti della Cooperativa Piano Dell’Aquila, in quanto
posta in 1.c.a.1 sino al deposito (non ancora avvenuto)
dello stato passivo; ha rigettato l’eccezione di estinzione
della Cooperativa ESPI, sollevata dal Comune di Carlentini,
per mancata approvazione dei bilanci, a norma dell’art.
2544 c.c., ritenendo che tale assunto fosse basato su
documenti nuovi, non producibili in appello e, quindi,
inammissibili e che, comunque, non fosse configurabile un
litisconsorzio necessario, ma solo facoltativo, trattandosi
di un’obbligazione solidale; ha qualificato la fattispecie
come occupazione acquisitiva e in parte usurpativa (per le
aree occupate senza titolo); ha ritenuto infondata
l’eccezione di prescrizione e ha condannato il Comune di
Carlentini
e
la
Cooperativa
ESPI,
in
solido,
al
risarcimento dei danni per la perdita della proprietà delle
‘
aree, valutate come edificabili, sulla base del valore di
mercato; ha ritenuto che non spettasse agli attori
l’indennità di occupazione legittima, avendo il primo
giudice implicitamente rigettato la domanda con decisione
non censurata dall’appellante; ha regolato le spese di
5
entrambi i gradi in base alla soccombenza nei rapporti con
il Comune e la Cooperativa ESPI e le ha compensate nel
rapporto con la Cooperativa Piano Dell’Aquila.
3.- Avverso questa sentenza hanno proposto ricorso per
cassazione il Comune di Carlentini, sulla base di due
motivi, e in via incidentale, gli eredi di Paternò Del
Toscano Guglielmo (Magno Elisa, Paternò Del Toscano
Antonino Alfredo e
Annalisa),
sulla base
di due motivi,
illustrati da memoria, resistiti dal Comune che ha
presentato memoria. Le Cooperative non si sono costituite.
Motivi della decisione
1.- Il Comune di
Carlentini, in prossimità
dell’udienza
pubblica, ha notificato alle controparti, a norma dell’art.
372, secondo comma, c.p.c., un elenco di documenti, tra i
quali alcuni provvedimenti amministrativi, emessi, ai sensi
dell’art. 42 bis dPR n. 327/2001, in data 12 e 29 maggio
2015, di acquisizione al proprio patrimonio indisponibile
dei terreni costituenti oggetto del giudizio, che
dimostrerebbero la improcedibilità della domanda di Paternò
Del Toscano.
La tesi del Comune è infondata. Essa si basa su alcune
decisioni del Consiglio di Stato, secondo le quali, in
seguito all’emanazione del provvedimento di acquisizione
sanante, diventano improcedibili sia la domanda di
restituzione dell’area, sia la domanda risarcitoria
6
avanzata dal proprietario di un’area illegittimamente
occupata nell’ambito di una procedura espropriativa, in
quanto, sulla base del provvedimento di acquisizione
sanante, la P.A. ha ormai acquisito il diritto di proprietà
dell’area di cui già aveva il possesso (v. Cons. di Stato,
sez. VI, n. 1438/2012).
Questa giurisprudenza fa applicazione del citato art. 42
bis, che prevede che il provvedimento di acquisizione possa
essere adottato “anche durante la pendenza di un giudizio
per l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del
presente comma” (cioè degli atti impositivi del vincolo
preordinato all’esproprio, dichiarativi della pubblica
utilità e di espropria). Tale giurisprudenza è, in effetti,
condivisibile, laddove attribuisce al provvedimento di
acquisizione l’effetto di paralizzare, non solo, la domanda
di restituzione, ma anche – in base ad un’interpretazione
estensiva della norma – quella di risarcimento del danno
proposta dal privato (anche dinanzi al giudice ordinario).
Tuttavia, il suddetto effetto paralizzante, che giustifica
l’improcedibilità della domanda del privato, non puà
operare laddove si sia formato un giudicato sul diritto
azionato in giudizio.
La più recente giurisprudenza amministrativa ha precisato
che il provvedimento di acquisizione non è adattabile nel
caso in cui si sia formato un giudicato restitutorio,
7
inerente al diritto del privato alla restituzione del bene
(v. Cons. di Stato, ad. pl., n. 3/2016), ma non vi é
ragione di negare un analogo effetto preclusivo nel caso in
cui
si sia formato un giudicato sulla illiceità del
comportamento della P.A. e sul diritto del privato al
risarcimento del danno.
Il relativo problema si era in effetti posto nella vigenza
dell’originario art.43 del T.U., perché il 4 ° comma
disponeva che “qualora il giudice amministrativo abbia
escluso la restituzione del bene senza limiti di tempo ed
abbia disposto la condanna al risarcimento del danno,
l’autorità che ha disposto l’occupazione dell’area emana
l’atto
di acquisizione,
dando atto dell’avvenuto
risarcimento del danno…”. La giurisprudenza amministrativa,
sul presupposto che l’ordine di restituzione del bene, pur
se contenuto in una sentenza passata in giudicato,
riguardasse
l’accertamento
del suo possesso e non
implicasse effetti costitutivi, non modificandone
la
situazione giuridica precedente alla Sua abusiva
detenzione, aveva ritenuto che la relativa sentenza non
fosse idonea a paralizzare un atto di autorità che,
consapevolmente, violi il diritto di proprietà senza
contestarne la titolarità e, attraverso il provvedimento di
acquisizione, intenda sanare tale situazione di fatto
illecita, acquisendo il relativo titolo di legittimazione.
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Sennonché, siffatta disposizione, unitamente a quella del
precedente 3 0 comma che prevedeva la c.d. acquisizione
giudiziaria, non sono state mantenute nel nuovo testo
dell’art.42 bis, il cui 2′ comma ha invece disposto che “il
provvedimento di acquisizione può essere adottato anche
quando sia stato annullato l’atto da cui sia sorto il
vincolo preordinato all’esproprio, l’atto che abbia
dichiarato la pubblica utilità di un’opera o il decreto di
esproprio. Il provvedimento di acquisizione può essere
adottato anche durante la pendenza di un
giudizio per
l’annullamento degli atti di cui al primo periodo del
presente comma, se l’amministrazione che ha adottato l’atto
impugnato lo ritira”: ciò inducendo il Consiglio di Stato
(nella citata sent.2/2016) ad enunciare il condivisibile
principio che il provvedimento di acquisizione non si possa
emanare oltre il limite indicato dalla norma e, quindi,
“dopo che si sia formato un eventuale giudicato non
soltanto cassatorio, ma anche esplicitamente restitutorio”.
Questo limite,ribadito dal successivo e comma, con
riguardo ai fatti anteriori al T.U., nonché alle
fattispecie in cui “vi è già stato un
provvedimento di
acquisizione successivamente ritirato o annullato”, è
particolarmente evidenziato dalla recente
stato
decisione
n.71/2015 della Corte Costit. come una significativa
differenza tra il regime dell’originario art.43 e la nuova
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disciplina, costituendo una delle ragioni della sua
dichiarata legittimità costituzionale. In quanto, mentre la
norma originaria prevedeva “un generalizzato potere di
sanatoria, attribuito alla stessa amministrazione che aveva
commesso l’illecito, addirittura a dispetto di un giudicato
che avesse disposto il ristoro in forma specifica del
diritto di proprietà violato”, l’art.42 bis ) per un verso)
realizza una sanatoria «ex nunc», e cioè dal momento
dell’emanazione dell’atto di acquisizione e, d’altra parte,
“impedisce l’utilizzo dell’istituto in presenza di un
giudicato che abbia già disposto la restituzione del bene
al privato” (così anche Corte cost. n. 71/2015).
Se, dunque, il potere attribuito dall’art.42 bis alla P.A.
concerne, secondo la Consulta ed il giudice amministrativo,
l’alternativa fra l’acquisizione e la non acquisizione di
un immobile appartenente al privato, e non anche quella fra
l’acquisizione autoritativa e la sua concreta restituzione,
il relativo provvedimento comporta, quali necessarie
conseguenze fisiologiche: A) che, per l’effettività della
tutela giurisdizionale, ne sia data esecuzione secondo
buona fede, senza che
sia frustrata la legittima
aspettativa del privato alla
definizione
stabile
del
contenzioso; B) che – la concreta restituzione rappresenta
un semplice obbligo civilistico – cioè una mera conseguenza
legale della decisione di non acquisire l’immobile assunta
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dall’amministrazione in sede procedimentale – ed essa non
costituisce, né può costituire, espressione di una
specifica volontà provvedimentale dell’autorità, atteso
che, nell’adempiere gli obblighi di diritto comune,
l’amministrazione opera alla stregua di qualsiasi altro
soggetto dell’ordinamento e non agisce iure auctoritatis”
(Ad. Plen. 2/2016 cit.); C) che le medesime regole legali,
a maggior ragione, operano in presenza di un giudicato
sull’assetto reale del bene, il quale ne ha stabilito
l’avvenuto trasferimento a titolo originario in capo
all’amministrazione espropriante: perciò rendendo priva di
causa la successiva volontà provvedimentale di quest’ultima
che, nella nuova disciplina, deve fondarsi necessariamente
su una precisa base legale e porsi quale “extrema ratio,
perché non sono ragionevolmente praticabili soluzioni
alternative” (v. Corte cost. cit.; conf. Cons. di Stato,
sez. IV, n. 537/2016).
Conseguentemente,
in presenza di un giudicato che
stabilisca la già avvenuta acquisizione (ad altro titolo)
dell’immobile ad opera dell’amministrazione espropriante,
il successivo provvedimento di cui all’art.42 bis,
ugualmente emesso, risulta adottato in palese carenza di
potere e va disapplicato dal giudice ordinario.
Conforta questo risultato la stessa ratio del provvedimento
di acquisizione, disciplinato dall’art.
42 bis,
che
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consente alla P.A. di “riprende[re] a muoversi nell’alveo
della legalità amministrativa, esercitando una funzione
amministrativa ritenuta meritevole di tutela privilegiata,
in funzione degli scopi di pubblica utilità perseguiti,
sebbene emersi successivamente alla consumazione di un
illecito ai danni del privato cittadino” (v., in tal senso,
Corte cost. n. 71/2015). E’ un provvedimento volto, per
quanto si è detto, a ripristinare la legalità
amministrativa (giustificandosi così la previsione di un
indennizzo “da atto lecito”), con effetto non retroattivo,
che costituisce, come s’è detto, una
extrema ratio per la
soddisfazione di attuali ed eccezionali ragioni di
interesse pubblico, ma non è espressione di un potere
meramente rimediale rispetto ad un illecito (altrimenti,
come rilevato da Cons. di Stato, sez. IV, n. 4777/2015, si
darebbe una lettura dell’art. 42 bis contrastante con le
conclusioni della sentenza della Corte cost. del 2015). In
questa ratio è insito anche il limite di operatività
dell’istituto, che presuppone che l’Amministrazione si
adoperi “tempestivamente” (v. Cons. di Stato, sez.
4696/2014) per ripristinare la legalità violata per il
fatto di avere occupato illegittimamente beni appartenenti
a privati. Laddove ciò non accada, perché si è formato un
giudicato, anche solo sulla illiceità dell’acquisizione del
bene e sul diritto al risarcimento del danno, ormai entrato
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nel patrimonio del privato, l’Amministrazione non può più
esercitare il potere attribuitole dalla norma.
Nella fattispecie in esame, il Comune di Carlentini ha
censurato la sentenza impugnata limitatamente al rapporto
motivo, peraltro inammissibile) al
quantum
tra lo stesso Comune e le Cooperative e (con il secondo
del
risarcimento, determinato dal giudice d’appello in favore
dei privati, senza mettere in discussione l’illiceità della
vicenda acquisitiva realizzata dall’Amministrazione e il
diritto del privato al risarcimento del danno. In tal modo,
si è formato un giudicato interno (sul capo decisorio
concernente la spettanza del risarcimento) che,
contrariamente a quanto sostenuto nella memoria del
ricorrente, non può essere travolto dal tardivo esercizio
del potere amministrativo previsto dal citato art. 42 bis.
2.- Con il primo motivo del ricorso principale, che
denuncia la violazione degli artt. 2544 (nel testo
anteriore alla riforma del d.lgs. n. 6/2003), 182, 345 e
331 c.p.c., il Comune di Carlentini si duole del rigetto
dell’eccezione di estinzione e, quindi, difetto di
legittimazione processuale delle Cooperative convenute, le
quali si sarebbero sciolte di diritto per mancato deposito
dei bilanci e, in particolare, degli ultimi bilanci
d’esercizio (al 31 dicembre 1993, quanto alla Cooperativa
Piano Dell’Aquila, e al 31 dicembre 1999, quanto alla
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Cooperativa ESPI), come risulterebbe da documenti prodotti
in appello, che la Corte territoriale erroneamente avrebbe
ritenuto inammissibili, riguardando invece la
legittimazione processuale, che avrebbe dovuto essere
accertata d’ufficio in ogni stato e grado. Di conseguenza,
il giudizio d’appello erroneamente si sarebbe svolto nei
confronti della Cooperativa ESPI e del commissario
liquidatore della Cooperativa Piano Dell’Aquila, anziché
nei confronti dei soci responsabili.
Il motivo è infondato.
In primo luogo, lo scioglimento e la perdita della
personalità giuridica della parte, come causa estintiva del
relativo rapporto processuale, sono deducibili solo dalla
parte colpita dall’evento e nei modi previsti dall’art.
300, commi 1 e 4, c.p.c. (con dichiarazione della medesima
parte o, se contumace, a seguito della notificazione o
comunicazione di uno dei provvedimenti di cui all’art. 292
c.p.c.), essendo inapplicabile
ratione temporis
il nuovo
comma 4 dell’art. 300 c.p.c., introdotto dall’art. 46,
comma 13, della logge n. 69/2009, che ha previsto che
la
causa interruttiva del processo possa essere documentata
anche dall’altra parte. Ne consegue che il Comune
ricorrente, controparte processuale delle cooperative cui
si riferiscono gli invocati eventi estintivi, non è
legittimato a sollevare un’eccezione come quella in esame.
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In secondo luogo, trova applicazione il principio in base
al quale, in caso di morte o perdita di capacità della
parte costituita a mezzo di procuratore, l’omessa
dichiarazione o notificazione del relativo evento ad opera
di quest’ultimo comporta, giusta la regola
dell’ultrattività del mandato alla lite, che il difensore
continui a rappresentare la parte come se l’evento stesso
non si fosse verificato, risultando così stabilizzata la
posizione giuridica della parte rappresentata (rispetto
alle altre parti ed al giudice) nella fase attiva del
rapporto processuale, nonché in quelle successive di sua
quiescenza od eventuale riattivazione dovuta alla
proposizione dell’impugnazione. Tale posizione è
suscettibile di modificazione solo se, nella fase di
impugnazione, si costituiscano gli eredi della parte
defunta o il rappresentante legale di quella divenuta
incapace, ovvero se il suo procuratore, già munito di
procura alla lite valida anche per gli ulteriori gradi del
processo, dichiari in udienza l’evento o lo notifichi alle
altre parti o se, rimasta la medesima parte contumace, esso
sia documentato dall’altra parte (nei giudizi instaurati
dopo la data di entrata in vigore del nuovo testo dell’art.
300, coma 4, c.p.o.) o notificato o certificato
dall’ufficiale giudiziario (v. Cass, s.u., n. 15295/2014).
15
3. – Con il secondo motivo, che denuncia violazione
dell’art. 9 della legge 18 aprile 1962 n. 167 e vizio di
motivazione, il Comune rimprovera alla sentenza impugnata
di avere determinato il valore venale con riferimento al
prezzo praticato nelle compravendite tra privati di terreni
confinanti, senza tenere conto delle aree del comparto
riservate ad infrastrutture e servizi di ordine generale.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente avrebbe dovuto, a pena di inammissibilità del
motivo
ex art. 360 n. 3 o.p.c., non solo, puntualmente
indicare le norme asseritamente violate, ma motivatamente
dimostrare, con specifiche argomentazioni, in qual modo
determinate affermazioni in diritto, contenute nella
sentenza gravata, siano in contrasto con le norme
regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle
stesse fornita dalla prevalente giurisprudenza di
legittimità (v. Cass. n. 635/2015). Inoltre, a pena di
inammissibilità del motivo ex art. 360 n. 5 c.p.c., avrebbe
dovuto precisare
quali
sarebbero le argomentazioni
Illogiche o insufficienti, poste a fondamento della
decisione impugnata, non essendo consentito il riesame del
merito in sede di legittimità (v. Cass. n. 15245/2015), che
è, invece, l’obiettivo finale avuto di mira dal ricorrente
principale.
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4.- Prima di esaminare il ricorso incidentale degli eredi
Paternò Del Toscano, si deve rigettare, perché infondata,
la preliminare eccezione di inammissibilità dello stesso,
per nullità della notificazione, in quanto eseguita a mezzo
del servizio postale dall’Ufficiale giudiziario presso la
Corte d’appello di Catania, anziché da quello presso la
sede di Roma dell’autorità giudiziaria adita. E’ dedotta,
in tal modo, la violazione dell’art. 117, comma 2, del dPR
15 dicembre 1959, n. 1229, secondo cui gli ufficiali
giudiziari possono eseguire, a mezzo del servizio postale,
senza limitazioni territoriali, soltanto la notificazione
degli atti relativi ad affari di competenza delle autorità
giudiziarie della sede alla quale sono addetti. Si tratta,
tuttavia, di una disposizione la cui violazione non è
sanzionabile con la inammissibilità dell’atto notificato
(come in passato ritenuto, invece, da Cass. n. 3606/1987),
non solo perché la norma non la prevede specificamente, ma
anche perché il controricorso ha raggiunto lo scopo cui è
destinato (art. 156, comma 3, o.p.c.), di portare a
conoscenza del Comune di Carlentini le difese degli eredi
Paternó Del Toscano e il ricorso incidentale che vi è
contenuto. Inoltre, non costituisce causa di nullità il
compimento della notifica da parte dell’ufficiale
giudiziario territoriale, anziché da parte di quello di
Roma, atteso che, ai sensi dell’art. 1 della legge 20
17
gennaio 1992, n. 55, la notificazione del ricorso e del
controricorso dinanzi alla Corte di Cessazione può essere
effettuata anche dall’ufficiale giudiziario del luogo ove
abbia sede il giudice che ha pronunciato il provvedimento
impugnato, a mezzo del servizio postale (v. Cass.
n.23172/2014).
5.- Con il primo motivo gli eredi Paternò Del Toscano
denunciano violazione dell’art. 182 c.p.o. e vizio di
motivazione,
per avere ritenuto essersi formato un
giudicato sull’implicito rigetto della domanda di pagamento
dell’indennità di occupazione legittima, senza tuttavia
considerare che, al contrario, la domanda era stata
espressamente riproposta in appello e la Corte avrebbe
dovuto pronunciare, essendo competente in unico grado.
Il motivo è fondato.
La Corte catanese, avendo ritenuto che l’originario attore
non avesse proposto uno specifico motivo di appello avverso
l’implicito rigetto della sua domanda di pagamento
dell’indennità di occupazione legittima, ha violato il
principio secondo cui l’appellante, ai fini della
specificità del motivo di gravame, deve soltanto reiterare
– come avvenuto nella specie – la richiesta non esaminata
in prime cure (in tal senso, Cass. n. 9485/2014 ha cessato
la sentenza impugnata che aveva ritenuto nullo l’atto di
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appello
nel
quale
la
parte
aveva
insistito
nell’accoglimento della domanda non esaminata).
6. In conclusione, rigettato il ricorso principale ed
accolto il primo motivo del ricorso incidentale (assorbito
il secondo motivo sul governo delle spese), la sentenza
impugnata è cassata con rinvio alla Corte territoriale, in
diversa composizione, per l’esame della domanda
di
pagamento dell’indennità di occupazione legittima e per le
spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso principale, accoglie il primo
motivo del ricorso incidentale e dichiara assorbito il
secondo motivo; in relazione al motivo accolto, cassa la
sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di
Catania, in diversa composizione, anche per le spese del
presente giudizio.
Roma, 8 marzo 2016.
h