Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11256 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.09/05/2017),  n. 11256

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27835-2015 proposto da:

EISMANN SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UMBERTO LUSENA 9, presso lo

studio dell’avvocato MAURIZIO VINCI, rappresentato e difeso

dall’avvocato MAURO REGIS giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO

CESARE, 71, presso lo studio dell’avvocato ANTONELLA FLORITA, che lo

rappresenta e difende giusta procura a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2252/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 21/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 21 maggio 2015, la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del Tribunale di Rieti che aveva accertato il carattere subordinato del rapporto lavoro intercorso tra M.M. e la Eismann s.r.l. a decorrere dal febbraio 2003 (con mansioni di viaggiatore di commercio o piazzista) e dichiarato la illegittimità del licenziamento intimato il 12 aprile 2005 al M. dalla società, con condanna di quest’ultima a reintegrarlo nel posto di lavoro ed al pagamento della somma Euro 12.965,78 a titolo di differenze retributive, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Eismann s.r.l. affidato a due motivi cui resiste con controricorso il M.;

che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo di ricorso si deduce errata applicazione degli artt. 2094 e 2222 c.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) per non avere la Corte di Appello adeguatamente valutato la ricorrenza degli elementi tipici della subordinazione;

– con il secondo motivo viene dedotto omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) in quanto il giudice del gravame non aveva considerato: la piena compatibilità di un orario flessibile, da un lato, con l’esigenza di fornire continuità al servizio commerciale dall’altro; il fatto che la necessità di preavvertire delle assenze comportava che non fosse necessaria la previa autorizzazione dell’azienda ed era riconducile alla esigenza di assicurare la fornitura ai clienti; la determinazione della retribuzione in proporzione alle vendite effettuate;

che entrambi i motivi sono inammissibili in quanto:

– il primo – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione; ed infatti, la denunciata violazione di legge postula l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006); con la conseguenza che il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni non senza considerare che la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);

– il secondo, pur con una intitolazione del motivo conforme al testo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, nella formulazione disposta dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b) convertito in L. n. 134 del 2012, in realtà, critica la sufficienza del ragionamento logico posto alla base dell’interpretazione di determinati atti del processo, e dunque un caratteristico vizio motivazionale non più censurabile (si veda Cass., S.U., n. 8053/14); peraltro denuncia non l’omesso esame di un fatto (inteso nella sua accezione storico -fenomenica – e quindi non un punto o un profilo giuridico -, un fatto principale o primario – ossia costitutivo, impeditivo, estintivo o modificativo del diritto azionato – o secondario cioè un fatto dedotto in funzione probatoria -) bensì l’omessa o carente valutazione di determinati elementi probatori laddove è sufficiente che il fatto sia stato esaminato, senza che sia necessario che il giudice abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie emerse all’esito dell’istruttoria come astrattamente rilevanti (cfr. Cass. n. 8053/14 cit.); e, comunque, nel caso in esame, i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale che ha analiticamente verificato come ricorressero i caratteri propri del rapporto di lavoro subordinato;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va dichiarato inammissibile;

che le spese del presente giudizio, per il principio della soccombenza, sono poste a carico della ricorrente e vengono liquidate come da dispositivo in favore del M. con attribuzione all’avv. Antonella Fiorita per dichiarato anticipo fattone;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame.

PQM

La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio, liquidate in Euro 200,00 per esborsi, Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%, con attribuzione.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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