Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11255 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2010, (ud. 08/04/2010, dep. 10/05/2010), n.11255

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

T.U., P.B., T.G., già

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 212, presso lo

studio dell’avvocato DE FRANCESCO SALVATORE, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato RADICE ANDREA, giusta mandato a

margine del ricorso e da ultimo domiciliati d’ufficio presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrenti –

contro

L.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA G. PISANELLI 4,

presso lo studio dell’avvocato GIGLI GIUSEPPE, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato GIULIANO ARTURO, giusta mandato a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 14/2006 del TRIBUNALE di ROVERETO, depositata

il 06/06/2006 r.g.n. 31/06;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

08/04/2010 dal Consigliere Dott. PIETRO CURZIO;

udito l’Avvocato GIGLI GIUSEPPE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

FATTO E DIRITTO

T.U., P.B. e T.G. chiedono l’annullamento della sentenza del Tribunale di Rovereto, pubblicata il 6 giugno 2006, che ha respinto l’opposizione al precetto relativo al titolo esecutivo costituito da una sentenza della Corte d’Appello di Venezia che li aveva condannati, quali soci illimitatamente responsabili di Tessildro snc, al pagamento di una somma in favore di L.M., a titolo di risarcimento danni conseguenti ad infortunio sul lavoro subito quale dipendente della società.

Il ricorso è articolato in sei motivi, illustrati ulteriormente con memoria per l’udienza.

Il L. si difende con controricorso, chiedendo anche la condanna dei ricorrenti al risarcimento danni da responsabilità aggravata, in misura di 10.000,00 Euro. Il suo difensore ha discusso la causa.

Deve premettersi che la Corte d’Appello di Venezia riconobbe la responsabilità della società datrice di lavoro per l’infortunio subito dal lavoratore, ma nel dispositivo omise di condannare la società, limitandosi a condannare solo i tre soci.

Il lavoratore chiese la correzione del dispositivo con l’inserimento anche della condanna nei confronti della società. I soci, ora ricorrenti per cassazione, non aderirono all’istanza. La Corte di Venezia la rigettò con ordinanza del 13 dicembre 2005.

I soci ricorrenti proposero opposizione a precetto, invocando il beneficio di cui all’art. 2304 c.c.. Il Tribunale di Rovereto ha rigettato l’opposizione ritenendo che con la loro scelta processuale hanno dimostrato per facta concludentia di non accettare l’estensione della condanna a Tessildro snc, cosichè l’opposto è legittimato a proseguire la procedura esecutiva nei confronti degli opponenti.

Con il primo motivo si denunzia la violazione dell’art. 2304 c.c., per violazione del beneficium excussionis, costituito dal diritto di vedere escusso prima il patrimonio della società. Diritto che costituisce condizione dell’azione e che viene meno solo dopo l’infruttuosa escussione del patrimonio sociale o la rinuncia del titolare, rinunzia che nel caso in esame non vi è stata, perchè non può considerarsi tale la mancata adesione all’istanza di correzione.

Con il secondo motivo si denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., perchè, a fronte della eccezione del lavoratore per cui l’impossibilità della previa escussione del patrimonio della società sarebbe dipesa dalla mancata adesione alla istanza di correzione, l’opposizione è stata rigettata ritenendo che gli opponenti avrebbero posto in essere facta concludentia indicativi della volontà di non accettare l’estensione della condanna a Tessildro snc. Il terzo motivo contiene la denunzia della violazione di due norme:

l’art. 24 Cost., sul diritto di difesa e l’art. 287 c.p.c., in relazione all’art. 2304 c.c.. Viene sintetizzato nei seguenti quesiti: Il socio di una snc, nell’esercizio del suo diritto di difesa ha la facoltà di non aderire alla istanza di correzione di errore materiale proposta dal creditore sociale senza che detta scelta determini il venir meno del proprio diritto al beneficium excussionis?”, “può la mancata adesione alla istanza di correzione di errore materiale proposta dall’attore, al fine di ottenere l’estensione della condanna nei confronti di uno dei convenuti, essere interpretata dal giudice quale manifestazione di volontà degli altri convenuti di non accettare l’estensione?”.

Con il quarto motivo si denunzia l’erronea applicazione dell’art. 2304 c.c., e degli artt. 156, 161, 420 e 429 c.p.c., ponendo, ancora una volta il seguente quesito:”qualora nel dispositivo di una sentenza di lavoro non sia presente una pronuncia di condanna nei confronti della società e poi venga rigettata l’istanza di correzione di errore materiale, il socio parte processuale – che non abbia aderito alla istanza di correzione materiale perde il beneficium excussionis”.

Con il quinto motivo si denunzia l’erronea applicazione dell’art. 1236 c.c., e art. 2937 c.c.. La questione posta è la seguente: “può integrare una ipotesi di rinuncia al beneficium la decisione del socio di una società in nome collettivo di non aderire alla istanza di correzione di errore materiale proposta dal creditore della società per ottenere l’estensione del titolo esecutivo oggetto di istanza di correzione nei confronti della società stessa?”.

L’ultimo motivo denunzia un vizio di motivazione “insufficiente” perchè la sentenza non chiarisce se la mancata adesione alla istanza di correzione rilevi ex se ovvero debba intendersi quale comportamento concludente di rinuncia o quale condotta rilevante poichè idonea a rendere impraticabile la previa escussione della società”.

I motivi fanno tutti riferimento ad un’unica questione e vanno quindi esaminati congiuntamente, salvo la variante della pretesa difformità tra chiesto e pronunciato di cui al secondo motivo, che non sussiste perchè si è in presenza di un mero problema di qualificazione giuridica.

La sentenza della Corte d’Appello di Venezia nel suo dispositivo non contiene una condanna della società in nome collettivo, ma solo dei soci.

La sentenza è provvisoriamente esecutiva, costituisce titolo esecutivo e in forza di essa è stato emesso un precetto.

E’ stata chiesta la correzione della stessa da parte del lavoratore che ha avuto ragione nella controversia.

Le controparti, ricorrenti per cassazione, non hanno aderito all’istanza.

La Corte di Venezia ha respinto l’istanza, ritenendo non emendabile l’errore con la procedura della correzione dell’errore materiale.

Il Tribunale di Rovereto ha rigettato l’opposizione a precetto ritenendo che gli opponenti hanno dimostrato per facta concludentia di non accettare l’estensione della condanna alla società in nome collettivo.

La soluzione è corretta, sebbene non per la motivazione indicata dalla sentenza impugnata.

Il dato base è che non vi è condanna della società ma solo dei tre attuali ricorrenti per cassazione e, quindi, non vi è titolo esecutivo nei confronti della società, ma solo nei confronti dei ricorrenti.

In presenza di questo stato di cose il lavoratore, cui certo non può ascriversi colpa alcuna per tale carenza e che ha tentato con l’istanza di correzione di porvi rimedio, non poteva fare altro che agire direttamente nei confronti degli unici soggetti condannati dalla Corte.

Il meccanismo dettato dall’art. 2304 c.c., non è applicabile al caso in esame, perchè, in base a quanto dispone la sentenza, il lavoratore non può essere qualificato creditore sociale, ma solo creditore dei tre opponenti. Quindi non opera il meccanismo per cui “I creditori sociali non possono pretendere il pagamento dei singoli soci se non dopo l’escussione del patrimonio sociale.

Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.

La domanda di responsabilità aggravata formulata dal L. non può essere accolta, perchè la situazione anomala determinatasi non può essere ascritta ad un comportamento in mala fede con colpa grave dei ricorrenti, che dovranno pertanto solo rifondere le spese del giudizio, in quanto soccombenti.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere le spese del giudizio di legittimità in favore del L., liquidandole in Euro 15,00, nonchè Euro 2.500,00 per onorari, oltre IVA, CPA e spese generali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 aprile 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

 

 

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