Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11254 del 20/05/2011

Cassazione civile sez. II, 20/05/2011, (ud. 03/02/2011, dep. 20/05/2011), n.11254

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo – Presidente –

Dott. PICCIALLI Luigi – Consigliere –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 17187/2005 proposto da:

CAPITOLO CATTEDRALE DI GRAVINA (GIA’ BENEFICIO PARROCCHIALE DI SAN

NICOLA E S, CECILIA IN GRAVINA) in persona del suo Presidente e

legale rappresentante Reverendo Sacerdote L.G.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 48, presso lo studio

dell’avvocato RAGUSO GIUSEPPE, rappresentato e difesa dall’avvocato

CLEMENTE NATALE;

– ricorrente –

contro

COM GRAVINA;

– intimato –

sul ricorso 21761/2005 proposto da:

COM GRAVINA in persona del suo Sindaco pro tempore Avv. V.

R., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GURRADO

Temistocle;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CAPITOLO CATTEDRALE GRAVINA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 413/2004 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 13/05/2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/02/2011 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato Giuseppe Raguso difensore della ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso e della menoria;

udito l’Avv. Nicola Alessandro Saldutti con delega depositata in

udienza dell’Avv. Gurrado Temistocle difensore del resistente che ha

chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Capitolo Cattedrale di Gravina conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari il Comune di Gravina assumendo che: il Beneficio Parrocchiale dei Santissimi Nicola e Cecilia di Gravina in Puglia (alla quale era subentrato l’istante), aveva trasferito al predetto Comune taluni appezzamenti di suolo edificatorio ricevendone in permuta altrettanti con la medesima destinazione edificatoria; i terreni trasferiti all’attore peraltro erano risultati non liberi e il Comune, nelle more, aveva in sede di adozione del Piano regolatore, destinato a verde la zona in cui gli stessi erano ubicati con notevole deprezzamento del loro valore.

Pertanto, l’istante chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento all’atto di permuta.

Il Comune di Gravina, costituendosi in giudizio,chiedeva il rigetto della domanda.

Con sentenza 2111/99 il Tribunale rigettava la domanda.

Con sentenza dep. il 13 maggio 2004 la Corte di appello di Bari, in parziale riforma della decisione impugnata dall’attore, condannava il Comune al risarcimento dei danni liquidati equitativamente in Euro 20.000.

I Giudici di appello accertavano che, secondo quanto risultato dalla sentenza passata in cosa giudicata resa nel giudizio di rilascio proposto dal Beneficio Parrocchiale nei confronti del Massari, i terreni ricevuti in permuta erano risultati occupati da quest’ultimo, per cui doveva ritenersi provato che l’attore non ne aveva avuto la piena e immediata disponibilità: sotto tale profilo era quindi riconosciuto l’inadempimento del Comune, che non aveva trasferito il possesso degli immobili dati in permuta.

Era, invece, esclusa la responsabilità del convenuto per avere mutato la destinazione urbanistica dei suoli da edificatoria a verde:

dopo avere premesso che era fuori luogo il riferimento alla presupposizione formulato dall’attore in relazione alla natura edificatoria dei beni, quale presupposto del contratto di permuta, la sentenza rilevava che il mutamento di destinazione, intervenuto a distanza di dieci anni dalla conclusione del contratto nell’ambito di un provvedimento regolante l’assetto dei pubblici interessi urbanistici, non poteva avere alcuna incidenza sulla regolamentazione pattizia nè sulla validità, efficacia o risolubilità del contratto.

Il danno veniva liquidato con riferimento al mancato uso normale dell’immobile impedito dall’occupazione del terzo, mentre era ritenuto non provato il pregiudizio lamentato dall’attore in relazione alla mancata realizzazione del programma edificatorio sul rilievo che l’attore non aveva palesato la volontà o l’intenzione di eseguire sui suoli programmi edificatori attraverso progetti concreti, richieste di concessione edilizia, comunicazioni o quant’altro.

Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il Capitolo Cattedrale di Gravina sulla base di un unico articolato motivo.

Resiste con controricorso l’intimato proponendo ricorso incidentale affidato a un unico motivo. Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

RICORSO PRINCIPALE. Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perchè sono stati proposti avverso la stessa sentenza. Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1223, 1225, 1337, 1375, 1470, 1476, 1489, 1494, 1552, 1555, 1362, 1371, 2043 e 2056 cod. civ., dei principi in materia di inadempimento contrattuale e di risarcimento dei danni nonchè la manifesta contraddittorietà, illogicità e insufficienza della motivazione su punti decisivo della controversia (art. 360 cod. proc. civ., n. 5).

Dopo avere proceduto a evidenziare la condotta inadempiente posta in essere dal Comune e i danni causalmente derivati, censura la sentenza la quale aveva ritenuto che, in relazione agli immobili dati in permuta la cui destinazione edificatoria era stata elemento qualificante del contratto e dell’assetto degli interessi economici regolato dalle parti, era configurabile un uso normale del terreno- il cui impedimento determinerebbe danni in re ipsa, non necessitanti di prova – e poi un uso anormale, identificabile nello sfruttamento edificatorio, il cui impedimento darebbe luogo a danni che sarebbero riconoscibili solo per effetto del comportamento significativo della volontà di sfruttamento delle qualità edificatorie da parte del danneggiato: lo sfruttamento edificatorio è invece un uso normale ed è impedito dalla mancata consegna; anche in tal caso il danno è in re ipsa, non essendo condivisibile l’assunto secondo cui il creditore dovrebbe onerarsi di una serie di attività costose e inutili, senza considerare che le concessioni hanno termini decadenziali e non sono soggette a sospensione.

Il riferimento alla presupposizione era stato formulato per evidenziare che la natura edificatoria era stata la causa concreta del contratto e che la condotta inadempiente del Comune si era rivelata di estrema gravità, tenuto conto che la mancata consegna aveva comportato la perdita definitiva della suscettività edificatoria del suolo. Il motivo va rigettato.

Il danno patrimoniale da mancato guadagno (nella specie, per omessa consegna dell’immobile permutato), concretandosi nell’accrescimento patrimoniale effettivamente pregiudicato o impedito dall’inadempimento dell’obbigazione contrattuale, presuppone la prova, sia pure indiziaria, dell’utilità patrimoniale che, secondo un rigoroso giudizio di probabilità (e non di mera possibilità) il creditore avrebbe conseguito se l’obbligazione fosse stata adempiuta;

pertanto, devono escludersi i mancati guadagni meramente ipotetici, dipendenti da condizioni incerte: giudizio probabilistico, questo, che, in considerazione della particolare pretesa, ben può essere equitativamente svolto in presenza di elementi certi offerti dalla parte non inadempiente, dai quali il giudice possa sii logisticamente desumere l’entità del danno subito (Cass. 27149/2006).

Nella specie la sentenza, nel respingere la domanda risarcitoria al riguardo avanzata, ha correttamente ritenuto necessaria la prova della concreta volontà dello sfruttamento edilizio, non potendo evidentemente questa identificarsi nella destinazione del terreno che le parti avevano indicato nel contratto e che era stata considerata nel regolamento degli interessi: tali circostanze non escludono evidentemente che l’acquirente o il cessionario non voglia o non sia in grado di procedere in concreto allo sfruttamento edilizio, tenuto conto anche delle risorse finanziare che si rendono necessarie per attuare un intervento edilizio, senza considerare che le possibilità edificatorie consentite dalle norme urbanistiche vigenti potrebbero essere tali da non permettere di soddisfare le personali esigenze che il soggetto si propone di realizzare (nella specie un ente ecclesiastico). Ed invero, la Corte ha evidenziato che il proposito dell’attore di realizzare il programma edificatorio era rimasto un semplice assunto, dovendo qui rilevarsi che, anche volendo prescindere dalla necessità delle preventiva richiesta di concessioni, appariva certamente significativo che, essendo l’attore – come accennato – un ente ecclesiastico, non vi fosse stata alcuna deliberazione o attività degli organi preposti del predetto, da cui potesse desumersi la effettiva intenzione di procedere a siffatto intervento.

Pertanto, la sentenza ha correttamente limitato la liquidazione del danno a quello derivante dalla indisponibilità del bene, secondi i principi in proposito elaborati dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui in caso di occupazione senza titolo di un cespite immobiliare altrui, il danno per il proprietario usurpato è “in re ipsa”, ricollegandosi al semplice fatto della perdita della disponibilità del bene da parte del “dominus” ed all’impossibilità per costui di conseguire l’utilità normalmente ricavabile dal bene medesimo in relazione alla natura normalmente fruttifera di esso. La determinazione del risarcimento del danno ben può essere, in tali ipotesi, operata, dal giudice, facendo riferimento al cosiddetto danno “figurativo”, e, quindi, al valore locativo del cespite usurpato (Cass. 827/2006; 13630/2001; 7692/2001).

RICORSO INCIDENTALE. L’unico motivo denuncia il difetto di motivazione o motivazione contraddittoria della sentenza impugnata che, dopo avere evidenziato l’inerzia dell’attore nell’utilizzazione delle aree oggetto della permuta, aveva poi condannato il Comune al risarcimento dei danni, pur non essendo risultata alcuna responsabilità a carico del medesimo.

Il motivo è infondato.

In primo luogo va rilevato che non possono prendersi in esame questioni proposte per la prima volta con la memoria di cui all’art. 378 cod. proc. civ., che deve limitarsi a illustrare i motivi o le difese svolte con il ricorso il controricorso.

La sentenza ha ritenuto l’inadempimento del Comune all’obbligazione di consegnare il terreno che era occupato da un terzo: il che, privando l’attore della disponibilità dell’immobile ceduto, ha comportato che il Comune fosse tenuto e condannato al risarcimento dei danni che sono stati per l’appunto liquidati secondo i criteri dettati dalla richiamata giurisprudenza della S.C..

Tale statuizione evidentemente non è in contraddizione con l’affermazione circa la mancata prova della volontà di sfruttamento edilizio, perchè la motivazione era stata formulata con riguardo al pregiudizio preteso per la mancata possibilità di edificare ma non escludeva certo la sussistenza del danno di cui si è detto.

Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese della presente fase.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 3 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2011

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