Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11251 del 09/05/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 09/05/2017, (ud. 08/03/2017, dep.09/05/2017),  n. 11251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – rel. Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15981-2015 proposto da:

TELECOM ITALIA SPA, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante, elettivamente domiciliata in ROMA, L.G. FARAVELLI

22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che lo

rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO TOSI, FRANCO

RAIMONDO BOCCIA, ANDREA UBERTI giusta procura margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.T., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli

avvocati MARIO ANTONIO FEZZI e MAURIZIO BORIALI giusta procura a

margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 819/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 18/06/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’08/03/2017 dal Consigliere Dott. GIULIO FERNANDES.

Fatto

RILEVATO

che, con sentenza del 18 giugno 2014, la Corte di Appello di Milano confermava la decisione del Tribunale in sede che aveva accertato il demansionamento di C.T. da parte della Telecom Italia s.p.a. a decorrere dal 18 luglio 2005 ed ordinato alla società di reintegrare il lavoratore nelle mansioni svolte anteriormente a detta data od in altre equivalenti nonchè al risarcimento del danno alla professionalità quantificato in Euro 5.000,00, oltre accessori come per legge;

che per la cassazione di tale decisione propone ricorso la Telecom Italia s.p.a. affidato a tre motivi cui resiste con controricorso il C.;

che è stata depositata la proposta del relatore ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;

che entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis c.p.c.;

che il Collegio ha deliberato di adottare la motivazione semplificata.

Diritto

CONSIDERATO

che: con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli art. 115 e 116 c.p.c. nonchè artt. 2103 e 2697 c.c. (in relazione all’art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) per avere la Corte di Appello riconosciuto sussistente il demansionamento sulla scorta di una lettura superficiale e, comunque, errata delle risultanze testimoniali; con il secondo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma n.3, cod. proc. civ.) in quanto il giudice del gravame aveva liquidato un danno da demansionamento prescindendo dalla prova della sua effettiva esistenza e ritenendolo una automatica conseguenza della dequalificazione professionale; con il terzo motivo si prospetta violazione e falsa applicazione degli artt. 112 cod. proc. civ. e 1227 cod. civ. nonchè omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5) non avendo l’impugnata sentenza detto alcunchè in merito alla questione -riproposta in appello in quanto già pretermessa dal primo giudice -relativa al rilevato concorso di colpa del lavoratore nella produzione del danno da demansionamento per aver rifiutato due significative offerte di ricollocazione, chiedendo una posizione tale da consentirgli un orario di lavoro fisso e senza turnazione o flessibilità particolare e per aver tenuto un comportamento inerte per un lungo periodo prima di azionare il suo preteso diritto;

che il primo motivo è inammissibile in quanto – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione; ed infatti, una violazione o falsa applicazione di nonne di legge, sostanziale o processuale, non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale probatorio perchè un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. può porsi solo allorchè il ricorrente alleghi – e ciò non è avvenuto nel caso in esame – che il giudice di merito: abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece erano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori;

che il secondo motivo è fondato alla luce del principio più volte affermato da questa Corte secondo cui “In tema di prova del danno da dequalificazione professionale ex art. 2729 c.c., non è sufficiente a fondare una corretta inferenza presuntiva il semplice richiamo di categorie generali (come la qualità e quantità dell’attività lavorativa svolta, il tipo e la natura della professionalità coinvolta, la gravità del demansionamento, la sua durata e altre simili), dovendo il giudice di merito procedere, pur nell’ambito di tali categorie, ad una precisa individuazione dei fatti che assume idonei e rilevanti ai fini della dimostrazione del fatto ignoto, alla stregua di canoni di probabilità e regole di comune esperienza” (Cass. 18 agosto 2016 n. 17163; Cass. n. 6797 del 19/03/2013; Cass. n. 4712 del 23/03/2012; Cass. n. 19785 del 17/09/2010; Cass. n. 6572 del 24/03/2006); invero, la Corte territoriale ha ritenuto sussistente il danno da demansionamento sulla base del rilievo – del tutto generico – che vi deve essere corrispondenza tra le nuove mansioni e la specifica competenza del dipendente di cui “va salvaguardato il livello professionale acquisito garantendo lo svolgimento e l’accrescimento delle sue capacità professionali”;

che il terzo motivo risulta assorbito dall’accoglimento del secondo;

che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore – per le ragioni esposte, non scalfita dai rilievi contenuti nelle memorie ex art. 380 bis c.p.c. depositate dalle parti – va accolto il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo, l’impugnata sentenza va cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte di Appello di Milano che deciderà applicando il sopra riportato principio di diritto provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigettato il primo ed assorbito il terzo, cassa l’impugnata sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 8 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 9 maggio 2017

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