Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11249 del 10/05/2010

Cassazione civile sez. lav., 10/05/2010, (ud. 09/03/2010, dep. 10/05/2010), n.11249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – Consigliere –

Dott. DI NUBILA Vincenzo – Consigliere –

Dott. STILE Paolo – rel. Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

U.E., domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato PINTOR EFISIO, giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

I.N.A.I.L. – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI

INFORTUNI SUL LAVORO, in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE N. 144,

presso lo studio degli avvocati LA PECCERELLA LUIGI, LUCIANA ROMEO,

che lo rappresentano e difendono, giusta delega in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 754/2005 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI,

depositata il 26/10/2005 R.G.N. 684/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

09/03/2010 dal Consigliere Dott. PAOLO STILE;

udito l’Avvocato ROMEO GIULIANA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso 27 maggio 2002, U.E. conveniva dinanzi al Giudice del lavoro di Cagliari, l’INAIL al fine di ottenere il riconoscimento del proprio diritto alla rendila ed all’assegno in favore dei superstiti D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, ex art. 85, come coniuge superstite di C.P., deceduto in data 10.4.2001, a causa di silicosi polmonare per la quale era indennizzato, in vita, con rendita ragguagliala al 72% di riduzione della capacità lavorativa.

L’INAIL si costituiva chiedendo il rigetto della domanda.

Istruita la causa con produzione di documenti e consulenza medico legale, il Tribunale di Cagliari, con sentenza 29 gennaio 2004, rigettava la domanda.

Sosteneva il primo Giudice, all’esito dell’espletata consulenza, che il decesso del coniuge della ricorrente era stato provocato esclusivamente da ictus cerebrale.

Avverso la sentenza proponeva appello la U..

L’INAIL si costituiva, chiedendo la conferma della decisione impugnata.

Con sentenza del 21 settembre-26 ottobre 2005, l’adita Corte di Appello di Cagliari, ritenuto, sulla base della espletata consulenza medico-legale, che la morte del C. risultava causata da una patologia (ictus) nei confronti della quale la tecnopatia non aveva esercitato alcun ruolo concausale, rigettava il gravame.

Per la cassazione di tale pronuncia ricorre U.E. con due motivi.

Resiste l’INAIL con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il proposto ricorso, articolato in due motivi, la ricorrente, denunciando violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lett. a) e b) come modificato dalla L. 27 dicembre 1975, n. 780, art. 4, nonchè vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) censura la sentenza impugnata per avere il Giudice di seconde cure aderito alla consulenza tecnica espletata nel primo grado di giudizio senza esplicitare i motivi di tale adesione e trascurando di considerare la consulenza di parte, secondo la quale la silicosi sarebbe stata concausa del decesso del coniuge della ricorrente.

Il ricorso è infondato.

Invero, per costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini della configurabilità del diritto della rendita ai superstiti, la silicosi rileva non unicamente per la sua presenza, ma in quanto possa configurarsi quale fattore causale o concausale dell’evento mortale.

Infatti, a norma della L. n. 780 del 1975, art. 4, che ha modificato il D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, la nozione di malattia associata postula non la semplice coesistenza, ma l’interdipendenza o interazione anatomo-funzionale-eziopatogenetica di essa e della tecnopatia.

Al riguardo, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che, pur dopo rinnovazione legislativa, permane l’esigenza che sia accertato se in concreto la morte del lavoratore sia o meno derivata dalla silicosi asbestosi in concorso concausale con la malattia associala ed ha escluso che la nuova formulazione del citato art. 145, abbia inteso introdurre una qualche presunzione di causalità delle forme associate tale da esonerare dall’accertamento in concreto di tale nesso (in tal senso si vedano Cass. nn. 4173 e 3926 del 2004; n. 10608 del 2002 e n. 9297 del 2001).

In particolare, è stato affermato che la L. n. 780 del 1975, nel modificare la normativa relativa all’assicurazione obbligatoria contro la silicosi e l’asbestosi, ne ha ampliato l’ambito applicativo – in quanto ha richiesto, ai fini della relativa indennizzabilità.

esclusivamente che le suddette patologie siano contratte nell’esercizio dei lavori specificati nell’apposita tabella, rientranti fra quelli per i quali ricorre la tutela antinfortunistica e ha subordinato il riconoscimento del diritto alla rendita a condizioni di maggior favore con riguardo ai criteri di valutazione del grado di inabilità – ma non ha previsto deroghe ai principi generali in tema di nesso causale. Ne consegue che, per quel che riguarda le ipotesi di cui al D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 145, lett. a) (nel testo risultante dalla citata L. n. 780 del 1975, art. 4), al fine di stabilire se la morte o l’inabilità siano state determinate dalla silicosi o dall’asbestosi o da una patologia che sia conseguenza diretta di dette tecnopatie si deve fare applicazione del principio dell’equivalenza delle cause (recepito dall’art. 41 cod. pen.) con la specificazione che la causa sopravvenuta esclude il nesso causale qualora sia da sola sufficiente a determinare l’evento; mentre, in riferimento alle ipotesi di cui all’art. 145 cit., lett. b)m dovendo escludersi che esso abbia introdotto una presunzione di causalità per i casi in cui alla silicosi o all’asbestosi si associno altre forme morbose dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio, occorre accertare in concreto se la morte o l’inabilità siano derivate o meno dalle indicate tecnopatie in concorso causale – sia pure in minima parte cd. eventualmente, solo in termini di un alto grado di probabilità – con la malattia associata, da intendere secondo una nozione squisitamente tecnico – scientifica (cfr. Cass. 9 luglio 2001 n. 9727). Nel caso in oggetto, la ctu espletata nel primo grado di giudizio ha accertato che nessuna incidenza sull’evento morte del coniuge della ricorrente, nemmeno come concausa. è attribuibile alla tecnopatia da cui lo stesso era affetto in vita, dal momento che la causa del decesso è attribuibile esclusivamente all’ictus cerebrale e non alla silicosi; silicosi neppure configurabile quale concausa dell’evento morte.

Il giudice d’appello ha ritenuto di accogliere le conclusioni del consulente tecnico nominato nel primo grado di giudizio, considerandole sorrette da una congrua ed adeguata motivazione, nonchè esenti da vizi logici o errori tecnici e, nel pronunciare la sentenza, in adesione alla c.t.u. di primo grado, ha correttamente fatto applicazione degli esposti principi giurisprudenziali escludendo, con una logica e consequenziale valutazione degli elementi probatori acquisiti ai processo, qualsiasi influenza, anche indiretta, della silicosi nel determinismo della morte addebitabile esclusivamente, come detto, all’ictus.

Per quanto finora puntualizzato, appare evidente che le censure mosse all’impugnata sentenza tendono ad un diverso apprezzamento dei fatti che è, però, precluso in questa sede perchè inerente alla valutazione di merito già compiuta dal giudice del gravame.

D’altro canto, come ripetutamente affermato da questa Corte, il controllo di legittimità non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa, ma consiste nella verifica sotto il profilo formale e della correttezza giuridica dell’esame e della valutazione compiuti dai giudice d’appello. Pertanto, nel caso in cui il giudice di merito si basi, in un giudizio in materia di invalidità pensionabile, sulle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, affinchè i lamentati errori e lacune della consulenza determinino un vizio di motivazione della sentenza denunciarle in cassazione, è necessario che sussistano carenze o deficienze diagnostiche, o affermazioni illogiche o scientificamente errate, riscontrabili sulla base di comprovate nozioni correnti della scienza medica, e non già semplici difformità tra la valutazione del consulente, circa l’entità e l’incidenza del dato patologico, e quella di parte (Cass. n. 530 del 1998; n. 2948 del 2002; Cass. n. 9734 del 2005).

E’ opportuno ancora rammentare che, per costante giurisprudenza di legittimità, è devoluta al giudice di merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento e, pertanto, anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee ad accertare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro spessore probatorio, con l’unico limite dell’adeguata e congrua motivazione del criterio adottato (ex plurimis Cass. n. 9834 del 1995; n. 10896 del 1998).” (Cass. n. 10580 del 2005).

In particolare, non si può imputare al Giudice di non avere dibattuto le tesi o gli elementi di giudizio che ha pretermessi, giacchè la necessità di quest’ulteriore riflessione non gli è richiesta dall’Ordinamento, che si limita ad imporgli un’adeguata giustificazione del proprio convincimento, da esplicitare attraverso l’esame puntuale ed obiettivo delle allegazioni delle parti, elaborandone i contenuti attraverso l’analisi logicamente consequenziale e giuridicamente coerente di quelle risultanze istruttorie che ritenga idonee e sufficienti a giustificarlo (v. ex multis, Cass. 26 gennaio 2001, n. 1100; Cass n. 5889 del 2005).

Infatti, nel giudizio avente ad oggetto l’accertamento della invalidità derivante da malattia professionale o la sua incidenza nel decesso del lavoratore, quando il giudice accoglie le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio, facendole proprie, l’obbligo della motivazione è assolto con l’indicazione della fonte dell’apprezzamento espresso, senza la necessità di confutare dettagliatamente le contrarie argomentazioni delle parti, che devono considerarsi implicitamente disattese.” (Cass. n. 17420 del 2005.

Nello stesso senso, si vedano Cass. nn. 442 e 1267 del 2006).

Non ha pregio, quindi, la censura della ricorrente, che vuole la sentenza viziata per non avere il giudice esplicitato le motivazioni che lo hanno indotto ad aderire alla consulenza d’ufficio e non alla consulenza di parte, che notoriamente costituisce mera argomentazione difensiva.

Per quanto precede il ricorso va rigettato.

Nulla deve disporsi per le spese del presente giudizio ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo anteriore a quello di cui al D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, nella specie inapplicabile rullane temporis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 9 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 maggio 2010

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