Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 11246 del 11/06/2020

Cassazione civile sez. I, 11/06/2020, (ud. 19/11/2019, dep. 11/06/2020), n.11246

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – rel. Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 27579/2015 proposto da:

M.A., elettivamente domiciliato in Roma, Piazza Capranica

95, presso lo studio dell’avvocato Palamara Antonino, rappresentato

e difeso dall’avvocato Nirta Francesco Ettore, giusta procura in

calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Azienda Territoriale per l’Edilizia Residenziale Pubblica della

Provincia di Reggio Calabria, in persona del Commissario

straordinario legale rappresentante pro tempore, domiciliata in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dall’avvocato Giuseppe de Leo,

giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 289/2015 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 26/08/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

19/11/2019 dal Cons. Dott. PARISE CLOTILDE.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 500/2004 il Tribunale di Reggio Calabria dichiarava inammissibile la domanda proposta da M.A. nei confronti dell’Istituto Autonomo Case Popolari per la Provincia di (OMISSIS) (di seguito per brevità I.A.C.P.), diretta ad ottenere la condanna del convenuto al pagamento in favore dell’attore della somma di Euro 89.311,20, o della somma diversa di giustizia, con interessi e maggior danno dall’ottobre 1988 al soddisfo, a titolo di interessi per ritardato pagamento di quanto dovutogli in virtù del contratto di appalto stipulato in data 8-4-1974 n. 3771 per l’esecuzione di n. 6 alloggi nel Comune di (OMISSIS).

2. Con sentenza n. 298/2015 depositata in data 26 agosto 2015 la Corte d’appello di Reggio Calabria ha rigettato l’appello proposto da M.A. avverso la citata sentenza del Tribunale di Reggio Calabria. La Corte territoriale ha accolto la censura concernente la declaratoria di inammissibilità della domanda, qualificando non come atto transattivo ma come mero atto unilaterale dello I.A.C.P. la Delib. 23 febbraio 1988, n. 48, ed ha quindi esaminato nel merito la pretesa azionata, rilevando che il ristoro del maggior danno, escluso dal sistema normativo speciale ai sensi dell’art. 35 del Capitolato Generale degli Appalti pubblici di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, era stato previsto nell’atto transattivo, come risultante dalla Delib. 10 luglio 1987, n. 200, dell’I.A.C.P. accettata dall’Impresa con atto del 18-11-1987. La Corte territoriale ha tuttavia ritenuto che l’Impresa M. non avesse dimostrato il collegamento causale certo e diretto tra l’importante esposizione debitoria della stessa verso Istituti bancari, come documentata in causa, e il ritardato pagamento.

2. Avverso questa sentenza M.A. propone ricorso, affidato a due motivi, nei confronti dell’I.A.C.P., che resiste con controricorso.

3. Il ricorso è stato fissato per l’adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c. e art. 380 bis 1 c.p.c..

La parte controricorrente ha depositato memoria ex art. 380 bis 1 c.p.c. e il ricorrente ha depositato in data 19-11-2019 istanza di rinvio.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, censurando la sentenza impugnata per non avere la Corte d’appello riconosciuto il collegamento causale tra la sua esposizione debitoria verso il Credito Popolare Calabrese, di seguito Monte dei Paschi di Siena – documentata attraverso gli estratti conto del periodo tra l’ottobre 1977 ed il giugno 1980 e l’atto di precetto notificatogli il 18-3-1993 – ed il ritardato pagamento da parte dello I.A.C.P.. Deduce di aver documentalmente provato che il suo credito verso la Banca ammontava a Lire 124.417.967 al 29-12-1997 ed era gravato di interessi al tasso del 25,50%; l’I.A.C.P. non aveva nemmeno pagato la minor somma di Lire 105.000.000 al 31-12-2002. Lamenta la violazione dell’art. 1453 c.c., su cui è fondato il suo diritto al risarcimento del danno, richiama la giurisprudenza di questa Corte (Cass. S.U. n. 19499/2008 e n. 6347/2014) e assume che dalla documentazione bancaria prodotta rosse dato presumere che la riscossione tempestiva delle somme accreditate dall’I.A.C.P. in ritardo avrebbe consentito all’appaltatore l’estinzione totale o parziale del suo debito verso la Banca.

2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta che erroneamente secondo la Corte territoriale il maggior danno dallo stesso subito non era consistito

nella differenza tra il tasso di interessi moratori dovuto dall’I.A.C.P. e quello del 25,50% corrisposto dall’Impresa Madia al Monte dei Paschi di Siena. Ribadisce che alla data del 31-12-2002 il pagamento degli interessi moratori non era stato ancora eseguito dall’I.A.C.P. e che, per quantificare il danno effettivamente patito, era necessario il riferimento al tasso di interesse corrisposto per il ricorso al credito bancario.

3. Preliminarmente va rigettata l’istanza di rinvio formulata dal difensore del ricorrente con nota depositata in data 19-11-2019, ossia lo stesso giorno dell’adunanza in Camera di consiglio, rilevato che la rinuncia al ricorso del difensore non può ritenersi validamente effettuata, in mancanza di conferimento di detto potere al difensore nella procura speciale in calce al ricorso, e non risulta sufficientemente giustificata la richiesta di differimento dell’adunanza.

4. Sono infondati i due motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per la loro connessione e da ritenersi ammissibili in quanto gli argomenti addotti dal ricorrente consentono di individuare sufficientemente le norme e i principi di diritto asseritamente trasgrediti, pur in mancanza di puntuale indicazione delle norme violate (Cass. n. 21819/2017).

4.1. La pretesa in contestazione riguarda il ristoro del maggior danno ai sensi dell’art. 1224 c.c., che, sebbene escluso dal sistema normativo speciale ai sensi dell’art. 35 del Capitolato Generale degli Appalti pubblici di cui al D.P.R. n. 1063 del 1962, era stato previsto nell'”atto transattivo”, come risultante dalla Delib. 10 luglio 1987, n. 200, dell’I.A.C.P. accettata dall’Impresa con atto del 18-11-1987.

Il ricorrente ha proposto l’azione ponendovi a fondamento un titolo negoziale, ossia l'”atto transattivo” di cui infra, e, dunque, presupponendo la validità ed efficacia di quel negozio. Invece quest’ultimo, concluso, secondo la ricostruzione, non censurata, della Corte d’appello, mediante la citata deliberazione dell’I.A.C.P. e il non contestuale atto dell’Impresa, deve ritenersi nullo perchè non redatto in forma scritta in un unico documento (tra le tante Cass. n. 26047/2005 in tema di transazioni concluse con la P.A.; Cass. n. 6555/2014; Cass. n. 5263/2015).

Occorre precisare che, secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, nel giudizio di appello ed in quello di cassazione, il giudice, in caso di mancata rilevazione officiosa di una nullità contrattuale in primo o secondo grado, ha sempre facoltà di procedere ad un siffatto rilievo (Cass. S.U. n. 26242/2014). Inoltre il potere di rilievo officioso della nullità del contratto spetta anche al giudice investito del gravame relativo ad una controversia sul riconoscimento di pretesa che suppone la validità ed efficacia del rapporto contrattuale oggetto di allegazione – e che sia stata decisa dal giudice di primo grado senza che questi abbia prospettato ed esaminato, nè le parti abbiano discusso, di tali validità ed efficacia – trattandosi di questione afferente ai fatti costitutivi della domanda ed integrante, perciò, un’eccezione in senso lato, rilevabile d’ufficio (Cass. S.U. n. 7294/2017).

Nel caso di specie, la questione della validità della transazione non è coperta da giudicato interno o implicito, atteso che la statuizione impugnata è di rigetto nel merito e che i Giudici di primo e secondo grado, nonchè le parti non hanno specificamente preso in considerazione la nullità della suddetta transazione per mancanza di forma scritta e di unico atto nei termini sopra precisati. Il primo motivo d’appello e la consequenziale pronuncia della Corte d’appello, riguardavano, infatti, la diversa questione della qualificazione della Delib. 23 febbraio 1988, n. 48, incitata dalla Coree territoriale “oggetto precipuo di contesa”, come atto unilaterale dello I.A.C.P., “non assimilabile alla transazione di cui alla citata Delib. n. 200” (cfr. pag. n. 5 della sentenza impugnata).

Resta da aggiungere che il rilievo d’ufficio della nullità di cui trattasi concerne una questione di puro diritto (validità della transazione non stipulata in unico contestuale documento) e, pertanto, non occorre procedere alla sua segnalazione alle parti onde consentire su di essa l’apertura della discussione, poichè un vulnus al diritto del contraddittorio della parte soccombente può aversi solo se il rilievo ufficioso riguardi questioni di fatto, ovvero miste di fatto e di diritto (cfr. Cass. n. 2984/2016; Cass. n. 16049/2018; Cass. n. 15037/2018). Alla stregua delle considerazioni che precedono, la pretesa azionata non può fondarsi sul titolo allegato come elemento costitutivo in quanto quel titolo è nullo e la motivazione della sentenza impugnata deve emendarsi in diritto, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., u.c., nei termini infra precisati, restando assorbita ogni altra questione e censura.

5. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e le spese di lite del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

6. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto (Cass. n. 23535/2019).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite del giudizio di legittimità, liquidate in Euro7.000 per compensi e in Euro200 per esborsi, oltre accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, il 19 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 giugno 2020

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